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Premessa dell'autore: Chi
vuole aggiunge un capitolo!!
‘Aghenor’
- Il clone e la Rete
Alessandro Ovi
8. Lo scambio di persone digitale.
La sfera sul cubo nero si allargò di nuovo.
I contorni di un ambiente abbastanza
piccolo, molto luminoso e
pieno di colori presero forma.
Nonna e nipote entrarono silenziose nella bolla e si trovarono in una
stanza quadrata, il volume di un cubo.
Non c’erano mobili, non c’era nulla;
Diana seduta con le gambe incrociate su un sottile materasso blu
guardava, dalla parete di lumen, fuori verso i boschi a occidente.
Un ambiente vuoto, ma non dava la sensazione di vuoto.
Due schermi al fianco della
finestra di lumen, ed altri due che coprivano completamente le pareti ai
lati, portavano immagini di mondi
e di
genti diverse.
In rapida successione comparivano paesaggi e volti di persone che con le
loro suggestioni, le loro espressioni, irraggiavano attorno, di volta in
volta atmosfere nuove, vicine e lontane.
Era un susseguirsi di foreste, piramidi, coni e sfere di luce, scoppi di
riso o ombre di tristezza, quasi che emozioni ed immagini si
completassero tra loro in un tutt’uno
di mondi e di anime.
Non tanto cartoline o ritratti, le immagini correvano veloci; parevano
vere nella profondità degli spazi, nella definizione dei dettagli e dei
colori.
‘Che cos’è?’ disse
Katia indicando col dito in un gesto circolare.
‘Sono ricordi, Katia;
ricordi che Diana e sua madre hanno
immagazzinato nella loro memoria estesa in rete;
quando lei si
rilassa nel suo cubo, li fa scorrere sugli schermi e li rivive non come
le fossero dentro, ma dal di fuori.’
‘Dentro, fuori, che vuol dire?’
‘E’ un po’ come Aghenor, che si sente tranquillo se è circondato
delle sue vecchie cose.
Diana vecchie cose non ne ha, ma le immagini del
passato suo e di quello di sua madre le fanno compagnia.’
Katia stava in piedi davanti ad uno schermo azzurro, senza immagini, le
mani sulle guance attorno alla bocca.
“Luna, ho bisogno di vederti, debbo parlarti”
“Dimmi Diana, sono qui, dimmi”
“No Luna, no. Dobbiamo incontrarci; non voglio parlarti sulla rete”
“Che succede, mi sembri strana…”
“Credimi, Luna, vediamoci all’olosferio,
lì potrò dirti”
“Va bene, va bene, tra mezz’ora lì”.
Diana si alzò, passandosi le mani sul volto
Camminò in tondo nella piccola stanza, un paio di volte. Un gesto della
mano destra su uno degli schermi per aprirlo e prendere il mantello
nero, lungo, poi buttato sulle spalle. E subito nonna Diana e Katia la
seguirono sul marciapiede bianco di lastroni bianchi di un marmo
sintetico lucido, attraverso un largo prato di ‘turf ’ verde.
Nella luce dell’autunno, accompagnata dalla sua lunga ombra Diana si
avviò lentamente verso una piazza dove bambine, ragazze, donne, si
intrecciavano veloci su pattini, sottili, lame di luce, che non
toccavano il liscio terreno azzurro e scivolavano senza alcun rumore.
Diana si fermò sul bordo del piazzale e restò ferma a guardare. Due
delle giovani che pattinavano veloci si avvicinarono a lei e agitando le
braccia e si fermarono
proprio di fronte a lei.
“Ciao Diana, buon compleanno”
“Ciao Ariel, ciao Venus, grazie”
“Che c’è, non sei molto su”
“Lo sai è per la tesi, oggi avrei dovuto concludere”
“Ma quante storie….., per un po’ di mesi di attesa, poi lo sapevi
che con la sperimentale si corre il rischio di perdere un po’ di
tempo. Poi che fretta hai di riprodurti”
“Non è la fretta, è l’amarezza …”
“Io il clonatore l’ho da due anni e non l’ho mai usato … forse
non lo userò mai”
“Neanch’io l’ho usato, per me, ma ho clonato Sybil la mia gatta ; eccola qui.”
Cosi’ dicendo apri’ lo zainetto che aveva sul petto ed estrasse una
gattina nera, tutta nera con gli occhi
rossi.
“Ma non e’ come Sybil, non e’ bianca, e’ nera.”
“Certo, le ho cambiato il colore del pelo, adesso mi piace cosi’.
”
“La gatta nera, come Diana.”
Diana sorrise; “E’ vero, mi chiamano sempre la gatta nera gli amici
che non sopportano i colori.”
Si avvicino’ ed accarezzo’ sul dorso la gattina che accenno un
inizio di ‘fusa’ .
Katia si protese in avanti quasi volesse toccarla anche lei.
“Che bella, nonna, perché non possiamo averne una anche noi?”
“No, Katia, gli animali non stanno in casa da noi, e poi tuo padre
comunque non vorrebbe ed i tuoi fratelli finirebbero per farle del
male.”
“Io la voglio, perche’
non chiediamo a Ariel di farne una anche per me, cosi’ la portiamo da
noi di nascosto?”
“Ma no Katia, non si puo’ perché e’
impossibile prenderla con noi.
Quello che vedi e’ solo una registrazione di un passato lontano. Sono
immagini che sembrano vere, ma sono solo immagini”.
Katia rimase triste a guardare Ariel che richiudeva lo zainetto e
diceva:
“Dai gatta, vieni a pattinare con noi”.
