Caffe' Europa
Attualita'



“Morale e politica alle soglie del XXI secolo”


Intervista a Jacques Le Goff

 

Questa intervista fa parte dell’Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche, un’opera realizzata da Rai-educational in collaborazione con l’Istituto italiano per gli studi filosofici e con il patrocinio dell’Unesco, del Presidente della Repubblica Italiana, del Segretario Generale del Consiglio d’Europa.

L'obbiettivo è quello di diffondere nel mondo, tramite le nuove forme d’espressione e comunicazione sociale consentite oggi dalla tecnica, la conoscenza della filosofia nel suo svolgimento storico e nei termini vivi della cultura contemporanea.

Per ulteriori informazioni potete visitare il sito Internet:
www.emsf.rai.it

Professore, parleremo di XXI secolo, ossia di una storia non solo ancora tutta da scrivere, ma ancora tutta da fare. Quale può essere il contributo specifico di uno storico, nel parlare di tale argomento? Può la storia essere maestra di vita?

Può sembrare curioso, paradossale chiedere a uno storico di parlare dell'avvenire, del futuro, ma credo che bisogna intendersi su che cosa è la storia e su quale sia la funzione, il mestiere di storico. A lungo si è detto che la storia è la scienza del passato, ma sempre più gli storici - e la società che sta intorno agli storici - si rendono conto che, come aveva già detto Marc Bloch, lo storico francese, morto tragicamente nella Resistenza, fucilato dai Tedeschi nel 1944, di cui abbiamo commemorato quest'anno il cinquantenario: la storia è la scienza degli uomini in società, nel tempo. Bloch aveva precisato che la storia si fa con un doppio movimento: illuminando il presente mediante il passato - e questa è sempre stata la funzione della storia -, ma anche il passato mediante il presente, perché il passato si comprende meglio alla luce di quello che è successo dopo e alla luce delle questioni che gli pone lo storico, guardando alla propria epoca e ai suoi problemi. Marc Bloch aggiungeva: compete allo storico di interessarsi del futuro.

A questo punto bisogna evitare un'idea semplice quanto falsa: il determinismo storico. Se il presente e l'avvenire nascono dal passato e sono segnati dal passato, resta tuttavia una parte di caso: l'avvenire è un farsi, l'avvenire è inconoscibile e lo storico non è un indovino, non conosce il futuro, ma può e tanto più deve illuminare il futuro per ciò che conosce del passato e con l'analisi del presente. Infatti un'altra definizione dello storico è di essere lo specialista della continuità e dei cambiamenti nell'evoluzione delle società umane, attraverso il tempo. Lo storico deve reperire ciò che, a volte, sotto la copertura, sotto la superficie mutevole e brillante degli eventi, esiste come struttura, come fenomeno profondo e, d'altra parte, deve essere sensibile ai cambiamenti, perché la storia non è immobile e la società, le società, che essa studia, non sono immobili. Perciò io credo che lo storico debba interessarsi e abbia qualcosa da dire del modo in cui si annuncia il XXI secolo e possa formulare delle ipotesi illuminate e ragionevoli, per ciò che sa del passato e del presente, sul modo in cui entreremo nel XXI secolo. E questo è particolarmente vero, rispetto al problema che mi interessa anche in rapporto al mondo di oggi: quello dei rapporti tra morale e politica.

Il secolo XX si chiude all'insegna dello sviluppo di nuovi poteri o potenze, che sono anche grandi problemi della vita sociale, dai mezzi di comunicazione di massa col trionfo del tempo reale, all'equilibrio ecologico del pianeta, dai nuovi strumenti e utensili della tecnica alla bio-ingegneria e alla genetica. Ciascuno di questi poteri-problemi ha un forte profilo etico, per cui si sono posti al secolo XX, al nostro tempo, problemi di etica grandiosi, e senza precedenti. Quale potrà essere, a proposito, la prospettiva etica del XXI secolo e che cosa si può dire dal punto di vista dell'etica di sempre?

