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I Fiori spezzati di Lindsay Kemp


Josè Luis Sànchez-Martìn

 

Forse pochi sanno che da alcuni anni, in un ex convento restaurato e diventato una Casa Studio nei pressi di Todi, in Umbria, vive e lavora uno degli artisti più geniali, poliedrici e trasgressivi della scena mondiale degli ultimi trent'anni: l'inglese Lindsay Kemp. Personalità internazionale veramente creativa ed eclettica, Kemp si è reso noto dalle Americhe al lontano Giappone come autore, danzatore, mimo, attore di teatro e di cinema, regista teatrale e di opere liriche, coreografo, scenografo, costumista e apprezzato pittore.

La sua vita comincia vicino a Liverpool, nel nord dell'Inghilterra, in una data abilmente occultata agli storici del teatro. Sappiamo invece, dalle note e dalle presentazioni che il suo prezioso e strettissimo collaboratore David Haughton ha scritto, che "le sue radici come interprete affondano soprattutto nei suoi primi lavori a solo: nella sua infanzia, dunque, con il senso di 'essere nato per la scena', le esibizioni davanti allo specchio (essenza della doppia identità dell'attore), di spettacoli implacabilmente montati per la madre, per la famiglia, per gli amici, per chiunque guardasse (...) Ciò che era evidente, all'inizio, non era tanto un naturale talento tecnico, quanto un'innata necessità di esibirsi."

Questa "necessità" lo porterà giovanissimo a trasferirsi a Londra, dove studia alla scuola del noto Ballet Rambert e con molti altri maestri, tra cui Sigurd Leeder, Charles Wiedman e il famosissimo mimo Marcel Marceau. Dopo un duro e variegato apprendistato, danzando e recitando in compagnie di danza, teatro, teatro-danza, cabaret, musical e quant'altro gli offrisse l'opportunità di esibirsi, nel mettere a punto la sua peculiarità d'interprete, "emerge chiaramente a Kemp (d ai suoi datori di lavoro) la sua istintiva incapacità a inserirsi in un contesto organizzato da altri."

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Infatti, comincia allora, negli anni '60, un percorso da solista che produrrà delle performance di danza-pantomima come "Legends", "Turquiose Pantomime" e "Crimson Pantomime". Nel frattempo, trasferitosi a Edimburgo, fonda la sua prima compagnia e da "capocomico" produce alcuni esperimenti e happening, tra cui particolarissime versioni di "Salomè" e "Woyzeck", e crea nel 1968 lo spettacolo che lo renderà famoso a livello mondiale: "Flowers...una Pantomima per Jean Genet", basato molto liberamente sul romanzo "Nostra Signora dei Fiori" dello scrittore francese.

Nasce così, mescolando i vari linguaggi che ha studiato e soprattutto praticato sulla scena, il suo particolare e unico stile, tra tradizione e novità, "la sua straordinaria individualità di interprete incastonato come un gioiello in una multiforme compagnia di talenti fusi insieme dalle sue doti di direttore e di regista". Nel 1974, una nuova versione di "Flowers" in un piccolo teatro di Londra ottiene un successo tale da doversi trasferire in un prestigioso teatro del West End e dopo mesi di trionfo a Broadway, New York. Ha inizio allora per Kemp una lunga e fortunatissima carriera internazionale che lo porta in ogni angolo del globo, con spettacoli di grande effetto visivo e musicale in cui si fondono intrattenimento, sensualità, rito, parodia, melodramma, umorismo, intensità emotiva, forte e coinvolgente trasgressione, spesso a carattere sessuale. Tra gli altri, possiamo ricordare "Salomè", "Mr. Punch's Pantomime", "Sogno di una Notte di mezza estate", "Duende...un poema per Garcìa Lorca", "Nijinsky", "The Big Parade" e "Alice".

In una intervista di qualche anno fa, Kemp dichiarava:"La mia reputazione è di essere trasgressivo, come in effetti sono, ma non ho mai avuto l'intenzione di risultare tale. Forse ho sempre voluto essere semplicemente me stesso. Ed è così anche nel lavoro che faccio: se riesco ad essere me stesso forse il pubblico mi giudicherà trasgressivo, ma non posso saperlo a priori. Se sono comunque diverso è per la mia volontà di liberare lo spettacolo, il teatro, da ciò che è falso, superficiale, luogo comune (...) Spesso sono considerato un esponente del teatro d'avanguardia, ma lo sono proprio perchè mi rifaccio alle origini..."