Diana con un sorriso, triste, ma sempre un sorriso, sollevò le braccia
dal mantello nero si chinò, e schiacciò due bottoni sui talloni degli
stivaletti alti, anch’essi neri. Dalle suole con un leggero ‘buzz’
uscirono due lame di luce e anche Diana come le altre fu sollevata
leggermente da terra e iniziò a scivolare.
Ariel e Venus la presero sottobraccio e la portarono con loro nel centro
del piazzale dove tante altre passando loro vicino agitavano la mano, a
salutare Diana.
“Voglio provare anch’io” disse Katia
“Pattinare proprio non possiamo, pero’ possiamo seguirle…”
“Allora no; basta, andiamo avanti; voglio vedere l’olosferio. E’ lì
che va Diana, vero?”
“Come vuoi tu Katia andiamo ad aspettarla là”.
Il piazzale con le pattinatrici scivolò rapido ai loro fianchi; poi una
strada in discesa fino ad un grande edificio a forma di parallelepipedo,
tutto senza finestre o pareti lumen-control.
Una apertura larga e bassa, un corridoio in penombra che si restringeva
ad imbuto e che con un percorso ad esse sfociava in un grande ambiente
cilindrico. Al centro un palcoscenico circolare e tutt’attorno una
trentina di ordini di gradinate.
Poche le spettatrici, la rappresentazione era in corso.
Gli ologrammi di cinque personaggi stavano recitando, due donne anziane,
due giovani ed una bambina.
“Tu conosci gli ologrammi?”
“Si, però questa non è diversa dalle nostre; è più piccola e i
personaggi sembrano meno veri.”
“Si, qui siamo ancora agli inizi.”
“Ma perché Diana vuole incontrare qui Luna?”
“Questi ologrammi antichi emettono ancora una forte vibrazione
elettromagnetica e così qui dentro si è sicuri che nessuno può da
fuori ascoltare quello che si dice qui dentro, neppure la rete”.
Tutto attorno le spettatrici non stavano sempre ferme.
Dopo essere state sedute per un po’, si
muovevano da un posto ad un altro in modo da cambiare il punto di
vista.
Quasi tutte portavano una caschetto, nel quale avevano infilato ciascuna
il suo cristallo. Ed i cristalli sembravano particolarmente attivi,
vibravano, cambiavano colore.
“Che hanno in testa nonna?”.
“Sono strumenti un po’ antichi, oramai superati nel nostro tempo.
Sono caschi per trasmettere direttamente i sentimenti delle spettatrici
al generatore di ologrammi; le loro emozioni. Così sentimenti ed
emozioni, ed in parte anche i desideri possono cambiare la storia e
nessuno spettacolo è mai uguale ad un altro”.
“Anche noi lo facciamo,
ma non ci sono i caschetti”.
“Sì, sì hai ragione sono cose superate, noi abbiamo imparato a fare
senza, ma il risultato è lo stesso”.
“Peccato che ci siano i maschi che fanno un gran casino”.
“Perchè? Che vuoi dire?”.
“Ma sì; quando ci sono loro le storie finiscono sempre bene e ogni
tanto è bello anche piangere”.
“Non mi sembri neanche una bambina, Katia, quando dici queste cose”.
“Ma io non voglio esserlo più”.
“Guarda, Katia, arrivano Diana e Luna, debbono essersi incontrate
davanti all’ingresso”.
“Andiamo vicino; sentiamo cosa dicono”.
Si avvicinarono alle due ragazze che si erano sedute in alto
sull’ultimo anello di gradini. Non avevano la cintura porta-cristallo,
anzi si erano tolte i collari e li avevano appoggiati ai loro piedi.
“Non ce la faccio più Luna, devi aiutarmi”.
“E’ così dura Diana, non riesci ad aspettare?”.
“Io voglio potermi riprodurre subito; non so perche’, ma sento che
non c’e’ piu’ tempo
per aspettare. E poi voglio far vedere la nuova piccola Diana ad
Aghenor”.
“Sei proprio matta…., ma perchè?”.
“Perchè mi pare che non sia bello
fare una figlia se non c’è un uomo cui farla vedere”.
“Ti capisco, ma non si può, non si può; primo perchè non puoi avere
il clonatore e secondo perchè non puoi tornare da Aghenor senza fare un
gran disastro”.
“Il disastro, non sono sicura sia un disastro. Non sono affatto certa
di essere la sola a pensarla così. Tanto per cominciare anche tu sei
con me, no?”.
“Con te, non so se sono proprio come te; certo quando Leonidas è
morto mi è dispiaciuto molto. Credevo
fosse soltanto perchè mi si creava qualche problema per la tesi. Dopo
pero’ mi sono accorta che era proprio lui che mi mancava; ma non so se
arriverei a pensare le tue pazzie. Poi c’è il clonatore, lo sai che
devi ancora lavorare molto
per averlo”.
“Non debbo lavorare per avere il clonatore; debbo lavorare per
dimostrare che sono condizionata a sufficienza e non credo lo sarò mai.
Non ho paura di far vedere quello che sono, e non mi va di fingere, di
apparire diversa ”.
“Sì, ma così il
clonatore non l’avrai mai”.
“No, Luna, l’avrò; me lo darai tu; lo so che lo farai”.
“Ma che dici; non è possibile, anche se volessi non si può. Io debbo
ancora ritirarlo, e posso ritirarlo solo con il codice del mio occhio,
l’impronta elettronica
del mio iride”.