Dunque la storia non è, come hanno creduto un po' ingenuamente, i grandi pensatori e gli storici del Rinascimento, maestra di vita, "magistra vitae", ma è, e deve essere, una luce proiettata sulla vita, sull'evoluzione delle società, sul tempo, e quindi, per ciò che ci concerne, oggi, una proiezione sull'avvenire. Tra le cose che cambiano, - ciò che ci colpisce di più sono evidentemente i cambiamenti - c'è la novità di quelli che Lei ha chiamato i "nuovi poteri" - e chi dice potere dice politica, perché noi tutti sappiamo perfettamente oggi che la storia politica è storia del potere, dei poteri, e sappiamo che questi poteri non sono soltanto la vita politica nel senso ristretto del termine, ma i poteri economici, i poteri di persuasione, che fanno una società. E allora, evidentemente, come lei ha notato, siamo di fronte a novità straordinarie.

La prima, a cui si pensa normalmente, sono i nuovi mezzi di comunicazione. Tra questi ce ne sono alcuni, che hanno avuto uno sviluppo più importante anche se esistevano da un certo tempo, è proprio il secolo XX l'epoca del loro sviluppo. Si pensi alla stampa e alla radio. Ma è soprattutto alla televisione che noi pensiamo. Il fatto che ci obbliga a introdurre considerazioni di ordine morale nel discorso sulla televisione è che questo potere sembra lasciare poche difese ai telespettatori, che si trovano manipolati non soltanto dai padroni della televisione, ma dalla stessa immagine, dall'immagine televisiva. Sto dicendo una banalità, ma è qualcosa di cui bisogna aver coscienza, perché è assai difficile difendersene, specialmente perché dà l'illusione che, per la prima volta, dall'invenzione della fotografia - ma la fotografia, essendo un'immagine fissa, ha molto meno potere -, siamo di fronte alla realtà.

La televisione si presenta come il vero. Ora noi sappiamo, ma abbiamo difficoltà a capirlo e ad analizzarlo, che la televisione può mentire. Faccio solo un esempio che ha molto colpito in un passato recente: gli eventi relativi alla fine del regime di Ceausescu, in Romania, in cui sono stati mostrati dei carnai come conseguenza dei massacri perpetrati in occasione di quegli eventi e che, di fatto, erano cadaveri dissepolti, più o meno recenti. Qui direi che lo storico è proprio necessario perché c'è qualcosa di sua competenza. Insieme con i giornalisti deve fornire una critica del documento televisivo. Lo storico con i suoi metodi è uno specialista della critica del documento e perciò deve collaborare con i giornalisti nel tentativo di trovare ciò che c'è di realtà effettuale, di verità nelle immagini televisive. Non si tratta soltanto di una questione tecnica: cercando la verità dell'immagine, denunciando le manipolazioni di cui è stata eventualmente oggetto, come fa con i documenti falsi del passato, lo storico introduce una necessità, introduce una volontà morale nella critica e nell'uso della immagine televisiva.

Non ho qui il tempo di analizzare ciò che, al di là della televisione, prende oggi forme quantitativamente e qualitativamente angoscianti: per esempio, la propaganda e, nel campo che ci interessa, la propaganda politica, specialmente, ma non soltanto, attraverso il mezzo televisivo. Allora io dico subito ciò che ogni storico sa bene, e che non è un fenomeno del tutto nuovo. Ho partecipato due anni fa a un colloquio estremamente appassionante a Trieste su invito del professor Cammarosano, sulla propaganda politica nel Basso Medioevo. Abbiamo potuto constatare come quella propaganda politica si sviluppava, prendeva nuove forme e tra le complesse spiegazioni di quel fenomeno abbiamo accettato quella per cui un elemento di capitale importanza era lo sviluppo delle tirannidi, delle signorie di tipo tirannico. Si vede che c'è un nesso su cui la morale deve intervenire perché grazie ad esso certe forme politiche che disprezzano i valori umani e sociali si trovano rafforzate dall'uso dei mezzi di comunicazione. Ancora più angoscianti sono, come Lei ha detto, i progressi scientifici e tecnologici.

