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La sinistra, il mercato, la Rete


Marco Biagi, Paolo Pirani, Michele Salvati con Ada Pagliarulo e Paolo Martini

 

Nei documenti che hanno accompagnato e concluso il vertice di Lisbona, Internet viene accolto come l'evento che permettera' all'Europa crescita economica e aumento dei livelli di occupazione. L'alfabetizzazione informatica dei cittadini europei che il vertice si propone di ottenere garantira' loro "pari opportunita'": la Rete appare insomma ai leader della sinistra europea un vettore di democratizzazione delle nostre societa'.

Nei testi pero' si sottolinea a piu' riprese che e' necessario creare le condizioni perche' l'innesto riesca. E su questo, i Quindici sono tornati a casa in ordine sparso. Hanno tenuto fede al principio ispiratore del vertice: rendere l'Europa piu' competitiva, ispirarsi al successo della net-economy americana e nello stesso tempo salvaguardare il sistema di garanzie del welfare europeo. Quando concretamente si dovra' articolare la nuova societa' che avra' il compito di accogliere l'impulso della new economy, la sinistra dovra' confrontarsi con un mercato in cui si saranno moltiplicati i telelavoratori, e in cui i dati sulla crescita dell'occupazione andranno letti guardando ai numeri dei lavoratori a tempo determinato, sempre piu' atipici e sempre meno raggiungibili dai sindacati. E' ragionevole pensare che la net-economy portera' scompiglio nel fragile equilibrio delle relazioni industriali.

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Ne e' convinto Marco Biagi, docente di diritto del lavoro a Modena: "Certamente i lavori legati al settore dei servizi (cui il vertice di Lisbona ha inteso dare impulso) sono piu' intermittenti, profondamente diversi da quelli dell'industria manifatturiera. E il sindacato avra' difficolta' a rappresentare lavoratori che non stanno tutti insieme a una catena di montaggio, ma sono dispersi in strutture tra loro distanti. Sarą inevitabile modificare la disciplina del lavoro dipendente: la tipologia di contratto che leghera' queste new entry alle imprese e' quella della collaborazione coordinata e continuata. Certo, dovranno esserci tutele per la maternita' o la malattia: ma bisognera' pensare a come, per quanto tempo e con quali criteri economici andranno date queste garanzie".

Nel documento  stilato dagli economisti italiani e inglesi in preparazione della conferenza di Lisbona vi erano riferimenti precisi anche alle riforme auspicabili per centrare l'obiettivo: contrattazione decentrata, riforma dei sistemi pensionistici con un esplicito invito alla disincentivazione delle pensioni anticipate, riordino del sistema di collocamento al lavoro con l'apertura alla concorrenza delle agenzie private.

Nel contributo con cui ufficialmente il Governo italiano  si presentava a Lisbona vi era invece un vago accenno alla decentralizzazione della contrattazione. E il vertice si e' concluso con un incarico alla Commissione di preparare uno studio sulla sostenibilita' dei sistemi pensionistici europei. Del resto lo stesso Presidente della Commissione europea Romano Prodi, presentando il vertice, aveva fatto capire chiaramente che la riforma del welfare sara' oggetto di un prossimo incontro dei capi di stato e di governo europei.

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"Se cercano di riproporci vecchie ricette per la riforma del welfare (come la riforma pensionistica o le gabbie salariali) la risposta e' no" - dice Paolo Pirani, segretario confederale della Uil. Quanto alla contrattazione decentrata, il sindacato ritiene che essa possa accompagnare quella nazionale ma non sostituirla. "La flessibilita' - secondo Pirani - e' un'oppportunita' e una necessita'. Ma va usata bene". E va negoziata, "come e' avvenuto nel caso della Telon di Napoli, dove e' stato siglato un contratto che prevede 500 figure di collaboratori coordinati e continuativi che potranno usufruire di tutele che il lavoratore non avrebbe mai potuto ottenere individualmente su malattia e maternita'".

