Omaggio a Giovanni Testori
Josè Luis Sànchez-Martìn
Con il titolo "Scarrozzanti e donne di dolori: Giovanni Testori e
la scena", l'Ente Teatrale Italiano ha proposto a Roma per due settimane un progetto
in omaggio a Testori che si è articolato in tre diversi momenti: una serata al teatro
Valle di letture di frammenti tratti da monologhi teatrali, a cura di Giovanni Agosti e
Federico Tiezzi, coi lettori di eccezione Sandro Lombardi, Lucilla Morlacchi e Franca
Valeri, musiche dal vivo del pianista e compositore Giancarlo Cardini e trasmessa in
diretta da RadioTre Suite;
una giornata di presentazione in video, alla Saletta ETI, della retrospettiva curata dalla
regista Andrée Ruth Shammah, "attraverso cui emerge un forte ritratto dell'autore in
relazione ad una precisa politica e poetica della messinscena". Infine, corpo
fondamentale del progetto, le repliche per due settimane al Teatro Valle degli spettacoli
"Edipus", "Due Lai" ("Erodiàs" e "Mater
Strangosciàs") e "Cleopatràs", tratti dagli omonimi testi dello scrittore
milanese, interpretati da Sandro Lombardi e con la regia di Federico Tiezzi, ovverosia
l'ormai storica e pluripremiata compagnia teatrale i "Magazzini". Prima di
parlare di questi splendidi spettacoli, vale la pena ripercorrere a grandi linee la storia
della compagnia.
Il regista Federico Tiezzi e l'attore Sandro Lombardi, entrambi nati in provincia di
Arezzo ed entrambi laureati in Storia dell'Arte nel 1977 a Firenze, fondano nel 1972
insieme all'attrice Marion D'Amburgo il gruppo teatrale "Il Carrozzone". Nel
1973 presentano con grande sucesso a Salerno, nell'ambito del 1° Festival delle Nuove
Tendenze, "La donna stanca incontra il sole", uno spettacolo di forte matrice
figurativa che viene considerato uno degli esempi di punta della nuova avanguardia
teatrale italiana. La critica iscrive immediatamente il gruppo alla nascente area del
"teatro-immagine". Sul finire degli anni '70, cambiato il nome in
"Magazzini Criminali", Tiezzi, Lombardi e D'Amburgo si affermano a livello
europeo, anche grazie a una forte carica trasgressiva, con gli spettacoli "Punto di
rottura" e "Crollo nervoso", che valgono loro il conferimento
dell'ambitissimo premio Ubu per due anni consecutivi (1979 e 1980) come migliore gruppo
sperimentale.
Il regista tedesco Fassbinder documenta nel suo film "Theater in trance" i loro
spettacoli "Crollo nervoso" ed "Ebdòmero", tratto dal romanzo di
Giorgio De Chirico. Diventano da allora ospiti d'obbligo per molti dei più importanti e
prestigiosi festival italiani, come la Biennale-Teatro di Venezia e il Festival
Internazionale di Santarcangelo, e, caso raro per una compagnia italiana, anche per quelli
stranieri a Monaco, Berlino, Colonia, Vienna, Anversa, Kassel, Amburgo, Bordeaux, Liegi,
Argos, Belgrado, New York, Mosca, Tokio. Nella prima metà degli anni '80 comincia a
delinearsi una progressiva svolta verso l'elaborazione di un "teatro di poesia",
tesa a coniugare drammaturgia in versi e scrittura scenica, con la produzione della
trilogia "Perdita di memoria", scritta in prosa e versi dallo stesso Tiezzi e
che comprende gli spettacoli "Genet a Tangeri" (premio Ubu 1984 come migliore
spettacolo), "Ritratto dell'attore da giovane" (che viene anche tradotto a cura
della Columbia University e rappresentato a New York) e "Vita immaginaria di Paolo
Uccello".
La svolta decisiva coincide con un evento teatrale realizzato al festival di
Santarcangelo, che involontariamente slitta verso la cronaca. Per un ridottissimo e scelto
gruppo di ospiti, invitati senza conoscere la natura dell'evento, all'interno del
mattatoio comunale gli attori recitano dei versi tragici, mentre il macellaio svolge alla
vista degli spettatori il suo regolare, routinario e terribile compito: l'abbattimento di
un cavallo. Scoppia lo scandalo, ognuno nel mondo del teatro vuol dire la sua, soprattutto
gli assenti al tragico evento, e la notizia nazionale diventa che "gli attori hanno
ammazzato un cavallo sul palcoscenico". La durissima eco di questa azione porta, tra
le altre conseguenze, all'eliminazione dal nome della compagnia dell'aggettivo
"criminale", diventando così soltanto i "Magazzini". Nel frattempo si
consolida la loro nuova posizione nei confronti della drammaturgia e nel 1987 mettono in
scena l'adattamento di Franco Quadri dal romanzo di Samuel Beckett "Come è"
(premio Ubu per la migliore regia).

