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Contro il proibizionismo preocreativo
Questo appello è promosso dal gruppo "La legge e il corpo"
del Centro Riforma dello Stato (Maria Luisa Boccia, Gabriella Bonacchi, Caterina Botti,
Giuseppe Cotturri, Cecilia DElia, Luigi Ferrajoli, Marina Graziosi, Nicoletta
Morandi, Tamar Pitch, Grazia Zuffa).
Il testo di legge sulla fecondazione assistita, in discussione al Senato, deve
essere respinto, aldilà delle valutazioni di merito, perché configura una mostruosità
giuridica, inaccettabile ed inapplicabile.
Ci auguriamo che il Parlamento recuperi la propria dignità e responsabilità, già
gravemente offesa dal voto favorevole dellassemblea alla Camera e dalla decisione di
portare in aula, al Senato, il testo attuale. Un testo che reca un vulnus
allautorevolezza e alla credibilità dellistituzione, poiché piega in tutta
evidenza la funzione legislativa ai pretesi rigori etici e, dietro questo schermo, ai più
prosaici interessi di coalizioni e partiti, e alle incessanti manovre strumentali per far
prevalere gli uni o gli altri.
Con questo appello ci impegniamo ad usare tutti i mezzi democratici per impedire che il
testo diventi legge, e per abrogarla, in caso di approvazione. Consideriamo infatti questa
eventualità, un pericolo reale, perché alla spregiudicata, quanto serrata, pressione di
parte cattolica, corrisponde una sottovalutazione preoccupante, quando non strumentale, da
parte delle forze laiche che pure non ne condividono limpianto punitivo.
Per troppo tempo liniziativa parlamentare è stata condizionata da una battente
campagna d'opinione sul far west procreativo. Invece di puntare lattenzione sulla
primaria esigenza di controllo sui centri, e sulle necessarie regole per le pratiche
mediche, e per la ricerca e sperimentazione biologica e genetica, si è invocata una legge
proibizionista, nellintento, illusorio, di imporre, anche con pesanti
sanzioni penali, un modello procreativo "normale", cioè "secondo
natura". E infatti la questione dirimente della legge è divenuta quella dei
requisiti che fanno un buon genitore, soprattutto una buona madre, limitando a chi li
possiede lintervento medico. Ma si può decidere per legge chi è idoneo e chi no ad
avere un figlio?
Prima e più che discriminare tra buoni e cattivi genitori, tra terapie benefiche e
deprecabili sperimentazioni, il Parlamento doveva chiedersi entro quali limiti è utile e
opportuno lintervento della legge. Il primo limite che il legislatore è tenuto a
rispettare è il principio costituzionale della laicità dello Stato. Sapersi valere di
questa bussola era ed è una condizione essenziale per non inasprire i conflitti tra le
diverse concezioni etico-culturali. Consentirebbe di contrastare le pretese dogmatiche,
volte a far prevalere la propria concezione sulle altre, ma anche la deriva che riduce il
pluralismo ad indifferenza reciproca tra estranei morali.
Che il legislatore sia venuto meno al suo compito risulta chiaro da quanto poco si è
tenuto conto delle effettive possibilità di applicazione delle norme, e delle tante
contraddizioni e conseguenze perverse che ne discendono.
La prima e più grave è contenuta nell'articolo 1° che "assicura i diritti del
concepito", senza subordinarli, come stabilisce l'art.1, c.2 del codice civile,
"all'evento della nascita". Come è noto per il nostro ordinamento la capacità
giuridica si acquisisce con la nascita. Se lintento era quello di modificare questo
fondamentale principio, è del tutto inopportuno, perseguirlo in tal modo. Senza
considerare cioè gli effetti dirompenti sullinsieme delle norme, e le difficoltà
pressocchè insormontabili a configurare, nei diversi ambiti, la presenza di questo
soggetto e leffettività dei suoi diritti. Se lintento, più plausibilmente,
è quello di evocare, retoricamente, la soggettività del concepito, senza preoccuparsi
delle implicazioni giuridiche, questo enunciato è tra i più vistosi segnali che si è
inteso produrre una legge-manifesto, più che una seria ed efficace normativa sugli
aspetti inediti e controversi della fecondazione assistita.
