Forse pochi sanno che da alcuni anni, in un
ex convento restaurato e diventato una Casa Studio nei pressi di Todi, in Umbria, vive e
lavora uno degli artisti più geniali, poliedrici e trasgressivi della scena mondiale
degli ultimi trent'anni: l'inglese Lindsay Kemp. Personalità internazionale veramente
creativa ed eclettica, Kemp si è reso noto dalle Americhe al lontano Giappone come
autore, danzatore, mimo, attore di teatro e di cinema, regista teatrale e di opere
liriche, coreografo, scenografo, costumista e apprezzato pittore.
La sua vita comincia vicino a Liverpool, nel nord dell'Inghilterra, in una data
abilmente occultata agli storici del teatro. Sappiamo invece, dalle note e dalle
presentazioni che il suo prezioso e strettissimo collaboratore David Haughton ha scritto,
che "le sue radici come interprete affondano soprattutto nei suoi primi lavori a
solo: nella sua infanzia, dunque, con il senso di 'essere nato per la scena', le
esibizioni davanti allo specchio (essenza della doppia identità dell'attore), di
spettacoli implacabilmente montati per la madre, per la famiglia, per gli amici, per
chiunque guardasse (...) Ciò che era evidente, all'inizio, non era tanto un naturale
talento tecnico, quanto un'innata necessità di esibirsi."
Questa "necessità" lo porterà giovanissimo a trasferirsi a Londra, dove
studia alla scuola del noto Ballet Rambert e con molti altri maestri, tra cui Sigurd
Leeder, Charles Wiedman e il famosissimo mimo Marcel Marceau. Dopo un duro e variegato
apprendistato, danzando e recitando in compagnie di danza, teatro, teatro-danza, cabaret,
musical e quant'altro gli offrisse l'opportunità di esibirsi, nel mettere a punto la sua
peculiarità d'interprete, "emerge chiaramente a Kemp (d ai suoi datori di lavoro) la
sua istintiva incapacità a inserirsi in un contesto organizzato da altri."

Infatti, comincia allora, negli anni '60, un percorso da solista che produrrà delle
performance di danza-pantomima come "Legends", "Turquiose Pantomime" e
"Crimson Pantomime". Nel frattempo, trasferitosi a Edimburgo, fonda la sua prima
compagnia e da "capocomico" produce alcuni esperimenti e happening, tra cui
particolarissime versioni di "Salomè" e "Woyzeck", e crea nel 1968 lo
spettacolo che lo renderà famoso a livello mondiale: "Flowers...una Pantomima per
Jean Genet", basato molto liberamente sul romanzo "Nostra Signora dei
Fiori" dello scrittore francese.
Nasce così, mescolando i vari linguaggi che ha studiato e soprattutto praticato sulla
scena, il suo particolare e unico stile, tra tradizione e novità, "la sua
straordinaria individualità di interprete incastonato come un gioiello in una multiforme
compagnia di talenti fusi insieme dalle sue doti di direttore e di regista". Nel
1974, una nuova versione di "Flowers" in un piccolo teatro di Londra ottiene un
successo tale da doversi trasferire in un prestigioso teatro del West End e dopo mesi di
trionfo a Broadway, New York. Ha inizio allora per Kemp una lunga e fortunatissima
carriera internazionale che lo porta in ogni angolo del globo, con spettacoli di grande
effetto visivo e musicale in cui si fondono intrattenimento, sensualità, rito, parodia,
melodramma, umorismo, intensità emotiva, forte e coinvolgente trasgressione, spesso a
carattere sessuale. Tra gli altri, possiamo ricordare "Salomè", "Mr.
Punch's Pantomime", "Sogno di una Notte di mezza estate", "Duende...un
poema per Garcìa Lorca", "Nijinsky", "The Big Parade" e
"Alice".
In una intervista di qualche anno fa, Kemp dichiarava:"La mia reputazione è di
essere trasgressivo, come in effetti sono, ma non ho mai avuto l'intenzione di risultare
tale. Forse ho sempre voluto essere semplicemente me stesso. Ed è così anche nel lavoro
che faccio: se riesco ad essere me stesso forse il pubblico mi giudicherà trasgressivo,
ma non posso saperlo a priori. Se sono comunque diverso è per la mia volontà di liberare
lo spettacolo, il teatro, da ciò che è falso, superficiale, luogo comune (...) Spesso
sono considerato un esponente del teatro d'avanguardia, ma lo sono proprio perchè mi
rifaccio alle origini..."