“Per questo credo di avere una soluzione. Ora l’importante è che tu
dica di sì. Tu mi devi dire che sei d’accordo a farmi avere il tuo
clonatore, io lo userò una sola volta, poi te lo farò riavere. Subito.
Dimmi di sì; lo so che tu non hai la mia ansia; tu puoi aspettare”.
“Non ho la tua ansia? Non so come fai ad esserne così sicura, ma
forse hai ragione. Non ho fretta. Però ho paura a fare una cosa così.
Ho paura che non si riesca a fare lo scambio. Ho paura che ci
scoprano”.
“Io non ho paura di nulla; adesso
ascolta a cosa ho pensato e dimmi se ci stai”.
“OK, …OK!…; che vorresti fare?”.
“Vorrei andare io a ritirare il tuo kit con l’impronta dei tuoi
occhi. Lo faro’ attivare per la riproduzione umana sul mio codice.
Poi, dopo averlo usato una volta, una volta sola lo prometto, te lo
ridarò”.
“Sì, ma così non potrò usarlo per riproduzione umana in me, perchè
sarà tarato sul tuo codice”.
“No, vedi qui sta il secondo trucco; dopo averlo usato, gli danneggerò
la taratura e tu tornerai per una riparazione che questa volta farai
fare sul tuo codice. Per fare tutto basteranno solo pochi giorni”.
“Lo sai che se ci scoprono è una cosa molto grave... perchè mi
chiedi questo?”.
“Perchè sento che non posso più aspettare e sento che tu mi capisci
e che anche tu sarai curiosa di vedere la faccia di Aghenor di fronte ad
una neonata”.
“Mi porterai con te?”.
“Certo che ti porterò”.
“Va bene Diana, ci sto, ma prima tu devi fare una verifica sulla rete
che ciò sia sensato, me lo devi promettere”.
“Prometto Luna”.
Diana abbracciò Luna stretta: avevano le lacrime agli occhi tutte e
due. Diana di gioia e Luna di commozione.
Poi infilò la mano nella tasca sotto il mantello ed estrasse una
scatola.
“Qui ci sono due lenti a contatto fatte di materiale sensibile
all’impronta dell’iride. Non danno nessun fastidio e non alterano
affatto la vista. Dovrai portarle solo un giorno, poi me le ridarai”.
Quando le metterò i miei occhi sembreranno al lettore di impronta
esattamente come i tuoi e potrò ritirare il clone-kit”.
“Ma...”
“Poi mi darai anche il tuo cristallo per il controllo incrociato di
identità”.
“Ma è una cosa grave, il cristallo è personale non si può
scambiare. E’ Proibitissimo!”.
“Se ci scoprono dirò che sono stata io e tu non lo sapevi; mi
crederanno, sono nota per essere un po’ matta...”.
“Non lo so, Diana, non lo so.”
“Hai mai pensato che bello e’ fare una cosa davvero nuova ? Hai mai
pensato alla noia di non cambiare mai?’
“Non capisco che cosa cambia?”
“Cambia che poi ti porto con me da Aghenor cosi’ potrai rispondere
alle domande che ti sono rimaste. Proverai una sensazione davvero nuova,
bellissima.”
“Ok Diana ma prometti: userai il clonatore solo se avrai un segno
dalla rete che non stai facendo del tutto una pazzia, e mi porterai con
te da Aghenor la prima volta che gli farai vedere la bambina”.
Prometto Luna... ora andiamo; ti aspetto domani sera a casa con le lenti
e dopodomani andrò a ritirare il tuo kit”.
“Speriamo, Diana, speriamo; ma ho una gran paura”.
“Io no, Luna, neanche un po’, andrà tutto bene”.
Si alzarono, raccolsero i loro cristalli e uscirono in silenzio dall’
‘olosferio’
“Nonna, ma è una storia bellissima; che succede dopo”
“Succede ..,succede che Luna porta le lenti a Diana e Diana va a
ritirare il clonatore”
“Voglio vedere, nonna, voglio vedere”.
“Net, avanti quaranta ore, Istituto Clonotecnico, entrata
‘Identificazioni e consegne’.
Lo spazio attorno a nonna e nipote diveniva lentamente scuro, sempre più
scuro, poi per un istante buio e quindi di nuovo luminoso.
Si trovavano su una collina ai margini della città, davanti ad un
edificio emisferico con ingressi cilindrici che sporgevano alla base.
Molti levoscooter arrivavano e venivano lasciati in nicchie ai fianchi
degli ingressi.
Non c’era molta gente attorno, le donne arrivavano, entravano,
uscivano e ripartivano subito.
Ferme davani all’ingresso ‘Identificazione e
consegne’ nonna e nipote attesero pochi minuti poi videro
arrivare Diana, di nuovo chiusa nel suo il mantello.
‘La gatta nera’ disse ridendo Katia.
La seguirono nel tubo che penetrava nell’emisfero.
Dopo pochi passi, il passaggio si aprì in uno spazio illuminato di luce
molto fredda, azzurra,
A metà, prima di una serie di corridoi di fronte all’ingresso di
ciascuno si trovava un apparato per il prelievo delle impronte degli
occhi. Diana si fermò di fronte a quello con le lettere L-M. Su una
tastiera scrisse il codice della tesi di Luna, quindi appoggiò il mento
ad un supporto azzurro.
Due oculari si allungarono lentamente fino ad adattarsi perfettamente ai
suoi occhi. Un leggero alone di luce illuminò le sopracciglia, gli
zigomi indicando che il riconoscimento era stato effettuato. “Luna
Contraves riconoscimento effettuato, codice tesi corretto;
autorizzazione a ritiro e codifica concessa” disse la macchina.