L'obiettivo "piena occupazione" su cui si e' impegnata l'Unione Europea non puo' non piacere ai sindacati: il piano prevede che si passi dall'attuale 61 per cento di occupati fra la popolazione attiva, al 70 per cento entro il 2010 (negli Usa la quota e' del 73,8 per cento). E' un impegno cui potremo tener fede? Michele Salvati, economista dell'area "liberal" dei Democratici di sinistra, ritiene di no: "Ci sono due modi per aiutare la crescita. Uno e' ridurre le tasse con sgravi fiscali; l'altro e' la contrazione dei salari, che ai sindacati non andra' mai giu'".

Sugli sgravi fiscali e contributivi per favorire lo sviluppo delle aree meridonali italiane, il nostro governo ha aperto da tempo un contenzioso con la Commissione a Bruxelles. La partita e' ancora aperta, ma il commissario Monti ha ribadito che non sono ammissibili i cosiddetti "aiuti di funzionamento", ovvero sgravi alle aziende gia' operanti, che sarebbero distorsivi della concorrenza. E' possibile, invece, sostenere i nuovi investimenti e le nuove attivita' produttive. E' innegabile pero' che - al di la' delle questioni legate ad alcune regioni economicamente depresse dell'Europa - torna a proporsi la necessita' di rivedere i livelli della nostra tassazione nazionale: "Il nostro sistema fiscale penalizza troppo le imprese", sostiene l'economista Marco Biagi.

"Crescita economica, pieno impiego e coesione sociale": queste le parole d'ordine con cui il governo D'Alema si presentava all'appuntamento di Lisbona. Quanto agli strumenti da mettere in campo al piu' presto per lanciare l'Europa nella corrente della new economy, tutti d'accordo sulla opportunita' di puntare sulla riqualificazione e la formazione permanente, l'informatizzazione di tutte le scuole entro il 2001, la liberalizzazione dei settori delle telecomunicazioni, la pubblicazione delle gare d'appalto sulla Rete, il ribasso delle tariffe di connessione ad Internet. Va cancellata la disparita' di condizioni tra chi puo' permettersi di navigare in Rete e chi - per ceto sociale, percorso lavorativo, o per effetto di un gap generazionale - ne resta escluso, incarnando una nuova forma di emarginazione: lo dice il testo preparato dal governo italiano per il summit.

Le tariffe di connessione europee al Web sono troppo alte rispetto a quelle statunitensi: l'immenso mercato che si aprira' con l'allargamento ad Est dell'Europa vuole entrare nell'e-commerce e diventare altamente competitivo, fino ad immaginare - come e' scritto nel documento della Commissione UE - un nuovo Rinascimento per il Vecchio Continente. Nel commercio elettronico il volume di scambi mondiale passa per il 75 per cento negli Usa. L'Europa e' al 15 per cento. Il premier inglese Tony Blair vuole fortissimamente una liberalizzazione accelerata nei settori dell'energia del gas e dei trasporti, ma Francia e Germania hanno imposto ritmi piu' rallentati. Blair ha anche energicamente strigliato la British Telecom per i costi troppo elevati della connessione a Internet. E il super-motore di ricerca Altavista ha promesso agli inglesi un contratto con abbonamento iniziale di 50 sterline per avere accesso alla navigazione gratuita sul Web.

In conclusione, la new economy rischia di portarsi dietro tutto il peso e i problemi dell'economia tradizionale. Ne e' convinto anche un osservatore dei fenomeni economici come Galapagos, decisamente lontano da ogni indulgenza verso le ricette del libero mercato: "Puoi anche dotare tutte le scuole di un computer. Ma cosi' influisci sui processi formativi e non su quelli produttivi". Per di piu', c'e un problema di infrastrutture. Un giorno una piccola azienda che produce pistoni in Italia si affaccera' sul portale Internet immaginato dal governo italiano e sara' in competizione con una sua omologa nell'Illinois o in Corea per rifornire i giganti delle case automobilistiche mondiali. "Io ordino un prosciutto via Internet. Ma poi il prosciutto deve arrivare". Parole di D'Alema, il presidente del Consiglio che vuol lanciare l'Italia nella new economy.


 

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