Questo saggio appare sul numero 1 della
Nuova Serie della rivista Filosofia e Questioni Pubbliche. Per ulteriori informazioni
potete contattare Luiss Edizioni all'indirizzo e-mail edizioni@luiss.it
In un classico esempio formulato da John Locke nel lontano 1690, un principe e un
calzolaio si scambiano i corpi, vale a dire il cervello. In conseguenza di questo scambio
fantascientifico, il principe si trova a possedere le memorie del calzolaio e
questultimo quelle del principe: se lo scambio fosse in questi termini, il principe
non sarebbe altro che un calzolaio con un corpo diverso e il calzolaio un principe...
In tempi più recenti, diversi filosofi hanno ipotizzato simili situazioni in cui un
cervello viene allontanato dal suo corpo, in quanto le connessioni nervose vengono
allungate artificialmente o un cervello riceve informazioni sensoriali da un computer,
grazie a una mirabolante interfaccia che connette il cervello naturale a quello
artificiale: ma anche nellimmaginario cinematografico, ad esempio nel film Total
Recall, è stata presa in considerazione lidea di trasferire (impiantare) false
memorie nel cervello di una persona, in tal modo alterandone lidentità. Si tratta
di artifizi dei filosofi che, attraverso ipotetici casi paradigmatici si pongono domande
sulla natura della mente, di divertenti ipotesi fantascientifiche o di qualcosa di più
vicino alla realtà? In altre parole, è possibile che le neuroscienze siano prossime ad
intervenire sul cervello e quindi sulla mente e che ciò non abbia soltanto
ricadute di tipo biologico ma investa anche la nostra concezione della natura della mente
e abbia implicazioni di tipo etico? Ma oltre a questo interrogativo, che vedremo quanto
sia ipotetico o verosimile, è però opportuno formularne un secondo: è possibile che le
conoscenze in ambito neuroscientifico abbiano un impatto sul modo con cui guardiamo alla
natura umana e, di conseguenza, anche sulletica?
Per quanto riguarda il primo punto, relativo alla capacità delle neuroscienze di
incidere sul cervello, esso rivela un aspetto bivalente e ambiguo delle nostre concezioni
della mente e del cervello: in linea di massima siamo infatti più propensi ad accettare
una dimensione biologica della mente nellambito della patologia del sistema nervoso,
meno propensi quando guardiamo alla sua fisiologia. Siamo, ad esempio, pronti a ritenere
che il temperamento di una persona possa mutare a seguito di un trauma, di un tumore o di
una qualche patologia che colpiscono il sistema nervoso, così come ammettiamo che la
memoria o lintelligenza di una persona possano deteriorarsi a causa
dellarteriosclerosi, di malattie come il morbo di Alzheimer, della sindrome di
Korsakoff, una patologia legata allintossicazione cronica da alcol. In questi casi
accettiamo lesistenza di un nesso causale tra funzioni cerebrali (impedite) e
funzioni mentali (alterate) così come laccettiamo per alcuni aspetti delle malattie
mentali (ad esempio la depressione) o dei rapporti tra droghe o farmaci psicotropi e
comportamento: tantè che lalterazione delle funzioni mentali che deriva
dallavere assunto psicofarmaci o droghe viene interpretata, anche per i suoi
risvolti giuridici, come una riduzione o alterazione della coscienza e del libero
arbitrio.
In tutti questi casi, lesistenza di una correlazione tra la componente
psicobiologica e quella mentale viene accettata e spiegata in rapporto allesistenza
di lesioni, di alterazioni del metabolismo, di variazioni della funzione dei mediatori
nervosi alla base dei livelli di vigilanza, degli stati umorali, dellautocontrollo e
via dicendo. Anche lazione di alcuni ormoni viene considerata in termini simili,
purché i loro effetti riguardino situazioni particolari, in cui il ruolo di chi li assume
è in qualche modo legato a una situazione a sé stante, in qualche modo al di fuori della
quotidianità delle persone comuni: ad esempio, ammettiamo che la somministrazione di
ormoni maschili renda i calciatori più aggressivi, che il doping possa scatenare un
pugile, che gli amfetaminici spingano allazione i soldati, come è avvenuto in larga
scala nellultimo conflitto mondiale, ma in qualche modo riteniamo che queste
correlazioni tra la manipolazione biologica e il comportamento esulino dalle condizioni
ideali in cui agisce, o dovrebbe agire la mente...