Il cancelletto a fianco dell’apparato di riconoscimento si aprì senza
un cigolio.
Diana avanzò con passo sicuro attraverso un corridoio e quindi in una
sala alta e stretta in fondo alla quale un braccio meccanico stava
prelevando una scatola rossa da uno dei piccoli vani che coprivano le
pareti.
Diana avvicinò al banco sulla quale il braccio aveva appena appoggiato
la scatola.
La voce della rete disse:
“Appoggia la mano col
palmo in su sulla zona bianca del banco”.
Diana appoggiò la mano sul quadrato bianco a fianco della scatola
rossa. Dall’alto scese un cilindro da cui uscì un ago sottile che la
toccò appena al centro del dito medio, quindi si sollevò e rientrò
nel cilindro.
“Luna, puoi togliere la mano”
Diana sollevo’ la mano guardando il dito appena punto.
Pochi istanti ed il cilindro si mosse di nuovo, questa volta verso la
scatola.
Un piccolo connettore elettronico si prolungò per allacciarsi ad una
presa sulla parte superiore della scatola.
Un breve contatto poi di nuovo il cilindro si sollevò.
“Codifica personale effettuata. Luna puoi ritirare il clonatore.
La vita è tua.
Buona fortuna”.
Senza nessuna emozione apparente sollevò la scatola, la ripose in una
piccola sacca nera tolta dalla tasca del mantello. Si voltò e senza una
parola tornò indietro.
Attraversò il corridoio, il salone d’ingresso diritta, seria, quasi
severa…
Appena fuori si inginocchiò per terra con la scatola tra le ginocchia e
pianse.
Dopo poco si rialzo’ di nuovo seria e composta, tolse dal parcheggio
il suo levoscooter vi
sali’ e si avvio’ veloce giù dalla collina.
La seguirono fino alla sua casa. Davanti alla sua porta trovo’ Luna
che l’aspettava.
Si abbracciarono. Appoggiarono l’una le mani sulle spalle dell’altra
e si toccarono dolcemente con le fronti. Poi tutte e due scoppiarono a
ridere.
Restarono un po’ cosi’, senza parlare, guardandosi gli occhi pieni
di gioia.
Poi Diana porse a Luna il cristallo...
“Ridammi il mio, rimettiamo tutto a posto.”
Luna aveva il suo gia’ in mano e lo scambio’ con un gesto lento
guardandosi attorno. Erano sole, ma voleva esserne certa.
“Adesso vado a fare la verifica che ti ho promesso Luna, debbo restare
sola.
Non cercarmi, ti richiamero’ io .”
Luna la accarezzo sul volto, poi se ne
ando’ facendo ciao
con la mano.
9. La coscienza virtuale
Diana entro’ subito nella stanza degli schermi e si accoccolo’ per
terra con, appoggiata in grembo, la scatola rossa del clonatore.
Katia e la nonna si concentrarono sul suo volto che appariva tranquillo, ma assorto.
‘A che pensa nonna?’ chiese Katia quasi bisbigliando?”
‘Deve decidere una cosa importante; guarda…’
Diana, quasi avesse sentito, sollevò il capo, staccò dal filo di rame
il cristallo che pareva emettere un mormorio ed un alone rosa azzurro
intermittente.
Uing...Uang...Uing...Uang…
Lo appoggiò su una piccola mensola sotto uno schermo trasparente che
pendeva dal soffitto appena davanti a lei, e con voce ferma disse:
‘Net, dammi Alias.’
Lo specchio trasparente si illuminò di una luce azzurra e l’immagine
di Diana comparve come in uno specchio. Ma i movimenti e le espressioni
del volto non seguivano quelle di Diana.
‘Che strano specchio, nonna’ disse Katia sorpresa.
‘Non è uno specchio, è un Alias’
‘Un Alias?’
‘Si, l’immagine di una
personalità, come quella di Diana, costruita e memorizzata dalla rete;
identica a quella di Diana per quanto riguarda tutto ciò che la rete può
raccogliere. Diana può parlare con lei, come se parlasse con se
stessa’.
‘Tutti hanno un Alias?’
‘Si’, tutti.’
E io dove ho il mio Alias?’
‘Ancora non lo conosci; si può cominciare ad incontrarlo solo dopo la
prima fase di condizionamento verso i dodici anni, per questo tu non ne
sai ancora nulla.’
‘Vorrei vedere il mio Alias!’
‘Questo proprio non puoi; non c’è possibilità di accesso fino a
che Net non dirà che sei pronta, e io non posso farlo per te. Nessuno
può parlare con l’Alias di un altro’
Katia strinse per un attimo
le labbra, poi sollevò le spalle…
‘Perché ora Diana vuole parlare con l’Alias?’
‘Ascolta…’
Diana aveva iniziato a parlare, guardando fissa la sua immagine davanti
a lei, e la sua immagina la guardava.
Praticamente parlava
con se stessa.
“Eccomi Diana, che e’ successo ieri? Ho ricevuto segnali strani,
molto rumore...”
“Interferenze emotive. Forse mi sono lasciata andare un po’ troppo
all’olosferio... poi
sono stata molto agitata
sai!”
“Devi calmare un po’ le emozioni; non prendertela troppo per il tuo
rinvio. I mesi
Passano presto….tutto passa.”