Dei progressi tecnologici ne considero solo uno tra i tanti e dirò qualcosa sul movimento dei mezzi di circolazione. Prenderò l'automobile. L'automobile fornisce all'uomo la possibilità di spostarsi a una velocità sempre più grande. Ebbene, senza entrare nei particolari, dirò che la resistenza alla passione e all'ebbrezza della velocità, riveste dal mio punto di vista un carattere profondamente morale e deve essere oggetto, al tempo stesso, di regolamentazione giuridica e di formazione morale. Ma qui vediamo delinearsi un problema. Per lo più, quando parliamo di etica e di morale, ci troviamo grosso modo davanti a una scelta tra il bene e il male. Ora, con questi nuovi poteri, non si tratta di questo, perché tutto un aspetto di questi poteri dipende da progressi assolutamente positivi: la televisione porta agli uomini informazioni e divertimenti che fanno progredire le società e gli individui. C'è nel gusto per la velocità, lo dico subito, qualcosa di inebriante in un senso legittimo, dunque il problema non è di rifiutarlo, ma di controllarlo.

Dirò che quello che mi appare più angosciante forse, alle soglie del XXI secolo, sono i progressi delle scienze biologiche, specialmente nel campo della genetica. Si può giocare con l'embrione, si possono far nascere dei bambini al di fuori delle normali condizioni del concepimento e della nascita, si può modificare il capitale genetico degli uomini. E anche qui vedo un aspetto inebriante e forse positivo. Penso a un collega; eminente medico e biologo, che parla spesso dei progressi che si sono fatti per stabilire la mappa genetica di ogni individuo. La mappa genetica è alla base di una nuova branca, di un nuovo settore della medicina, che nel XXI secolo acquisterà sempre maggiore importanza: la medicina preventiva. Secondo lo stato dei geni si potrà sapere quali sono le malattie che il soggetto, ancora bambino quando la mappa viene tracciata, avrà più probabilità di contrarre, quali sono i rischi che corre e di conseguenza si potrà, in molti casi, prevenire, rimediare. E' un grande progresso.

Ma vediamo, al tempo stesso, che cosa possono diventare, e non soltanto nelle mani di uomini folli o perversi, i nuovi poteri, in particolare nel campo della genetica. E' un fatto nuovo e non nuovo. Non è nuovo dal punto di vista dei sogni, dei miti dell'umanità. Basti pensare a Faust, a Frankenstein. La letteratura e il cinema difatti mi sembrano porre assai bene questo rapporto tra potere sul corpo, sulla materia, sull'uomo da una parte, e morale dall'altra. In generale viene presentato uno scienziato geniale, ma perverso, e l'ispirazione morale che muove gli scrittori e gli autori di film fa terminare la storia con un insuccesso e una catastrofe. Penso a certi capitoli sorprendenti della storia, e specialmente di quella medioevale, della quale mi interesso un po' più che delle altre, in particolare ai lavori del mio collega e amico, professor Pallavicini Bagliani, che hanno mostrato come nel XIII secolo, nella curia pontificia, i papi, i cardinali e nelle università parecchi ecclesiastici di alto rango o grandi teologi come il francescano inglese Roger Bacon, hanno sognato di prolungare la vita dell'uomo, e si sono preoccupati anche del modo di trattare i cadaveri.

Agostino Pallavicini Bagliani ha appena pubblicato un bellissimo libro intitolato "Il corpo del papa", in cui troviamo questi sogni. Sono dunque da lungo tempo questi i sogni dell'umanità. La novità è che in molti casi adesso sembra che si possano realizzare. Allora quale deve essere il nostro atteggiamento davanti a questi pericoli, tenendo sempre ben presente che si tratta piuttosto di deviazioni e di perversioni, che non di un male in sé e per sé? Che cosa possiamo fare? Dapprima, a livello dell'analisi dei principi morali, che vanno messi avanti, credo che bisogna tornare semplicemente a quel grande filone della civilizzazione, che ha avuto il bel nome di Umanesimo. E' una concezione dell'uomo, è un modo di comportarsi dell'uomo nella storia. E' necessario un Umanesimo dei nuovi poteri dell'uomo. Come definire questo Umanesimo? Lo vorrei definire a partire dal Cristianesimo, che è stato il grande motivo ispiratore delle nostre civiltà e delle nostre culture. Ma mi affretto ad aggiungere che non solo sono persuaso, ma so con certezza, che le altre religioni, le altre culture e le culture laiche, le culture agnostiche hanno preoccupazioni affini. Penso, a questo proposito, che forse uno dei compiti del XXI secolo sarà di ricercare ciò che nelle religioni, nelle culture, nei sistemi di valori c'è di universale.