Alla domanda su che cosa ritrovasse di quella trasgressione nel nostro teatro,
rispondeva: "A essere sincero non molto. Mi sembra che tutto stia scivolando nella
mediocrità. Non vorrei essere troppo critico, però penso che ci siano solo due o tre
eccezioni in tutto il mondo. So di ripetere un luogo comune, ma il teatro riflette la
pochezza e la decadenza della società. Ha perso la sua magia, la sua utilità, il suo
essere una cura contro lo stress, la disperazione, la tragedia della vita. Non mi includo
nelle eccezioni, non ne ho il coraggio, sarebbe un bluff. Il teatro che ancora mi
coinvolge è il teatro antico, quello classico, che si ritrova solo in Giappone o a Bali.
So che ci sono grandi registi anche in Italia, ma sono nella maggior parte dei casi
registi d'intelletto e non di passione, di cuore."

Dopo quel periodo, Kemp "inizia a desiderare di nuovo la semplicità e la libertà
dello spettacolo a solo, l'essenza dell'arte di interpretare, la sfida suprema, e così
smania di tornare ad essere semplicemente l'attore davanti al suo pubblico, solo...con
tutto il suo arsenale di risorse." Nasce allora, a metà degli anni '90, lo
stupefacente e straordinario spettacolo "Onnagata", sorta di compendio della
variegata poetica di Kemp e del suo complesso rapporto con il Femminile e con l'Oriente,
così importante e influente nel suo modo di fare teatro, non solo nelle immagini
dell'esotico e del viaggio (marinai, ventagli, veli) ma anche nella stilizzazione estrema,
di rigore nella ricchezza, dell'uso particolare del silenzio e del vuoto, del detto e del
sottointeso, tipici del teatro e dell'arte visiva giapponesi. Seguono una serie di
spettacoli a solo o accompagnati da poche figure, poco più che comparse, che riprendono o
rielaborano frammenti da altri spettacoli del passato: "Reves de Lumière"
(1997), "Dreamdances" (1998) e il recente "Fiori spezzati: da Flowers a La
Traviata", prodotto dal Teatro Nuovo di Torino e presentato in questi giorni al
Teatro Greco di Roma.
Il programma, composto da sei quadri, in cui Kemp è accompagnato dai giovani solisti
del corpo di ballo del Teatro Nuovo, tecnicamente preparatissimi, presenta tre brani di
repertorio rielaborati: "Café des Fleurs", realizzato in memoria di
"Flowers", in cui veste ancora i panni del travestito Divine che è, all'interno
di una rude e marinaresca taverna, un concentrato massimo di delicata femminilità e
pudore, tale da togliere il fiato; "Frammenti dal diario di Vaslav Nijinsky",
dove incarna sogni e incubi del celebre ballerino rinchiuso in manicomio; e "L'ultima
danza di Salomé", da Wilde, dove, avvolto in un meraviglioso kimono, Kemp danza
sulle musiche di Strauss con in mano la testa del profeta Giovanni Battista e si toglie i
famosi veli in un sogno-ricordo di malvagia seduzione, come una terrificante vedova nera,
intorno alla figura nuda e statuaria di un danzatore.
Un altro quadro, "Isadora", ci presenta la famosissima danzatrice Isadora
Duncan, mentre balla e flirta elegantemente con un dandy che non è altro che la morte, il
suo ineluttabile destino. La vera novità della serata è "Ricordi di una
Traviata" sulle musiche dell'opera omonima di Verdi. Kemp incarna il personaggio di
Violetta, affascinante donna di mondo, corteggiata durante una festa da un nugolo di
aitanti giovani. Violetta è disegnata soltanto da una semplice e ampia gonna bianca e un
pezzo di tulle a mo' di scialle, che lascia il torace maschile praticamente in vista e
senza l'utilizzo di parrucche o altri elementi femminili. Ciò nonostante il lavoro di
Kemp è di una forza scenica ed emotiva a dir poco stupefacente, rasenta allo stesso tempo
il grande melodramma e il teatro-danza delle tenebre giapponese chiamato Butoh. Purtroppo,
i giovani ballerini di contorno, bravissimi nel danzare, non lo sono altrettanto nel
diventare figure teatrali a tutto tondo, lasciando intorno a Kemp/Violetta soltanto il
vuoto.
A proposito dello spettacolo, Kemp ha dichiarato: "Con il passare degli anni ho
sentito sempre più forte il bisogno di scavare alle radici del mio teatro e di togliere
tutto ciò che non era essenziale, alla ricerca di una nuova semplicità. In questo senso
'Fiori spezzati' non è una raccolta di brani storici ma una ricerca rivolta al
futuro."