“Passa il dolore, ma il dubbio e l’amarezza restano”
“Restano perche’ non ti basta il far parte, come le altre, di un
corpo di pensiero
unico”
‘Ma tu lo sai bene che non possiamo essere tutte uguali; anche se c’è
un modo di pensare comune, nessuna è proprio come le altre. E poi a
pensarci bene non c’è neppure un modo di pensare comune.’
‘No non parlavo in senso generale, su questo e’ ovvio che siamo
d’accordo. Mi riferivo ai
tuoi rapporti col maschile; qui sento una diversità rilevante che tocca
il nostro modo di essere felici.’
‘Non vedo che male vi sia a non temere il contatto; studiare solo per
studiare non ha senso, bisogna cercare il confronto.
Non è solo una questione di curiosità; si tratta di capire come
conoscere quello che e’ vero, non solo quello che lo sembra.
Si tratta di andare a fondo alla sostanza delle cose...”
“Ma che vuoi da una tesi di maturita’? non ti basta che sia finita,
sia bella, e ti aiuti a fare un passo avanti?”
‘Il punto non è qui
Alias, non sto pensando alla fase dello studio.
E’ alla riproduzione che penso.”
“Lo so che la desideriamo molto, e non e’ lontana, basta un po’ di
pazienza.”
“Si’, si’,cosi come la si fa ora è un atto bello ma non c’è
confronto, non c’è incertezza,
c’è solo attesa.’
‘Non so spiegare questa ansia, io non la sento, avrei paura se fosse
diversamente’
‘Io non ho paura Alias, lo sai che non ho mai avuto paura; a te invece
la rete la ha lasciata perché ha sempre considerato un errore ciò che
fece mia madre’
‘Perché non ne parli proprio con lei; lei è stata la prima a cercare il nuovo, quando ha clonato te, non solo
nell’aspetto fisico, ma anche nelle emozioni’.
‘Non serve, anche lei ora crede di aver fatto un errore. Ha avuto
coraggio quando mi ha fatto così, ma poi ha avuto paura, ed è come se
mi avesse rinnegato’.
‘Un po’ capisco, ma non del tutto, sento che un aiuto da qualche
parte c’è, ma e’ difficile trovarlo...; se vuoi possiamo
ripercorrere assieme gli incontri con Aghenor, momento per momento
e vedere dove è la causa del vuoto che senti.’
‘Non so se serve scavare nel passato. E poi io non desidero sapere
perché sono così.
Non mi disturba essere così. Voglio solo capire come andare avanti.’
‘Bisogna stare attente, la coscienza collettiva non è d’accordo...
verrai messa sotto controllo.’
‘Lo so, Alias, per questo devi aiutarmi. Devi dirmi se la coscienza
collettiva nasce dalla convergenza completa del pensiero di tutte, o se
è il risultato di una maggioranza di opinioni che prevalgono. Voglio
sapere se tante altre hanno
le mie stesse ansie; se nel segreto delle loro anime vorrebbero cercare
altre strade. Vorrei
l’analisi di questi pensieri. Pero’ vorrei tu verificassi senza far
sapere che lo ho chiesto io; fallo come alias spersonalizzato.
Non voglio che si sappia che cerco queste cose.’
Uaung...uaung...uaung...uaung... Il cristallo sotto lo schermo cominciò
a vibrare emettendo un alone viola pulsante.
‘Che ti succede Alias, perché segnali tanto imbarazzo?’
‘Non c’è da scherzare Diana, certo che sono imbarazzata, non credo
di poter interrogare la rete senza
dire che è per te...’
‘Io credo di si’ Alias; il tuo programma principale è seguire me,
se non lo fai non puoi più essere il mio Alias, e tu vuoi continuare ad
essere il mio Alias, vero?’
‘La mia sopravvivenza, la mia sopravvivenza, certo che è legata ad
essere te... la rete è il mio strumento, la mia anima sei tu, ...tu sei
la mia anima.’
Lo schermo si riempì di luce, la luce del cristallo da viola diventò
verde pallido e la vibrazione si fece
più frequente ed acuta.
‘Che succede, nonna, povera Alias, è scomparsa.’
‘Ma no, sta solo facendo ciò che le è stato chiesto; ha capito che
la Diana reale ha ragione e spersonalizzandosi
sta raccogliendo sulla rete i pensieri delle altre Alias. Saprà
dare una risposta.’
‘Ma poi dirà la verità?’
‘Certo, perché in fondo lei è Diana, non può mentire a se
stessa.’
‘A me sembra che la Diana vera l’ha messa davvero in imbarazzo.’
‘Forse, ma capita spesso di metterci in imbarazzo da sole, non
credi?’
L’Alias di Diana riprese forma, proprio in quel momento e con aria
seria e leggermente ironica disse:
‘Non sei sola, Diana; c’è molta incertezza, la coscienza collettiva
ha il sostegno di una maggioranza, ma non grande, degli elementi.
C’è molta incertezza; ma attenta l’incertezza poi passa e tutto
tende a tornare normale. Non
trasgredire! La felicita’ arriva sempre comunque nel nostro mondo.’
‘Mi sembra tutto troppo semplice; è come vincere senza combattere,
eppure sento che
creare una vita nuova richiede di uscire dalla normalità; ci vuole
qualche cosa in più. Forse
ci vorrebbe quella che Aghenor chiama poesia.
Io sento che per essere felice davvero dovrei riparlare con lui,
per capire meglio .’
‘Anche a me un nuovo incontro con Aghenor adesso sembra una grande
sfida; ma è una sfida che non accetterei mai.
‘Perché no?’
‘C’è il rischio di rovinare tutto il lavoro fatto dalle donne per
generazioni.