Alla domanda su che cosa ritrovasse di quella trasgressione nel nostro teatro, rispondeva: "A essere sincero non molto. Mi sembra che tutto stia scivolando nella mediocrità. Non vorrei essere troppo critico, però penso che ci siano solo due o tre eccezioni in tutto il mondo. So di ripetere un luogo comune, ma il teatro riflette la pochezza e la decadenza della società. Ha perso la sua magia, la sua utilità, il suo essere una cura contro lo stress, la disperazione, la tragedia della vita. Non mi includo nelle eccezioni, non ne ho il coraggio, sarebbe un bluff. Il teatro che ancora mi coinvolge è il teatro antico, quello classico, che si ritrova solo in Giappone o a Bali. So che ci sono grandi registi anche in Italia, ma sono nella maggior parte dei casi registi d'intelletto e non di passione, di cuore."

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Dopo quel periodo, Kemp "inizia a desiderare di nuovo la semplicità e la libertà dello spettacolo a solo, l'essenza dell'arte di interpretare, la sfida suprema, e così smania di tornare ad essere semplicemente l'attore davanti al suo pubblico, solo...con tutto il suo arsenale di risorse." Nasce allora, a metà degli anni '90, lo stupefacente e straordinario spettacolo "Onnagata", sorta di compendio della variegata poetica di Kemp e del suo complesso rapporto con il Femminile e con l'Oriente, così importante e influente nel suo modo di fare teatro, non solo nelle immagini dell'esotico e del viaggio (marinai, ventagli, veli) ma anche nella stilizzazione estrema, di rigore nella ricchezza, dell'uso particolare del silenzio e del vuoto, del detto e del sottointeso, tipici del teatro e dell'arte visiva giapponesi. Seguono una serie di spettacoli a solo o accompagnati da poche figure, poco più che comparse, che riprendono o rielaborano frammenti da altri spettacoli del passato: "Reves de Lumière" (1997), "Dreamdances" (1998) e il recente "Fiori spezzati: da Flowers a La Traviata", prodotto dal Teatro Nuovo di Torino e presentato in questi giorni al Teatro Greco di Roma.

Il programma, composto da sei quadri, in cui Kemp è accompagnato dai giovani solisti del corpo di ballo del Teatro Nuovo, tecnicamente preparatissimi, presenta tre brani di repertorio rielaborati: "Café des Fleurs", realizzato in memoria di "Flowers", in cui veste ancora i panni del travestito Divine che è, all'interno di una rude e marinaresca taverna, un concentrato massimo di delicata femminilità e pudore, tale da togliere il fiato; "Frammenti dal diario di Vaslav Nijinsky", dove incarna sogni e incubi del celebre ballerino rinchiuso in manicomio; e "L'ultima danza di Salomé", da Wilde, dove, avvolto in un meraviglioso kimono, Kemp danza sulle musiche di Strauss con in mano la testa del profeta Giovanni Battista e si toglie i famosi veli in un sogno-ricordo di malvagia seduzione, come una terrificante vedova nera, intorno alla figura nuda e statuaria di un danzatore.

Un altro quadro, "Isadora", ci presenta la famosissima danzatrice Isadora Duncan, mentre balla e flirta elegantemente con un dandy che non è altro che la morte, il suo ineluttabile destino. La vera novità della serata è "Ricordi di una Traviata" sulle musiche dell'opera omonima di Verdi. Kemp incarna il personaggio di Violetta, affascinante donna di mondo, corteggiata durante una festa da un nugolo di aitanti giovani. Violetta è disegnata soltanto da una semplice e ampia gonna bianca e un pezzo di tulle a mo' di scialle, che lascia il torace maschile praticamente in vista e senza l'utilizzo di parrucche o altri elementi femminili. Ciò nonostante il lavoro di Kemp è di una forza scenica ed emotiva a dir poco stupefacente, rasenta allo stesso tempo il grande melodramma e il teatro-danza delle tenebre giapponese chiamato Butoh. Purtroppo, i giovani ballerini di contorno, bravissimi nel danzare, non lo sono altrettanto nel diventare figure teatrali a tutto tondo, lasciando intorno a Kemp/Violetta soltanto il vuoto.

A proposito dello spettacolo, Kemp ha dichiarato: "Con il passare degli anni ho sentito sempre più forte il bisogno di scavare alle radici del mio teatro e di togliere tutto ciò che non era essenziale, alla ricerca di una nuova semplicità. In questo senso 'Fiori spezzati' non è una raccolta di brani storici ma una ricerca rivolta al futuro."

 

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