La filosofia di Simone de Beauvoir
Rosaria Trovato
Questo saggio appare sul numero 1 della Nuova Serie della rivista Filosofia e Questioni
Pubbliche. Per ulteriori informazioni potete contattare Luiss Edizioni all'indirizzo
e-mail edizioni@luiss.it
Libri discussi: Karen Vintges, Philosophy as Passion. The thinking of Simone de
Beauvoir, Indiana University Press, Bloomington-Indianapolis 1996; Edward Fullbrook-Kate
Fullbrook, Simone de Beauvoir. A Critical Introduction, Polity Press, Cambridge 1998. Si
rimanda anche a S. de Beauvoir, Il secondo sesso (1949), Saggiatore, Milano 1994.
Convinti dalle sue stesse parole, i commentatori hanno preso posizioni recise: Simone de
Beauvoir non ha fatto filosofia, ha scritto romanzi; è, al massimo, una saggista. Negli
anni della maturità, tuttavia, ella ammise:
Non sono un filosofo nel senso che non ho creato un sistema, ma sono certo un filosofo nel
senso che ho studiato filosofia, ho conseguito un titolo in filosofia, ho insegnato
filosofia, sono satura di filosofia, e quando pongo della filosofia nei miei libri è
perché si tratta per me di un modo di guardare il mondo.
Eppure, a causa di una ripartizione di ruoli che voleva che il filosofo fosse Sartre, nei
circoli accademici il pensiero dei due autori continua ad essere appiattito sulla
filosofia del solo Sartre. A sfatare questo luogo comune della letteratura su Sartre e
Beauvoir viene un bel libro di Karen Vintges, da poco tradotto in inglese
dalloriginale olandese, deciso a difendere la tesi che Beauvoir sia stata
lautrice di una filosofia originale, più precisamente, di unetica. Al compito
di descrivere levoluzione di questetica Vintges dedica tre quarti della sua
fatica, mentre il quarto è dedicato a organizzarla secondo categorie foucaultiane che,
come Vintges mostra nella sua analisi delle opere di Beauvoir, sono almeno in parte
implicite già nel pensiero dellautrice.
Dopo circa un decennio in cui Beauvoir è stata studiata come filosofo soltanto in quanto
autrice di Il secondo sesso, ecco ora uno studio in cui la sua opera integrale
viene letta in prospettiva filosofica. La persona, la donna, la scrittrice sono illuminate
da una luce proveniente principalmente dallopera, evitando le letture in chiave
psicoanalitica, con unanalisi molto equilibrata delle possibili influenze esterne.
Ma se dunque Beauvoir ha elaborato una filosofia sua propria, quale ne è il contenuto, e
perché molta parte di essa ha preso la forma di romanzo?
Prendendo e riprendendo il filo dellelaborazione delletica di Beauvoir,
Vintges mostra che lorientamento universalistico degli inizi, derivato da Kant e
presente sia in Per unetica dellambiguità sia nei primi romanzi,
scompare per fare spazio allidea che unetica può essere proposta solo nella
forma dellincontro individuale con problemi concreti e con la necessità di
scegliere. Non possono darsi prescrizioni morali che prefigurino le risposte al tessuto di
questioni dellesistenza di ciascuno. Ciò che letica può fare, al più, è
proporre metodi. Non esistono leggi fisse, ma solo regole procedurali che possono aiutare
a trovare una strada. In ogni caso, «i valori a cui è stata data realizzazione devono
essere confrontati con i valori a cui si tende», e ogni situazione trova una soluzione
diversa da ogni altra.
Una volta stabilito che luniversalismo non è possibile in etica, ciò che rimane da
raccontare sono le diverse situazioni e le diverse scelte adottate per fronteggiarle. A
questo fine, la letteratura diventa un mezzo ideale per lespressione del caso etico:
i personaggi mostreranno come si possa impostare la propria vita allo scopo di costruire
coscientemente unidentità etica. Cè poco da stupirsi, dunque, se uno dei
rimproveri mossi talvolta a Beauvoir dal campo della critica letteraria sia precisamente
che i suoi romanzi non siano imprese propriamente letterarie, ma siano imbevuti di ciò
che Doris Lessing avrebbe chiamato «la qualità filosofica di un romanzo». Ma per
Beauvoir, come dice Lambert, uno dei personaggi di I mandarini, esortando Henri,
alter ego della Beauvoir, a scrivere romanzi: «Innanzitutto, ciò di cui abbiamo bisogno
è unetica, unarte di vivere (art de vivre)».