Non ci meritiamo di tornare indietro.’
‘Non mi sembri molto convinta di quello che dici Alias…’
‘Non lo sono, ma debbo dirti così, io sono te, ma dipendo molto più
di te dalla rete; io sono
nella maggioranza; tutto quello che posso avere è un dubbio... poi…,
poi passa.’
Diana scosse la testa come se stesse cercando di convincersi di qualche
cosa, allungò il braccio e riprese il suo cristallo.
L’immagine del suo Alias scomparve e lo schermo tornò trasparente
come era.
Diana guardò il cristallo che aveva tra le mani per qualche secondo,
poi quasi di scatto anziché
riagganciarlo al filo di rame attorno al collo, lo appoggiò sul
bracciolo della poltrona e si alzò.
10. Il ritorno
‘Dove va nonna?’
‘Ha mantenuto la sua promessa a Luna e adesso sta per tornare da
Aghenor per raccontargli quello
che vuol fare.’
‘Ma perché?’
‘Perché ha bisogno di un confronto per essere felice.’
‘Andiamo con lei nonna, voglio essere con loro.’
Seguirono Diana fuori della sua stanza, in un lungo corridoio bianco,
poi da una specie di botola
si infilarono in un pozzo di luce, scendendo librate nell’aria.
Pochi istanti e Diana parve quasi appoggiarsi con leggerezza al
pavimento di un grande locale basso.
Su una piccola tastiera di fianco ad un portello grigio digitò un
codice, il portellone si sollevò ed il levoscooter le scivolò davanti.
Da una breve pista, attraverso un varco che si era aperto verso
l’esterno, quasi con un tuffo nel vuoto si trovarono nel mezzo della
città nella direzione dei monti.
Diana andava molto piano...
‘Perché non andiamo forte come quando siamo venute nonna?’
‘Diana non ha il cristallo di riconoscimento, deve fare molta
attenzione al traffico; la rete non rileva la sua presenza. Lei non è
abituata a una guida così indipendente’
‘Però sembra molto contenta..’
‘Si, credo che non si sia mai sentita così libera.’
‘Perché si sente libera?’
‘Perché, senza cristallo, la rete non sa dove lei sta andando.’
Uscita dalla città fuori dal traffico Diana accelerò, e, prima
sottovoce, poi più forte si mise a cantare a bocca chiusa, una nenia
senza parole.’
Prima di entrare nel bosco di Redwood, in un prato verdissimo ai lati
della strada incontrarono un piccolo gregge di pecore, Diana alzò la
mano e fece ciao in segno
di saluto.
‘Che fa nonna?’
‘Saluta le pecore.’
‘Perché? Le conosce?’
‘No, ma porta fortuna.’
Katia si voltò e salutò
anche lei… ‘Fortuna anche a noi!’
Il bosco era più buio, non
c’erano i lampi di luce tra i rami ed il verde delle felci non era
luminoso come quando dai monti erano venute alla città.
Man mano che salivano l’aria attorno si faceva sempre più scura.
Prima poche gocce, poi uno scroscio rumoroso, battente e arrivo’ la
pioggia.
Nelle brevi radure tra tratti di bosco fitto si vedeva l’acqua
scendere a fiotti.
Diana vi passava in mezzo senza esitazione come se niente fosse.
“Ma che fa? Nonna, perche’ non si ferma?.. cosi’ si bagna
tutta.”
“Ha una grande fretta di arrivare, non sente nulla..”
Quasi all’improvviso ritorno’ il silenzio; i verdi del bosco
ripresero vita sotto la
luce che entrava come raggi tra le foglie alte degli alberi.
Poi il bosco comincio’ a farsi meno fitto. La luce del tramonto
penetrava vigorosa tra i rami sempre piu’ radi.
All’improvviso, quasi abbagliata, Diana usci’ all’aperto sui
prati.
Davanti in alto, a meta’ costone, la casa di Aghenor.
Aumento’ la velocita’, ma, dopo un centinaio di metri, dove la
salita si faceva piu’ ripida, rallento’ fino ad arrestarsi
bruscamente.
Diana appoggio’ i piedi per terra e nervosamente si guardo’ attorno;
poi abbasso’ lo sguardo sul levoscooter ed inizio’ a scuoterlo. La
interruppe subito una voce
di donna proveniente da un piccolo schermo che si illumino’ al centro
del cruscotto.
“Qui e’ il controllo dell’accesso alla casa di Aghenor. Veicolo
con conducente non identificabile. Blocco motore attuato.
Conducente, dare propria identificazione”
Diana porto’ le mani alle guance e rimase immobile.
“Conducente, dare identificazione. Attenzione, dopo il prossimo
avvertimento il blocco motore sara’ permanente.”
“Cosa succede, nonna?”
“La casa di Aghenor era sorvegliata dalla rete’ che ha bloccato il
levoscooter di Diana perche’ lei non aveva con se il cristallo e
quindi non era identifiacabile.”
“Ma lei non lo sapeva?”
“No; era sempre passata regolarmente,
con il cristallo, ed era autorizzata.
Non si era mai potuta rendere conto che il luogo era sottoposto a quel
tipo di controllo.”
“E adesso che cosa fa?”
“Guarda, guarda!”
Diana si tolse le mani dalle guance, strinse i pugni, le braccia tese
lungo i fianchi,
un leggero tremolio sulle guance, la bocca sottile stretta.
“Conducente dammi la tua identificazione o…”
“Sono Diana clone di
Shila, generata da Shila.