Dopo un omaggio ad Antonin Artaud, nel 1988 producono due spettacoli tratti da altrettanti
testi del noto e sofisticato drammaturgo tedesco Heiner Muller: Marion D'Amburgo
interpreta intensamente e con contemporanea regalità "Medeamaterial" e Sandro
Lombardi si cimenta con la sfida dell'impegnativo "Hamletmaschine", vincendo
meritatamente il premio Ubu come migliore attore dell'anno. L'approdo definitivo a quel
"teatro di poesia" avviene all'inizio degli anni '90, con la messa in scena
della trilogia delle "Tre Cantiche della Commedia dantesca", la scrittura
d'ognuna delle quali viene affidata a un poeta diverso e, nella successiva ripresa qualche
anno dopo, anche a tre musicisti contemporanei. Eduardo Sanguineti, Mario Luzi e Giovanni
Giudici per la scrittura e Giacomo Manzoni, Luigi Nono e Salvatore Sciarrino per le
musiche, saranno chiamati ad occuparsi rispettivamente dell'Inferno, del Purgatorio e del
Paradiso. Dopo vari lavori su testi di Beckett, Manzoni, Verga e Goldoni, e diverse regie
di Tiezzi di opere liriche, la compagnia volge a una nuova tappa del proprio lungo e
articolato percorso, quella attuale, che la vede impegnata in quattro monologhi di uno dei
più significativi drammaturghi italiani: Giovanni Testori (1923-1993).
"Mi sembra quasi certo che il punto di partenza del teatro (e, quindi, il suo punto
di caduta e di arrivo) sia il personaggio solo, il personaggio monologante. Il termine
della tensione tragica non è, di necessità, un secondo personaggio, ma proprio quella
particolare qualità di carne e di moto (a strappi, a grida, a spurghi ed urli: una
qualità forse impossibile, quasi certamente blasfema) interna alla parola teatrale. Un
moto che, per la sua origine, risulta possibile solo quando l'interloquito non è un
personaggio creato ma una forza creante. Il monologo libera e, con ogni probabilità, oggi
come oggi, non può altro che incrudelire ed esacerbare la situazione viscerale
(prenatale) di un personaggio così come si trova in un determinato momento della sua
esistenza." Con sorprendente lucidità e comprensione dei cambiamenti avvenuti non
soltanto nel mondo e nella poetica del teatro, così scriveva già nel 1969 su "Il
ventre del teatro" lo scrittore, poeta, pittore e drammaturgo Giovanni Testori.
E' su queste premesse poetiche che lo scrittore compose negli ultimi mesi della sua vita i
tre monologhi che vanno sotto il titolo di "Tre Lai", ovvero tre lamenti,
pubblicati postumi nel 1994, a cui si aggiunge, indipendente, il quarto del programma:
"Edipus" del 1977. L'operazione di Testori è unica e geniale e soltanto il
fatto di non essere traducibile in alcun'altra lingua ci impedisce di paragonarlo al più
grande drammaturgo del Novecento, Samuel Beckett. Testori è intraducibile perchè inventa
una nuova lingua, che certo ha come riferimento basico l'italiano, ma che esprime tutta la
gamma dei sentimenti e delle passioni attraverso un gran miscuglio di parole antiche e
moderne, parole colte e di gergo metropolitano, di latino e di dialetti lombardi, di
francese e di spagnolo, di parole note e soprattutto di parole inventate. Anche la
costruzione grammaticale e ritmica è assolutamente unica, comprendendo insieme strutture
di prosa e rime baciate, frasi di note canzoni da Sanremo e citazioni colte. Tutto questo
uttilizzando come personaggi monologanti vari archetipi dell'immaginario collettivo, che
si muovono nel loro pensiero tra il luogo della memoria in cui sono nati e le vie di
Milano o i paesini brianzoli.

La sorprendente riuscita degli spettacoli non è dovuta soltanto alla scrittura di
Testori, ma anche a una regia, quella di Tiezzi, e a una interpretazione, quella di Sandro
Lombardi, che coincidono perfettamente con la direzione del testo, tanto da far pensare a
quei rari e preziosi casi, per esempio Dario Fo nel suo "Mistero Buffo", in cui
l'autore, l'attore e il regista sono un'unica e coerente persona. La recitazione di
Lombardi spazia, come le parole di Testori, tra colto e volgare, tra intimo e declamato,
tra regine e baldracche. Personaggio unico dei quattro monologhi è un attore di provincia
di altri tempi, in frack, bombetta e guanti bianchi, che indossando i panni dei vari
personaggi - essenzialissimi: una parrucca, un bracciale, uno scialle - come scrive
Lombardi "tenta disperatamente di tenere in piedi in un eroico quanto penoso
tentativo di resistere alla solitudine e all'abbandono, al senso di nulla e di morte
provocato dal vanificarsi dei propri valori nello scontro con una società che non ha più
bisogno di essi".
In "Edipus", l'attore rimane solo, il resto della compagnia lo ha abbandonato, e
lui tenta di raccontare usando anche mezzucci la tragica vicenda di Edipo, che sembra via
via diventare la sua tragica e tristemente povera vita. I "Tre Lai" racconta i
lamenti davanti al cadavere dell'amato di tre donne, figure emblematiche della Storia:
Cleopatra ("Cleopatràs") davanti al corpo di Antonio, Erodiade davanti alla
testa mozzata del profeta Giovanni ("Erodiàs") e la Madonna davanti al corpo
esanime di Gesù ("Mater Strangosciàs"), dove l'interpretazione di Lombardi,
scarna e sottile, raggiunge livelli di emozione raramente visti. La situazione comune è
quella di una conversazione con la morte dell'uomo amato, "ma contemporaneamente
tutte e tre piangono anche la propria morte, che è più o meno imminente, più o meno
annunciata."
La regia, felicissima, leggera e sofisticata al tempo stesso, crea un equilibrio
magistrale tra ironia e poesia, tra concreto e invisibile, tra volgare e sublime,
attingendo disinvoltamente a piene mani a un certo gusto figurativo kitch e
"camp", in cui anche la musica sacra si confonde con Mina, Gianna Nannini e i
Queen.
Tre emozionanti serate, rari momenti del teatro italiano contemporaneo a cui ci si
augurerebbe di poter assistere più spesso. Da non perdere.
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