Analoghe riserve e considerazioni pone la definizione di "terapia della
sterilità", riferita alla coppia. Se la sterilità è lindispensabile
requisito di accesso alla terapia, non si vede come si possa discriminare chi ne è
affetto, solo perché non è in coppia. E evidente che la discriminazione riguarda
le donne, ovvero le reali destinatarie dellintervento, quale che sia la ragione per
richiederlo. Parlare di "sterilità di coppia", mancando qualsiasi plausibile
riferimento a patologie, autorizza lintervento su semplice certificazione del medico
che i tentativi fatti di avere un figlio "naturalmente", non hanno avuto
successo Per una coppia insomma il ricorso alle tecniche è di fatto insindacabile, e
comunque legittimo.
E' costituzionalmente inammissibile negare una terapia a donne sterili, solo perché non
in coppia, o perché affette da sterilità gestazionale, ad esempio per
lasportazione di utero, in nome del prevalente interesse del nascituro. La tanta
invocata certezza e coerenza normativa, richiederebbe inoltre di tutelare tutti i
nascituri, vietando alle donne singole di divenire madri, anche quando il concepimento è
dovuto ad un rapporto sessuale con un partner occasionale.
Ancora. Per la prima volta si deduce un divieto dalla scelta omosessuale. Vietando infatti
agli/alle omosessuali l'accesso alle tecniche, si afferma che lomosessualità è un
impedimento, giuridicamente rilevante. Anche in questo caso la tutela del nascituro
diviene motivo per stigmatizzare la sessualità; e, di nuovo, la tutela andrebbe allora
estesa a tutti i figli di omosessuali, comunque concepiti.
Non convince l'argomento che lo Stato non può autorizzare quanto la natura affida al
caso. Nessuno sceglie come nascere; provetta o sesso, per chi nasce sono entrambe
condizioni che hanno reso possibile l'esistenza. Perché solo ad alcuni bambini andrebbe
garantito l'ambiguo privilegio di un controllo statale sull'idoneità dei genitori?
La pretesa di mettere al centro della legge un modello di famiglia, non può non avere
effetti contraddittori. O si introducono discriminazioni nella tutela di diritti
fondamentali, quali la salute, la sessualità, la procreazione o, paradossalmente si deve
ridurre lambito di questi diritti, estendendo limiti e divieti anche alla
procreazione sessuale.
E infine inaccettabile la marcata criminalizzazione dei "valori
sacrificati", ovvero delle scelte e pratiche che non rispondono ai requisiti
richiesti. Dal punto di vista degli orientamenti di politica del diritto,
lesorbitanza delle pene previste in questo testo di legge, stride con
lorientamento alla depenalizzazione, o comunque ad un forte ridimensionamento nel
ricorso al penale, soprattutto in ambiti, come questo, dove è tradizionalmente forte
l'autonomia. Una scelta peraltro alquanto irrazionale. Non solo è difficile prevenire e
accertare le violazioni, tanto più in società sempre più aperte alla circolazione di
informazione e persone. Ma soprattutto in quali casi, se violazione vi è stata, punire è
sensato ed efficace? Non è questa la prima domanda da porsi, per scrivere una buona
legge?
Hanno aderito all'appello:
Guido Alpa, Stefano Anastasia, Tom Benettollo, Vittorio Borraccetti, Papi Bronzini,
Antonio Cantaro, Cinzia Caporale, Giancarla Codrignani, Gianni Ferrara, Nicoletta Gandus,
Maria Grazia Giammarinaro, Letizia Gianformaggio, Eugenio Lecaldano, Franco Maisto, Cosimo
Marco Mazzoni, Sergio Moccia, Maurizio Mori, Demetrio Neri, Elena Paciotti, Giovanni
Palombarini, Mauro Palma, Massimo Pavarini, Livio Pepino, Ugo Rescigno, Eligio Resta,
Amedeo Santosuosso, Monica Toraldo di Francia, Carmelo Ursino, Carlo Augusto Viano, Milli
Virgilio.
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