Sul concetto di art de vivre si impernia, per Vintges, il compito principale nel
progetto di vita di Beauvoir. Beauvoir scrive con il proposito di fornire agli altri un
modello, mossa da un «engagement» che le è peculiare e che Vintges chiama
lazione di un «practitioner», di qualcuno impegnato a dare sostegno, ad agire in
favore degli altri. Ma lorigine di questarte che non è estetica, perché non
è concentrata sulla sua bellezza, e non è incurante del destino altrui, si può trovare,
espressamente teorizzata, nella concezione di «pratica di sé» di Michel Foucault. In Luso
dei piaceri, Foucault censiva, nellantichità, quei «testi [che] servivano da
congegni funzionali a mettere gli individui in condizione di chiamare in questione la
propria condotta, a sorvegliarla e darle forma, e a modellare se stessi da soggetti
etici». Consapevolmente, Beauvoir starebbe facendo lo stesso: così tanto
consapevolmente, da usare la sua autobiografia allo scopo. Nelson Algren, scrittore ed
amante americano di Beauvoir, avrebbe esclamato una volta: «Autobiography - shit!...
Autofiction, thats what she wrote». Ed effettivamente molti tra i critici di
Beauvoir hanno notato che è stato in certa misura scorretto scambiare la realtà della
sua vita con i desiderata del suo narcisismo.
Elegantemente, Vintges trasforma una pretesa debolezza nel lavoro della Beauvoir in un
punto di forza: non solo non le si può rimproverare di aver creato se stessa attraverso
la sua autobiografia, ma, al contrario, fare ciò rientrava nel suo progetto complessivo.
Il consuntivo di tale progetto di vita si rivela molto soddisfacente se Vintges (che è
molto attenta agli avanzamenti del femminismo) può notare, non senza compiacimento, che Il
secondo sesso, come pure alcuni tra i romanzi, continua ad avere il ruolo di punto di
riferimento per molte donne nel mondo.
Su questo libro fondamentale, vendutissimo e molto discusso, non può non soffermarsi
lanalisi di Vintges che, evitando forse un po frettolosamente di entrare nei
dettagli, individua nella sua struttura complessiva un disegno fenomenologico: il primo
libro di Il secondo sesso, anziché andar letto come unindagine che aspira a
unimpersonale scientificità, che Beauvoir avrebbe giudicato riduttiva, andrebbe
considerato invece unopera fenomenologica nel senso della Fenomenologia dello
spirito hegeliana, la quale, reintrodotta nel vivo interesse dei filosofi parigini
dalle conferenze di Alexandre Kojève negli anni Trenta, avrebbe influenzato, oltre che
Beauvoir, molti altri fenomenologi. Fenomenologico, ma questa volta più nel senso
husserliano del termine, sarebbe anche il secondo libro dellopera, tutto basato
sullesperienza immediata, sul fenomeno vissuto come si presenta.
La fenomenologia prenderebbe con Beauvoir una strada nuova, declinata secondo il genere,
messa al servizio della scoperta del rischio, sempre incombente, che la donna si
relativizzi rinunciando a porsi come coscienza e accettando la funzione riduttrice di
altro dal soggetto, altro dalla libertà. Questa esperienza la cui possibilità, ribadisce
Vintges, Beauvoir avrebbe vissuto in prima persona, è una cifra dellesistenza
femminile che non smette di essere attuale. Coloro che, come Naomi Greene, Jean Leighton,
Toril Moi e Charlene Haddock Seigfried rimproverano a Beauvoir di essere ricaduta nel
pensiero maschile, collocando la coscienza al di sopra del corpo, il pensiero al di sopra
del sentimento, lattività al di sopra della passività, la trascendenza al di sopra
della natura, possono essere tacciate, dal punto di vista di Vintges, di indulgere a loro
volta in distinzioni imposte dalla tradizione, e che la tradizione continua a riprodurre,
proprio secondo il modello esposto da Beauvoir in Il secondo sesso. Unidea
che Vintges torna a ribadire nel corso della trattazione è proprio la preclusione
tradizionale della filosofia alle donne, con cui Beauvoir dovette combattere, sebbene,
come abbiamo visto dalle sue dichiarazioni, dimostrando diverse esitazioni.