Scusami, ho dimenticato mio
cubo il mio cristallo. Qui sono sempre stata autorizzata senza problemi.
Vorrei riparlarne.”
Il piccolo schermo sul cruscotto si illumino’ di luce pulsante che
dopo pochi attimi si fisso’ e lascio’ emergere il volto di una
donna: Joan.
“Che ci fai li’ Diana? Lo sai che non puoi tornare da Aghenor!”
“Solo un’ultima volta Joan, solo un’ultima volta, ti prego!”
“Ma perche’? Perche’ vuoi rischiare
tutto quello che hai fatto di buono?”
“Perche’ non avro’ fatto nulla di buono se non saro’ stata
capace di capire
fino in fondo che cosa rappresenta Aghenor.”
“Ma che ha di tanto importante per te quel vecchio?”
“Non e’ importante lui
in persona, intendo, a parte la tenerezza che a volte suscita in me,
ma quello che rappresenta; Aghenor,
uomo, come essere diverso da noi.”
“Ma e’ proprio questo il problema Diana. Ne abbiamo gia’ discusso
il giorno della sintesi della tua tesi, quando ti e’ stato richiesto
un altro anno di lavoro.”
“E io continuo a non
capire perché! Perché?”
“Il perche’ sta nella bellezza del nostro stato; nell’aver
raggiunto, col passaggio alla clonazione, la capacita’ di sviluppare
ed esprimere senza limiti tutte le potenzialita’ del nostro essere.”
“Questo mi e’ gia’ stato detto molte volte, eppure io sento che
dobbiamo fare un altro passo avanti. Ci vuole un altro passaggio. Anzi,
sento che siamo gia’ all’inizio di un nuovo passaggio.”
“E’ qui che ti sbagli Diana. Il vero passaggio c’è gia’ stato;
ed e’ stato definitivo quando all’improvviso, quasi inconsciamente,
abbiamo tutte scelto di riprodurre solo femmine; quando senza il minimo
di predeterminazione o di violenza abbiamo fatto praticamente sparire i
maschi dalla terra.”
“Ho capito, ho capito; ma questo non puo’ essere un punto di arrivo
definitivo; io sento che manca qualche cosa di importante e che, quando
arriva il momento di cambiare di nuovo, non ci si puo’ fermare e…”
“No, no!” la interruppe Joan con una espressione tra il dolore e la
collera.
“Tu stai vivendo le sensazioni del momento di passaggio, tuo
personale, dallo stadio della formazione a quello della maturita’ che
sono naturali e bellissime. Non le devi
confondere con quelle di
un passaggio dell’intero nostro modo di essere;
un
passaggio che non c’è, perche’ ora ci muoviamo per progressi
lenti, senza strappi, senza conflitti”
“Eppure io sento nell’aria molto di piu’ che non un fatto solo mio
personale..”
“Cosa senti Diana, prova a dirmi cosa senti..”
“Vedo attorno a me, ora, un mondo che presto sara’ tutto diverso,
che non sara’ piu’ come adesso.
Ho l’ansia di capire’ quello nuovo, sento una spinta
irresistibile a fare il passaggio;
so che puo’ essere un momento di sofferenza, incertezza,
sfiducia.
Ma il passare da uno stato all’altro, non e’ sempre strato
cosi’?”
“Capisco la tua angoscia, ma credimi vivila come fatto naturale, non
rimettere in discussione tutto.”
“Non voglio rimettere in discussione tutto, cio’ che abbiamo
raggiunto. Mi rendo ben conto del valore che c’é nell’essere come
siamo. Abbiamo saputo affermare la bellezza del nostro stato, me ne
rendo ben conto, pero’ ti assicuro che c’é qualche cosa che mi
rende difficile accettare un futuro normale. Non ho nessuna paura, lo
sai, di guardare ad un
domani anche completamente diverso.
Troppa stabilita’ mi deprime, e’ come se rendesse privo di
creativita’ perfino l’atto di riprodurmi. Eppure sai quanto io ci
tenga.”
Il volto di Joan divenne decisamente severo ed adirato:
“Su questa strada, tu, la riproduzione rischi di non averla proprio,
sai.
E’ meglio che tu ritorni subito. Voglio riparlare di tutto con te in
ambiente protetto; voglio vederti bene
in faccia, e voglio che tu rimetta il cristallo. Temo tu mi nasconda
emozioni o che addirittura tu le nasconda a te stessa.”
Diana diede una occhiata furtiva alla scatola del clonatore che teneva
tra i piedi sul pianale del
levoscooter, poi disse con aria rassegnata:
“Va bene Joan, lasciami solo riflettere dieci minuti qui ai piedi di
questo costone.
Lasciami vedere la fine del tramonto, poi torno. Promesso.”
Il volto di Joan si distese in un sorriso di tenerezza.
“Concesso, concesso; pero’ rifletti bene in questa tua meditazione,
il tuo momento di passaggio non e’ momento di passaggio per tutte noi.
Noi evolviamo nella stabilita’ e l’uomo di questa stabilita’ non
puo’ essere parte; lui porta conflitto. A presto , Diana, a presto.”
Il volto di Joan scomparve dal piccolo schermo che lentamente si spense.
Diana rimase ferma alcuni istanti, poi lentamente si piego’ a
raccogliere la scatola che aveva tra i
piedi, scese dal levoscooter, e, prima con passi lenti, poi di
corsa, inizio’ la salita verso la casa di Aghenor.
“Seguiamola, nonna, seguiamola, voglio essere la quando entra.”