Noi abbiamo vissuto un secolo che ha sottolineato le differenze. E va bene, perché la considerazione delle differenze induce normalmente alla tolleranza, ma le differenze possono essere anche causa di conflitti, di guerre. Noi dobbiamo ricercare l'universale. Ora, che cosa dice dell'uomo, in generale, il Cristianesimo? Da una parte dice che è fatto a immagine di Dio, dall'altra che c'è il peccato originale. Traduco in termini laici: l'uomo, se così posso dire, è la combinazione di un essere, che ha in sè qualcosa di divino, ma è anche profondamente soggetto a errare. Ebbene, dobbiamo sforzarci di gestire i nuovi poteri dell'umanità, avendo ben presente alla coscienza che dobbiamo rispettare la dignità dell'uomo, tenendo conto delle sue debolezze. Capisco che è un programma vago, ma credo che sia necessaria la combinazione, la collaborazione di parecchi sforzi e, in primo luogo, uno sforzo legislativo. Ci vogliono delle leggi. Il XX secolo, che ha commesso tanti crimini, ha tuttavia visto svilupparsi l'idea dello stato di diritto e noi dobbiamo sempre più sviluppare nella pratica lo stato di diritto. Considerato che occorrono delle leggi e leggi che non siano puramente repressive, io penso, a dire il vero, soprattutto a leggi che permettano di prevenire.

Come nella medicina la prevenzione è più importante della cura, così nel campo della legislazione, si può prevenire con le leggi. Ci vuole anche quella che si chiama trasparenza: evitare le situazioni di segreto. Ci vuole un massimo di chiarezza e di controllo. A questo riguardo dirò una cosa: noi tutti vediamo, perché è sotto i nostri occhi, la fortissima corruzione che esiste, per esempio, in società che sono pure società democratiche, e non sarò io a negare la gravità di questo fenomeno. Ma noi abbiamo dimenticato quello che succedeva ancora fino a poco tempo fa e succede ancora in questa o quella parte del mondo. Lo storico sa che la corruzione nei sistemi politici è molto antica e che, a causa del segreto nei sistemi politici autoritari, nelle dittature, la corruzione non veniva alla luce, dato il numero ristretto dei beneficiari - ma più che di numero ristretto dovrei parlare di rete, più o meno segreta, di beneficiari. Il regime democratico di cui, senza dubbio, dovremo riparlare, costituisce, nonostante tutto, una certa garanzia di lotta contro la corruzione e di controllo del potere. e poi ci vuole un'altra cosa. Ci vuole l'educazione civica e l'appello alla coscienza di ogni uomo.

Credo che i grandi progressi siano stati fatti attraverso appelli alla coscienza e nuove possibilità date alla coscienza di esprimersi. Ma non sono così ingenuo da pensare che questo basti a proteggerci dal pervertimento dei nuovi poteri. Si permetta al medioevalista di fare un esempio di questo fatto capitale, come ce lo presenta l'esperienza storica: in generale ciò che appare un progresso e che effettivamente è un progresso porta con sé un lato d'ombra, che segna un regresso corrispondente proprio là, dove si era fatto qualche passo avanti. Voglio fare l'esempio di un cambiamento che si è prodotto nell'Europa cristiana intorno al XII e XIII secolo nelle procedure di giustizia. Fino ad allora vigeva la procedura che il giurista chiama "accusatoria": bisognava che una persona accusasse un'altra di aver commesso un misfatto o un delitto perché la giustizia intervenisse. Ormai non si vuole lasciare più al caso delle denunce individuali o collettive la punizione dei delitti e dei crimini e si decide che i giudici stessi, con il metodo dell'inchiesta, debbano individuare e mettere sotto accusa i colpevoli. Sembra un grande progresso.