Che il pensiero di Beauvoir non abbia debiti nei confronti di un pensare maschile come
quello di Sartre, Vintges lo mostra utilizzando moderatamente, tra le altre cose, la
coppia negatività/positività, che, per produrre un contrasto credibile, si attaglia al
pensiero dei due autori secondo uno schema abbastanza convincente. Attraverso
unanalisi di Bruciare Sade? che mette in parallelo lassenza di
soggettività nellaltro, in Sade come in Sartre, Vintges evidenzia, dal lato
sartriano, limpossibilità di una relazione con laltro in cui una coscienza
non reifichi laltra, e valorizza il ruolo dellemozione in Beauvoir per
giungere al concetto, fortemente intersoggettivo, di amore come fusione. Questa lettura di
Vintges vede Sartre nei termini che anche Merleau-Ponty aveva utilizzato, quando aveva
tacciato il pensiero di Sartre di solipsismo. Certamente, se messo in contrasto con il
pensiero di Beauvoir, quello di Sartre manca dellimpulso
allintersoggettività. Daltra parte il libro di Vintges non propone una
lettura di Sartre, ma utilizza il suo pensiero solo a livello contrastivo: in questa
misura, la sua lettura va considerata semplicemente una chiarificazione del punto di vista
di Beauvoir.
Ma le differenze con il pensiero di Sartre non si fermano qui, ed effettivamente è questo
il campo in cui si gioca la dimostrazione, che tanto preme a Vintges, dellautonomia
filosofica di Beauvoir.
Come ha dichiarato una volta, Beauvoir scrisse la sua autobiografia per continuare a
creare se stessa partendo da una base solida; unopposta intenzione muoveva Sartre a
scrivere il suo autobiografico Le parole, dove demoliva sistematicamente il giovane
Poulou, come qualcuno ha detto, per «gettare vetriolo sulla sua immagine». Beauvoir
impiegò la vita intera (e il racconto ininterrotto che ne ha fatto) a forgiare
un«arte di vivere» etica, mirante a fornire a se stessa e ai suoi personaggi
romanzeschi (spesso autobiografici) unidentità coerente creata attraverso la
scrittura; Sartre teorizzò nella sua opera filosofica principale che la coscienza deve
rimanere vuota, altrimenti si reificherebbe e rinuncerebbe alla libertà. Beauvoir
inseguì il progetto di radunare unidentità dalla massa diffusa di elementi
eterogenei che forma lesistenza di uomini e donne; Sartre sostenne lapertura
della coscienza e la mancanza di conclusione della sua trascendenza. Lei rimase per tutta
la vita sul piano delletica: in un primo momento, espressa metodicamente attraverso
leggi, poi nella forma dellesperienza vissuta di vite singole, raccontate in forma
letteraria; lui, dopo il 1948, abbandonò definitivamente il progetto di unetica,
bollandolo, nietzscheanamente, come una «collezione di trucchi idealistici miranti a
permetterci di vivere una vita limitata dalla povertà delle nostre risorse e
dallinsufficienza delle nostre tecniche».
In definitiva, i punti di contatto tra Beauvoir e Sartre appaiono assai più limitati di
quanto non siamo abituati a pensare, non riguardano il quadro generale del loro pensiero,
e vanno rintracciati nella comune appartenenza alla fenomenologia e nella condivisione di
alcuni temi fondamentali, come la libertà, la scelta, il pour-soi, la relazione a
due, la possibilità di perdersi nella coscienza altrui, oltre che, naturalmente, nella
frequente identificazione di Beauvoir con la filosofia sartriana, che in più occasioni fu
lei a difendere.