11. Genesi II
La salita era lunga, ma Diana correva senza fatica. Sali’ leggera e arrivata ai gradini li sali’ tutto d’un
fiato.
Entrò in casa quasi di corsa.
“Sorpresa, Aghenor, sorpresa! Rieccomi. Sono riuscita anche io ad
avere il
‘clone kit’, sono pronta, ma prima voglio parlarti” disse quasi
affannata andando col clonatore tra le mani tese, verso la poltrona dove
lui stava seduto.
Ma si rabbuiò subito: Aghenor stava immobile col capo chino e una
grande tristezza sul volto, nelle spalle, nelle mani abbandonate sui
braccioli.
‘Che c’è, che è successo?’
‘Era da due giorni che non riuscivo a collegarmi in rete con Giovanni.
Era l’ultimo sito maschio. Oggi la rete mi ha detto che è morto e
temo di essere l’unico rimasto.’
Diana restò impietrita, senza dire nulla.
‘Questa notte ho sognato che provavo a volare, ma non riuscivo a
staccarmi da terra”
“Ma che significa Aghenor, che dici?”
“Sono diventato pesante, Diana, e mi è venuta una terribile voglia di
andarmene anch’io.’
“Ma non puoi Aghenor, devi vedere nascere Eva: mi hanno dato il
clonatore, la farò con le labbra più piccole e gli occhi neri”.
“Perché cambiare, Diana, a me piaci così. Adesso pero’ sono molto
stanco, senza forza.
Bisogna che riesca a riposare un pò.”
Poi addolcendo la voce:
“Sono contento che tu sia qui.”
Nel dirlo le prese la mano, se la mise sul petto e mormorò:
“Vorrei stare con te per sempre ...”
Restarono cosi’. Lui con gli occhi chiusi; lei con un leggero tremore
attorno alla bocca. Aghenor parve accorgersi della sua emozione e
sollevando l’altra mano le sfioro’ le labbra con le lunghe dita
ossute.
Diana incomincio’ a tremare, prima piano, poi piu’ forte.
Il suo respiro si
fece piu’ profondo e frequente. Con un gemito leggero si porto’ la
mano al ventre si piego’ in avanti verso Aghenor
con gli occhi socchiusi ed
i denti stretti a morsicare il labbro inferiore.
“Che le succede nonna?”
“Un piacere cosi’ grande non lo aveva mai provato prima”.
Continuo’ cosi’ per un po’, poi parve risvegliarsi; con un
lunghissimo respiro si rilasso’ e lentamente riapri’ gli occhi.
Serena, afferrò l’estrattore di cellule del clonatore e lo
applicò al corpo di Aghenor.
Clic.
“Che sta facendo nonna?”
“Ha fatto il prelievo di cellule per clonare
Aghenor anziche’ se’ stessa.”
“E allora?”
“Allora fara’ un figlio maschio, il primo maschio dopo piu’ di un
secolo.”
Katia resto’ fissa a guardare come se non avesse sentito. Diana che
ripose l’estrattore di cellule nella scatola rossa, accarezzo Aghenor
sulla fronte, si avvicino’ all’archivio segreto dei film.
Con le mani agili inserì un codice in una testiera. Da una
fessura usci’ una tessera ‘Film 950-2000’. Poi uscì di corsa.
“Che cosa e’ nonna?”
“E’ la memoria dei film che le piacciono di piu’”
“Perche’ la ha presa?”
“Vuole mostrare l’archivio di Aghenor alle
sue amiche.
Dalla analisi di Alias, ma soprattutto dal suo istinto sapeva che,
vedendoli, tante avrebbero fatto come lei con le cellule scongelate
dalle loro genoteche.
12. Il grande dubbio
La luce si affievolì, lasciando tutto in una fredda penombra.
Katia prese la mano della nonna:
‘Nonna ho paura!’ disse,
poi la tirò indietro due passi, fuori dalla
sfera olografica, di nuovo nella fredda luce diffusa della loro
bolla nel deserto; nel
loro mondo leggero; il cubo
nero di accesso alla rete, da cui ricavavano tutto ciò di cui avevano
bisogno.
‘Sei più tranquilla
ora Katia?’
“Si, ma non so bene nonna, non capisco una cosa.”
“Che cosa non capisci piccola?”
“Io ti voglio bene nonna; anche alla mamma voglio bene. Mi
piace stare con voi.’
“E allora che c’è che non va?’
“Perché è successo quello che abbiamo visto?’
“Che vuoi dire Katia?’
“Ma allora è stata la tua bisnonna Diana a far rinascere i maschi
..’
“Si, così hai potuto avere un fratello e un padre...’
“Mio padre non c’è mai e mio fratello non mi sopporta. Io sono
contenta quando sto con te. E poi il mondo di Diana mi sembrava così bello’
“Aghenor allora non ti piaceva?’
“Si, te lo ho già detto, un po’ si e un po’ no; mi pareva diverso
dagli uomini di oggi.’
“Si, lui era diverso, e a me pareva
davvero straordinario Katia; ma forse per essere come lui bisogna
essere l’ultimo’
“Io non so ...nonna, non
so; ma…
sei sicura che la tua bisnonna Diana abbia fatto bene?”
“Bene a fare che?”
“Ma…a far rinascere i maschi?...’
“ Che domanda Katia,… che domanda...’
………….Uang...uang...uang…uang....
‘Nonna perché il tuo cristallo è diventato viola?’
N.B. Il tredicesimo capitolo e’ stato scritto da una donna. Chi vuol
scrivere il quattordicesimo?
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