Questa procedura viene chiamata "inquisitoria". Appena si pronuncia questo nome, si capisce che è nato il Tribunale dell'Inquisizione, instaurato dalla Chiesa. Che cosa si voleva ottenere? Si voleva ottenere la confessione per condannare qualcuno; e questo sembrava un grande progresso. Bisognava che il colpevole si riconoscesse tale, confessasse. Allora si era quasi certi di giudicare un colpevole. Ma poi si è voluto ottenere in fretta e con la forza la confessione. Ne è nata la tortura. Perciò il progresso, che è il tema della nostra lezione di oggi, ha una doppia faccia, a cui bisogna porre mente.

Dal punto di vista politico, e sociale, il secolo XX, il nostro secolo appunto, si è travagliato profondamente intorno ai problemi della libertà e della democrazia, dei nazionalismi, dell'ordine internazionale, della pace. Si può parlare di un frutto conclusivo dell'esperienza di questo secolo al riguardo? Siamo veramente alla fine della storia, come qualcuno ha detto, rispetto a questi problemi? Il secolo XXI ci porterà un nuovo contratto sociale e un nuovo statuto internazionale?

A noi, che abbiamo vissuto e che viviamo ancora i drammi, gli sconvolgimenti del XX secolo, può sembrare curiosa l'idea che il progresso generale debba concludersi con la fine della storia, cioè che, da un processo dialettico di conflitti si sia arrivati ad una situazione che si presenta come la situazione definitiva, normale della società. Anche qui dobbiamo tentare di valutare, ma soprattutto di scrutare i meccanismi, in base ai quali ciascuno dei valori di cui lei ha parlato comporta, insieme con un aspetto progressivo, dei pericoli - pericoli che, disgraziatamente, si sono spesso realizzati. Farò solo qualche rapida considerazione sulla libertà, anche se si tratta di un valore essenziale. La libertà è stata trattata assai male nel XX secolo. E' vero che in parecchi punti c'è stata una restaurazione, una affermazione del valore individuale, collettivo, nazionale della libertà, che può far pensare a un suo trionfo.

Ma, attenzione! Al tempo stesso vediamo che, secondo una formula della Rivoluzione francese, che si trova nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo, la libertà di ciascuno si ferma là dove comincia la libertà del prossimo. Dunque la libertà è un termine sotto il quale dobbiamo mettere istituzioni e comportamenti oltre che valori. Per fare un esempio, che si può capire facilmente, la libertà economica, che ha generato il liberalismo economico, porta a un duro regime di ineguaglianza, dove insorgono continuamente conflitti e dove la libertà può diventare un valore e una parola d'ordine solo se è resa esplicita e se è guidata ancora una volta da preoccupazioni morali. Democrazia. Democrazia è una parola di cui lo storico sa bene che ha designato nel tempo realtà differenti. La democrazia appare nell'antichità con le città greche e in particolare ad Atene, ma sappiamo che il popolo a cui si riferisce la parola "democrazia" - che significa "potere del popolo" - era "popolo" in un senso ristretto, era una minoranza, erano i cittadini di pieno diritto, da cui erano escluse le donne, gli stranieri, i metechi e, a maggior ragione, la massa degli schiavi.

Ma non bisogna nemmeno dimenticare che importante progresso ci sia stato quando un gruppo di uomini - del resto differenti per ricchezza e potenza - hanno proclamato il diritto a essere uguali e a governare. Abbiamo visto ideali di democrazia e istituzioni democratiche sorgere gradatamente, facendo continui progressi, ma anche producendo sempre nuovi pericoli. Oggi io credo che, quando si parla di democrazia bisogna essere attenti alla profonda linea di demarcazione che isola le forme di democrazia legate allo stato di diritto di cui parlavo prima e che io situo sempre in un dato momento storico - linea costituita dalla democrazia rappresentativa, la forma istituzionale e politica che garantisce, io credo, nel modo migliore quelle aspirazioni verso l'uguaglianza, la giustizia, il diritto, che la democrazia rappresenta. Io so bene che questo tipo di democrazia lascia sussistere delle ineguaglianze, specialmente nell'ordine economico e sociale. Ma all'altro estremo di ciò che oggi passa sotto il nome di "democrazia" ci sono forme più o meno anarchiche, più o meno irrazionali, di democrazia diretta, in breve ciò che noi chiamiamo "populismo", con un termine che, in diversi contesti, ha acquistato di recente sempre più importanza.