Un unico difetto questo libro condivide con molti, forse troppi altri. Anziché limitarsi
a presentare uninterpretazione tra le altre, pregevole in quanto ben argomentata (un
merito, questo, che va senzaltro riconosciuto a Philosophy as passion),
Vintges presenta la sua tesi escludendo come errate le altre. Mentre questo è forse vero
in alcuni casi, che, tuttavia, Vintges non si sofferma a confutare, per molti altri casi
non è evidente, e, almeno apparentemente, non è condivisibile.
Lo stesso punto di partenza, cioè lintreccio e la quasi costante coerenza tra il
pensiero di Beauvoir e quello di Sartre, che è apparso tradizionalmente come cosa
evidente e risaputa (e per tutti i lettori di Il secondo sesso «tradizionalmente»
ha una connotazione negativa), ha mosso lo sudio di altri due autori, Edward e Kate
Fullbrook. Invece di reclamare loriginalità di Beauvoir, però, i Fullbrook si sono
impegnati a sostenere, dopo Hazel E. Barnes, traduttore e commentatore di Sartre, che
Beauvoir è, diciamo così, arrivata prima. Per la precisione nel 1940, con il manoscritto
del romanzo Linvitata, che fu letto non dal solo Sartre ma anche da
Merleau-Ponty mentre preparavano opere cardinali non solo nella loro produzione ma nella
storia del pensiero continentale di questo secolo. Al punto che «limpatto degli
argomenti e delle idee [di Linvitata] sulle fattezze della filosofia
continentale fu immediato e profondo». Questa tesi, che si appoggia alla convinzione che
«quando si tratta delle idee filosofiche di Beauvoir, i suoi saggi sono di rado i suoi
testi primari maggiori», era stata sostenuta dai Fullbrook in due scritti, del 1993 e del
1995, per i quali i due autori erano già noti come commentatori del pensiero di Beauvoir.
Nella sua qualità di introduzione critica, questo libro, al contrario di quello di
Vintges, non è solo un libro di filosofia, ma anche, seppure a tratti e un po
disorganicamente, una biografia intellettuale, una recensione di molte delle opere di
Beauvoir, unopera comparativa del pensiero di Beauvoir con la filosofia morale
analitica, con le metodologie di molte scienze sociali così come si studiano nel mondo
anglosassone ed inoltre, quando ricerca e dà spazio a coloro che hanno raccolto nel mondo
anglosassone leredità teorica dellautrice francese, soprattutto tra le
femministe, un tentativo di tirare le somme della militanza intellettuale di Beauvoir.

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Uno dei pregi del libro è la sua densità, la sua concettosità: in 150 pagine molto è
detto, anzi moltissimo.
I capitoli più filosofici sono quelli centrali, la tesi che espongono è interessante. Il
problema con cui i Fullbrook mettono a confronto Beauvoir è tuttaltro che da poco.
Come si eliminano le grandi, epocali, apparentemente irresolubili alternative tra scuole:
lidea kantiana di un io trascendentale contro lidea humeana di un io slegato,
fascio di percezioni che niente lega; o, in etica, il cognitivismo contro il non
cognitivismo; il problema mente/corpo; il problema dellesistenza di altre menti
(altrimenti detto del solipsismo); il problema della metodologia delle scienze sociali. La
soluzione che i Fullbrook attribuiscono a Beauvoir è la felice scoperta di un «middle
ground», un terreno intermedio.
Beauvoir sarebbe riuscita in ciò introducendo due categorie ed esaminandone le possibili
relazioni. Le due categorie sono quelle, molto fenomenologiche (anche se i Fullbrook non
si soffermano sulla fenomenologia, arrivando a guardare Beauvoir da un retroterra più
analitico che continentale), di soggetto e oggetto. Sentire di essere esclusivamente un
soggetto, cioè ritenersi soltanto una coscienza che pensa, anzi, per essere precisi, che
intenziona il mondo, e poi lo rielabora in piena libertà, è possibile, ma illusorio. È
la Françoise di Linvitata che sviluppa pienamente questa posizione
attraverso il suo vissuto narrativo, ma non per questo meno filosofico. Si tratta di una
forma di mala fede che Beauvoir denomina «mala fede della trascendenza»: si intenziona
senza pensare di poter essere intenzionati, si pensa di non essere che coscienza,
soggettività. La posizione opposta, invece, consistente nel credersi solo corpo, è
quella del personaggio complementare dello stesso romanzo, Xavière. Anche Xavière
presenta una forma di mala fede, la «mala fede dellimmanenza», identificandosi
interamente con il proprio corpo, facendosi, col ritenersi tale, solo un oggetto.