Consideriamo ora un passo successivo: come giudichiamo o giudicheremmo
unalterazione biologica rivolta a curare una malattia degenerativa del sistema
nervoso attraverso lutilizzazione di materiale biologico omologo o eterologo,
proveniente cioè dal nostro stesso organismo oppure da un donatore appartenente alla
specie umana o ad unaltra specie animale? Lipotesi è tuttaltro che
retorica in quanto interventi simili sono già stati effettuati a livello sperimentale, in
particolare su persone affette da una malattia degenerativa del sistema nervoso, il morbo
di Parkinson. Questa malattia è dovuta alla graduale degenerazione dei neuroni
dopaminergici (che utilizzano il mediatore nervoso dopamina) dei cosiddetti nuclei della
base del cervello, nuclei che hanno il compito di assicurare movimenti corporei fluidi ma
che hanno anche effetti sullemozione: le terapie farmacologiche possono risultare
inefficaci dopo qualche tempo e si stanno sperimentando tre tipi di interventi basati
sullimpianto di neuroni dopaminergici che si basano sulluso di neuroni
provenienti dalle ghiandole surrenali dello stesso individuo, sulluso di cellule
provenienti da tessuti di origine fetale (cioè da un altro organismo) e, infine,
sulluso di cellule animali geneticamente modificate.
I risultati, abbastanza positivi nel corso della sperimentazione animale, sono invece
ancora dubbi nelluomo: ma resta il fatto che essi implicano una «sostituzione» di
cellule nervose, sia pure al fine di reintegrare una funzione deteriorata. Altre ricerche
riguardano la possibilità di intervenire, con strategie simili, sui circuiti nervosi di
tipo colinergico (il cui mediatore nervoso è lacetilcolina) che si deteriorano in
maniera progressiva e irreversibile nel morbo di Alzheimer, una malattia della vecchiaia
che comporta una progressiva perdita di memoria e uno stato di demenza: in questo caso,
leventuale «trapianto» cellulare non riguarderebbe circuiti implicati in funzioni
motorie (e quindi più meccaniche e banali) ma circuiti implicati in funzioni cognitive.
Se simili interventi venissero praticati, e con successo, quali sarebbero le loro ricadute
riguardo ad alcuni aspetti della filosofia della mente, per esempio di concetti quali i
rapporti mente-cervello, il Sé, lidentità?
Hilary Putnam (1981) si pone un interrogativo simile a quello formulato da Locke sullo
scambio di corpi tra un principe e un calzolaio: egli immagina che un cervello venga
disconnesso dal corpo e, attraverso quello che potremmo definire un meccanismo di
circolazione extracorporea, venga mantenuto in vita e, anziché ricevere informazioni dai
sensi fatto impossibile dato il tipo di «intervento» riceva informazione
da un computer con cui è interfacciato. Putnam si propone di chiarire quale sia la
differenza tra sensazioni (informazione) e stati mentali ed utilizza a questo fine il suo
esempio «fantascientifico»: eppure la possibilità di far pervenire linformazione
al sistema nervoso tramite uninterfaccia di tipo informatico non è ormai talmente
fantascientifica, almeno per quanto riguarda alcuni casi. Ad esempio, alcune protesi
acustiche utilizzate in persone affette da sordità si basano sul principio di utilizzare
un piccolo computer per trasformare i suoni provenienti da un microfono in impulsi
elettrici e di inviare questi impulsi direttamente al nervo acustico (allinterno del
cranio) attraverso una serie di minuscoli elettrodi impiantati in diversi punti di origine
delle fibre nervose: in questo caso il cervello prova sensazioni (uditive) tramite un
computer, una macchina influenza in modo diretto la fisiologia nervosa.
Simili esperimenti sono allo studio per ovviare a quei tipi di cecità che derivano da
lesioni della retina o dellocchio. Qualcosa di analogo viene sperimentato per ciò
che riguarda il midollo spinale al fine di riparare le sue lesioni che, in caso di
incidenti che comportino la sezione delle fibre che collegano i muscoli e i territori
periferici al cervello, comportano forme di paralisi irreversibili. Il blocco della
conduzione degli stimoli nervosi tra i due monconi del midollo spinale dipende, in gran
parte, dalla formazione di un tessuto cicatriziale attraverso cui il midollo, come altri
organi somatici, tenta di riparare la lesione. Per ovviare a questo blocco, in alcuni tipi
di «protesi», ancora in fase sperimentale si tenta di captare, con sottili elettrodi,
gli impulsi nervosi che dal cervello arrivano sino al punto della lesione del midollo, di
inviarli a un computer che li decodifichi e trasformi in impulsi elettrodi in grado di
eccitare i nervi situati al di sotto della lesione o i muscoli altrimenti paralizzati. In
sostanza si tratta di un tipo di interfaccia simile a quello utilizzato per captare le
informazioni sensoriali: in questultimo caso si tratta di utilizzare
uninterfaccia elettronica per trasformare linformazione in stimoli diretti al
cervello, nel caso del midollo spinale si tratterebbe di uninterfaccia attraverso
cui il cervello riprende i contatti motori col corpo.