Non posso fare un discorso su questo tema e continuo a pormi dal punto di vista della morale, non faccio una presa di posizione politica, ma credo che certe forme, certe idee di democrazia possano nascondere il pericolo dell'irrazionalismo populista. Anche una dittatura della ragione può essere immorale, ma non c'è potere morale che non sia fortemente compenetrato dalla ragione: è questa, io credo, una conquista dell'umanità. Nazionalismo. Il nazionalismo è uno dei pericoli più evidenti e tuttavia siamo ancora, sotto questo aspetto, vicini al XIX secolo e viviamo quasi un prolungamento del XIX secolo. Uno dei suoi più grandi progressi è stato il diritto dei popoli all'autodeterminazione. Si coglie qui il nesso tra indipendenza e nazionalismo - che io preferisco chiamare patriottismo. Riprendo adesso la dialettica, semplice ma efficace, del lato buono e cattivo di una stessa nozione. Del nazionalismo sono solito dire che è come il colesterolo. I medici dicono che c'è un colesterolo buono e uno cattivo, ma l'azione del colesterolo (è necessaria). Lo stesso si può dire del nazionalismo. Bisogna vedere qual'è il nazionalismo legittimo, il nazionalismo che non mente con il suo passato, il nazionalismo che rispetta gli altri.

Qui siamo davanti a un'affermazione della nazione nel rispetto delle altre e della verità: penso in particolare alla verità storica. Il mio dovere di storico è dire che c'è una morale storica consistente nel tentativo di cercare, di mostrare, di diffondere ciò che è giusto dire sulla verità del passato. Ci sono parecchie interpretazioni del passato, ma alcune sono insostenibili. In generale il cattivo nazionalismo si appoggia su manipolazioni del tutto illegittime e, per cominciare, proprio a livello scientifico, a livello storico. Dunque anche qui io credo che noi dobbiamo far progredire il lato positivo. Quanto all'idea che potremmo trarre dagli aspetti positivi di queste nozioni: libertà, democrazia, nazionalismo, ciò occorre per pensare che la storia sia arrivata alla fine, sia pervenuta a uno stato di quiete, io ci vedo un errore o, almeno, una illusione, che lo storico, con la sua esperienza, ha il dovere di denunciare, tanto più che conosce altri sforzi utopistici di questo genere.

Penso spesso, quando mi si viene oggi a parlare di fine della storia, a quello che ha scritto nella metà del XII secolo un vescovo, un cronista tedesco, Ottone di Frisinga, che non era uno qualsiasi, ma lo zio dell'imperatore Barbarossa, e che ha detto: ormai la lotta tra l'Impero e la Chiesa, tra l'Impero e il Sacerdozio si è placata. Le nazioni più importanti sono state evangelizzate, cristianizzate, la storia è arrivata alla fine. Basterà che il Papa e l'Imperatore governino bene e non ci saranno più grandi sconvolgimenti storici. Così parlava lo sventurato verso la metà del XII secolo, che non è stato un secolo di tutto riposo. Per nostra sfortuna è chiaro che non è possibile. Non sappiamo quando la storia si fermerà e se si fermerà. Ad ogni modo possiamo dire che non è affare di domani. La storia non si fermerà alla soglia del XXI secolo. E dobbiamo fare che sia per il meglio.

Lei ha fatto un accenno alla corruzione. Crede che dalla civiltà politica del XXI secolo potremo finalmente avere una risposta positiva al problema della corruzione, che ha tormentato tutte le formazioni politiche che conosciamo? Potremo avere una struttura e una vita politica immuni da questo rischio?

La Sua domanda è imbarazzante, perché mi costringe a scegliere tra ingenuità e pessimismo, mentre io sono per un ottimismo lucido. Non cerco scappatoie, cercherò di risponderle. Sono un po' perplesso su ciò che potrà fare il secolo XXI a questo proposito. Credo tuttavia, ed è una cosa che mi rassicura, che in quasi tutto il mondo al giorno d'oggi sale la protesta contro la corruzione e quello che mi sembra più importante è che non si limita a condannare e a persguire i responsabili, ma indaga su ciò che nelle istituzioni permette e, direi quasi genera, la corruzione e che va rimosso. Anche qui ho un ricordo da storico, da medioevalista. Qual'è stato nel Medioevo - parlo soprattutto del periodo tra il X e il XII secolo - il modo di corruzione che sembra essersi sviluppato di più e che è stato più attaccato? La simonia. La simonia era il modo tenuto da molti ecclesiastici per ottenere cariche importanti o prebende. Questo fatto avveniva in generale ai livelli più alti della Chiesa, per ottenere una sede vescovile o un posto di canonico in un capitolo, al tempo stesso, ricco e potente, ma poi la pratica si era diffusa per ottenere anche semplicemente una parrocchia: la si comprava.