Lequilibrio, i Fullbrook lo individuano nel giusto mezzo del sentirsi sia soggetto
che oggetto, sia uno sguardo che un essere visibile.
Così come a livello individuale, anche a livello collettivo (di gruppo) e civico
(concernente lintera società) possono stigmatizzarsi posizioni estreme, tanto che
intere categorie possono essere percepite stabilmente come loggetto (o lAltro)
di ciò che non sono, e vivere di sola immanenza, in una condizione di oppressione che
finisce per essere interpretata come immutabile, e interiorizzata dagli oppressi stessi.
Lequilibrio (che è poi anche etica, e nel pensare che Beauvoir abbia costruito
unetica i Fullbrook sono pienamente daccordo con Vintges) sta nella
reciprocità, cioè nello scambiarsi le posizioni di oggetto e soggetto e nella capacità
che ne deriva di essere liberi insieme. Concretamente, ciò si attua attraverso il
concepimento e lattuazione di progetti, che vengono prolungati oltre ciascuno
diventando il punto di partenza per qualcun altro, e attraverso la capacità di
identificare persone con cui solidarizzare allinterno del proprio gruppo, potendo
identificare un «noi» accanto allio. Ciò che Beauvoir fece identificando altre
donne a cui far riferimento nel suo progetto di emancipazione, come i Fullbrook mostrano
adeguatamente, ad esempio, nel capitolo sulla sua formazione, parlando
dellammirazione per Mlle Mercier, o, nel capitolo su Il secondo sesso,
facendo riferimento allimportanza che ha per Beauvoir la concezione che avevano
della donna donne emancipate (Mary Wollenstonecraft, Mme de Staël, Virginia Woolf
eccetera). Un riferimento, questultimo, che la prima traduzione inglese di Il
secondo sesso aveva oscurato con tagli molto inopportuni. La soluzione del problema
mente/corpo segue immediatamente da questa coppia categoriale e dalla sua articolazione.
E così accade per la soluzione al problema del solipsismo, che, fanno osservare i
Fullbrook, è stato trattato in maniera assai schematica e insoddisfacente dai pochi
filosofi che se ne sono occupati. Infatti, una volta fatta con Françoise
lesperienza della propria oggettificazione per opera di unaltra coscienza,
quella di Xavière, appare chiaro che non si può essere oggettificati se non da una
coscienza, il che prova che gli altri ne hanno una, e non sono automi.
La soluzione allantitesi tra lidea che esista un io trascendentale, o un
soggetto universale à la Kant, e un io slegato, mancante di un principio che
unisca le nostre percezioni à la Hume, verrebbe dalla «via di mezzo» (molto più
husserliana che beauvoiriana, per dir la verità) secondo cui la coscienza «è una
relazione», è, cioè, intenzionante, si trascende continuamente. Questa ricostruzione
della fenomenologia come scoperta di un campo intermedio viene argomentata dai Fullbrook
richiamandosi ad una tesi scritta da Beauvoir studentessa nel 1928, che comparava le
teorie di Hume e Kant. La maniera genuinamente beauvoiriana di applicare questa idea sta,
per i Fullbrook, nella creazione di identità narrative, che hanno la funzione appunto di
riconnettere percezioni altrimenti slegate (è questa lesperienza esistenziale della
Marguerite di Spirituale un tempo, il primo libro di Beauvoir, pubblicato per
ultimo): «Il sé o lio è "come una storia che si racconta a se
stessi"», scrivono i Fullbrook citando e interpretando Beauvoir, con una conclusione
non lontana da quella di Karen Vintges, quando parlava della foucaultiana art de vivre.