Il termine di simonia, come è noto, viene dal Vangelo, da Simon Mago, che ha tentato di comprare dagli Apostoli il potere sovrannaturale, che attribuiva loro. Dunque la simonia è stata combattuta, grosso modo, con successo non soltanto perseguendo le persone: penso che certi misfatti debbano essere puniti avendo riguardo alla distinzione tra corruzione per fini personali e corruzione per fini collettivi, dovuti al sistema. Disgraziatamente si sono sviluppati, anche nei nostri paesi democratici dei sistemi che hanno portato alla corruzione. Allora, come prima cosa, è necessario, mediante una legislazione adeguata, evitare che il sistema si offra alla corruzione. Le forme peggiori di corruzione, come la simonia di cui ho fatto cenno e che si è sviluppata in modo intollerabile, si sono manifestate in concomitanza con il diffondersi dell'economia monetaria. Sarebbe un altro grande tema il potere del denaro, un potere che bisogna moralizzare, che bisogna continuamente moralizzare, perché è un'impresa di lungo respiro.

Non so, io appartengo forse alla tendenza cristiana che non ama il denaro, ma penso che si debba avere, nei confronti del denaro, una posizione lucida. Detto ciò, penso che, quando è in causa il denaro, la corruzione è particolarmente grave, ma bisogna anche evitare la corruzione del nepotismo, la corruzione negli appalti. Ci vuole una legislazione, ci vuole un grande sforzo di trasparenza per essere obbligati a dire e per poter sapere quello che avviene. Ciò che ci impedirà di realizzare, in tempi brevi, l'eliminazione della corruzione - credo che nemmeno il secolo XXI la realizzerà completamente - è il fatto che ci sarà ancora la coscienza individuale e quello strano atteggiamento dell'animale umano, che si può sintetizzare nelle parole del poeta Properzio, se non sbaglio: vedo il bene e seguo il male. Non parlo di natura umana, parlo piuttosto di situazione dell'uomo nella storia: è questo il mio interesse, il mio punto di vista, il mio mestiere.

Il XXI secolo dovrà fare un passo indietro. Ciò che mi rende relativamente ottimista è l'impressione che, in definitiva, il grande evento forse del XX secolo è stato la crisi del progresso. La nozione - e la realtà - del progresso è cominciata con la rivoluzione scientifica inglese del secolo XVII, si è sviluppata con lo spirito dell'Illuminismo e ha trionfato soprattutto con i progressi scientifici del XIX secolo. Nel secolo XX ci si è accorti che sia nelle scienze, sia in politica, nel lato utopistico del marxismo, il progresso non aveva la forza che gli era stata attribuita, non era né generale, né lineare. Il progresso è entrato in crisi. Ma ho l'impressione che siamo arrivati forse a un punto di esasperazione della crisi del progresso, che è anche un punto di svolta. E penso che un progresso più lucido e meno ambizioso - ma bisogna, per questo, controllare i nuovi poteri - potrà essere rilanciato, perché l'umanità ne ha bisogno. Noi abbiamo bisogno anche al di fuori di ogni religione positiva, di avere un fine, uno scopo - non una fine - nella storia, una meta che ci attragga e ci permetta di migliorare. Ho l'impressione che da questa crisi, che è una crisi terribile di mutazione, noi forse stiamo cominciando a uscire. Non parlo della crisi economica, che ne è solo un aspetto, parlo di una crisi più generale e credo che si rimetterà in marcia, senza più gli errori, o piuttosto le illusioni, del XIX e del XX secolo, il progresso di cui abbiamo bisogno.

La storia moderna e le sue prospettive concettuali e morali sono state una iniziativa e una proiezione soprattutto dell'Europa. E il secolo XXI?

Per me che parlo e per voi, cui mi rivolgo, è certo che l'Europa è al centro delle nostre preoccupazioni. Quanto a me sono persuaso che l'Europa è una iniziativa di progresso. Beninteso questo dipende anche dal modo in cui faremo l'Europa. Penso, per esempio, che l'Europa debba essere più culturale e più sociale di quanto non appaia oggi nei progetti dei politici. Direi quasi che c'è una moralità implicita nella costruzione dell'Europa. In primo luogo una cosa, su cui tuttavia non si insiste abbastanza, è che l'Europa deve impedire veramente il ritorno della guerra in Europa. L'Europa sarà presa dentro rapporti che renderanno la guerra impossibile in Europa. E subito si presenta l'esempio della ex Jugoslavia. Si dice: qui siamo in Europa. E che cosa accade in Russia? Lascio da parte il problema della Russia. L'europeismo del mondo russo è un problema. Ma per l'ex Jugoslavia non ci sono dubbi: qui siamo in Europa. E credo che sia ancora un conflitto - che spero sia l'ultimo, terribile - del XIX secolo.

E' appunto un conflitto del cattivo nazionalismo. E ha potuto svilupparsi, come si è sviluppato, proprio perché, tra l'altro, l'Europa non è abbastanza forte. Dunque io penso a un'Europa della pace. D'altra parte tendo a credere che più saremo numerosi, più sarà fecondo l'apporto, la collaborazione delle nostre rispettive tradizioni etiche. Penso sempre all'idea che il male, come dice il nostro poeta Claudel, "si fa in un buco", e credo che più si è ristretti in un piccolo spazio, più probabilità c'è che il male si sviluppi. Dunque ci saranno meno possibilità di un pervertimento del potere. Ma attenzione! Bisogna che questa Europa non si chiuda agli altri: questo è il vero pericolo. Di nuovo bisogna che ci sia una morale dell'Europa di fronte agli altri su due punti fondamentali: innanzi tutto che essa per prima si apra, prendendo qualche legittima precauzione, ma che si apra, culturalmente, psicologicamente, che si apra di cuore agli emigranti. E' un tema assai vasto, è un problema enorme, uno di quelli che il secolo XXI, l'Europa del XXI secolo, è chiamata a risolvere.

L'Europa non ha davanti a sè altre prospettive, altre vie, altre soluzioni. Il secondo punto è di non chiudersi al Terzo Mondo. Tutto ciò che avviene di immorale è favorito dalla divisione, dalla frammentazione dell'umanità: una volta le guerre tra i blocchi, oggi le differenze tra continenti, la pretesa superiorità degli uni sugli altri. C'è qualcosa di generoso nell'idea della fine della storia, ma disgraziatamente ne siamo lontani e bisogna che l'Europa non rappresenti un progresso politico e morale soltanto per gli Europei, ma per l'intera umanità.

Quindi possiamo concludere che anche l'etica del XXI secolo non avrà nessun automatismo, imporrà gli stessi problemi e compiti di responsabilità dell'etica di sempre?

Credo che la vita delle società umane e degli individui, che la storia in definitiva sia quella di sempre. Essa impegna non solo la responsabilità della società, ma la responsabilità di ognuno di noi. La storia non è fatta una volta per tutte, non è scritta in anticipo su un gran libro celeste: sono gli uomini a farla. E credo che per assolvere al suo compito il XXI secolo, che è il risultato della storia, dovrà tener conto della lunga durata, che ha posto questi problemi, ma ha indicato pure in quale direzione devono essere cercate le soluzioni. Quella del XXI secolo sarà la storia di un progresso non disgiunto dall'etica, conseguito con una politica che sarà al tempo stesso morale.

(Traduzione: Francesco Fanelli)

 

Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti da fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui

Archivio Attualita'

 


homearchivio sezionearchivio
Copyright © Caffe' Europa 1999

Home | Rassegna italiana | Rassegna estera | Editoriale | Attualita' | Dossier | Reset Online | Libri | Cinema | Costume | Posta del cuore | Immagini | Nuovi media | Archivi | A domicilio | Scriveteci | Chi siamo