E veniamo al cognitivismo e al non cognitivismo etici e alla loro alternativa, che
probabilmente è più presente agli occhi dei Fullbrook, che si muovono in campo
analitico, di quanto non lo fosse a quelli di Beauvoir, filosofa continentale. Le due
posizioni consistono rispettivamente nellattribuire esistenza e descrittibilità ai
valori, o, al contrario, nel pensare che i valori li introduciamo noi nella realtà col
nostro sguardo, non esistono come esistono i fatti, e non sono quindi né veri né falsi.
La posizione di Beauvoir sta nellaver concepito la coscienza come intenzionante
anche nella ricerca (non solo teorica ma anche attiva) di una giustificazione per la
propria esistenza, ricerca che conduce alla creazione e scelta di significazione,
finalità e quindi di valori. Dunque i valori non si collocano né dentro né fuori la
realtà, ma presso il punto di incontro della realtà con chi la pensa, la intenziona, la
vive.
Il problema della metodologia delle scienze sociali sta nella possibilità delle due
posizioni estreme dellindividualismo e dellolismo metodologici. Secondo la
prima, tutti i fenomeni sociali si possono spiegare partendo dagli individui presi
singolarmente, il che sfocerebbe in una «ideologia innatamente oppressiva». Secondo la
seconda, invece, sono gli individui che sono spiegati a partire dalla loro posizione nei
contesti sociali. Il giusto mezzo sta nel concepire la metodologia nei termini
dellasimmetria ma anche della reversibilità (che sono, insieme, sinonimi di
reciprocità) in una teoria intersoggettiva (collettiva, cioè) della relazione tra
soggetto e oggetto.
Molti aspetti della vita, del pensiero e della produzione di Beauvoir sono trattati nel
libro, ma come dicevo, un po disorganicamente, perché è un peccato che alcune
considerazioni non vengano messe insieme. Si considerino ad esempio i tre seguenti punti.
1) Beauvoir è trattata come una pensatrice «highly influential» le cui realizzazioni
intellettuali non si accontentavano di rimanere sulla carta; 2) Sono identificati quattro
campi principali in cui letica di Beauvoir è diventata unetica applicata:
quelli del genere (le donne, Il secondo sesso), delletà (gli anziani, La
terza età), della razza (i neri negli Stati Uniti, di cui tra laltro
tratta LAmerique au jour le jour) e delloppressione politica (le lotte
per la decolonizzazione, trattate in La forza delle cose). 3) Si evidenzia
lidea beauvoiriana che la libertà degli altri «massimizza» la mia e il progetto
altrui (beninteso, anche intellettuale, di studio e di ricerca) che prolunga il mio
progetto continua e salva dalla vanificazione il mio progetto: «Il movimento della mia
trascendenza mi appare vano non appena lho trasceso; ma se attraverso gli altri la
mia trascendenza si prolunga sempre oltre il progetto che io formo in questo momento,
allora non potrò mai sorpassarlo».
Da queste tre considerazioni ben evidenti nel libro i Fullbrook non hanno tirato le somme
mostrando al lettore tutti modi in cui la libertà di Beauvoir è stata «massimizzata»
attraverso i conseguimenti degli altri autori che a lei si sono ispirati in tutti e
quattro questi campi di etica applicata. Cosa questa che in unintroduzione sarebbe
stata molto appropriata, quandanche soltanto con la eventuale menzione del fatto
che, al contrario della categoria delle donne, le altre categorie di oppressi, quelle
degli anziani, dei popoli ex coloniali e degli afro-americani, non sono state più
trattate da alcun autore seguendo limpostazione di Beauvoir.
Alcuni link:
Ricca scelta di siti amatoriali, articoli, studi, saggi, cronologie, immagini
http://www.geocities.com/Athens/
Troy/2967/debeauvoir.html
Biografia e altre notizie (in francese)
http://www.bvx.ca/RobeNoire/Beauvoir/Beauvoir.html
Raccolta di citazioni
http://www.cybernation.com/victory/quotations/
authors/quotes_beauvoir_simonede.html
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