Si potrà dire che la possibilità di intervenire sulle informazioni sensoriali e,
forse, su quelle motorie non implica che venga modificata la mente, che vengano alterate
le sue caratteristiche fondamentali, ad esempio la sua capacità di giudicare, cogliere
significati, provare emozioni: eppure questi esempi indicano come sia possibile simulare o
alterare alcuni aspetti delle funzioni cerebrali, come, ad esempio, nei discussi e
discutibili esperimenti realizzati dalla neurofisiologa Mary Brazier negli anni
Sessanta, in cui ad alcune persone sono stati impiantati, oltre ad elettrodi per
controllare gravi forme di epilessia, anche elettrodi in grado di stimolare quei «centri
del piacere» che Olds e Milner (1954) avevano a suo tempo descritto negli animali. Cosa
implicano allora questi studi e queste elevate capacità delle neuroscienze moderne? Non
certo, come si è detto, la capacità di intervenire sui contenuti della mente realizzando
quello scambio di corpi o cervelli ipotizzato da John Locke e da altri filosofi, ma una
qualche capacità di modificare stati mentali (ad esempio le sensazioni di piacere) e
funzioni nervose attraverso un intervento esterno, come daltronde avviene in modo
ancor più evidente attraverso limpiego di psicofarmaci: questi possono alterare
stati umorali, ad esempio contrastare una forma di depressione o di grave ansia e, così
facendo, possono anche contribuire ad alterare il «colore» dellesperienza e dello
stare al mondo in quanto, giorno dopo giorno, possono far percepire la realtà in modo
diverso da quella che sarebbe stata la percezione usuale da parte di una persona
caratterizzata da un particolare temperamento sulla base della sua natura o di particolari
esperienze.
Ancora più sottile è il caso del farmaco che interviene sui mediatori nervosi e
modifica lumore, rendendo meno ansiosi, depressi o «di buon umore»: ciò porta
spesso ad affermare che lessere felici o infelici non sia altro che uno stato
biochimico, i livelli più o meno elevati di una particolare molecola, in tal modo
confondendo uno stato umorale con un atteggiamento più o meno motivato nei riguardi della
realtà, confondendo il tipo di umore con le sue connotazioni e minimizzando il ruolo
dellesperienza. Nel caso degli psicofarmaci, però, la situazione è più complessa
rispetto ad altri tipi di interventi sulla funzione del sistema nervoso, quali possono
essere quelli basati sullinterfacciamento computer-cervello: si potrebbe infatti
sostenere che una modifica del tipo di stato umorale, rendere una persona più calma
anziché ansiosa o più attiva e fiduciosa anziché depressa, può avere effetto sul modo
in cui si guarda alla realtà, si valutano le esperienze, si intrattengono rapporti
sociali eccetera. Insomma, modificare lemozione e lumore può in effetti
significare una trasformazione del tipo di stati umorali ed emotivi: ma il potere di
modificare alcuni stati mentali non corrisponde a una «trasfusione» di stati mentali,
vale a dire alla possibilità di alterarne dallesterno i contenuti. È sempre la
persona la cui funzione mentale è stata alterata ad essere al centro di una
diversa interpretazione della realtà, di diversi desideri, credenze, aspettative.
Semmai, la possibilità di manipolare la funzione nervosa dallesterno può essere
considerata in termini di libero arbitrio o di etica: nel caso specifico, dei limiti
dellautonomia del mentale rispetto al fisico e dei limiti di attuazione di questi
interventi.
Pur senza alterare quegli aspetti della mente che sono alla base della nostra
individuale concezione del mondo, ad esempio memorie, credenze, desideri, significati, le
neuroscienze possono quindi intervenire su alcuni aspetti fondamentali dei rapporti con la
realtà, al punto da suggerire alla fantasia del singolo o a quella collettiva che sia
possibile trasfondere in modo artificiale, attraverso sofisticate manipolazioni, memorie e
concezioni del mondo nel cervello o mente di una persona il caso contemplato da
Locke o che le basi nervose di alcune funzioni nervose o mentali coincidano con
queste ultime. Questo modo di guardare ai comportamenti e alla mente umana è oggi
tuttaltro che infrequente e viene potenziato dalla forza di convinzione visiva
esercitata dalle odierne immagini funzionali del cervello, ben più immediate e suggestive
delle vecchie mappe della topografia cerebrale. Ad esempio, attraverso la PET
tomografia ad emissione di positroni è possibile evidenziare le aree del cervello
più attive rispetto alle circostanti: il movimento di una mano è correlato da una
maggiore attività un colore più acceso nella rappresentazione visiva tramite il
computer della corteccia cerebrale, il tentativo di rievocare un ricordo implica un
aumento dellattività della corteccia frontale, unemozione una maggiore
attività del sistema limbico e così via: nel guardare queste immagini funzionali del
cervello potremmo ritenere che un ricordo non sia altro che unattivazione della
corteccia frontale, unemozione unattivazione dei nuclei del sistema limbico e
via dicendo, sulla base di un neo-meccanicismo favorito dallenorme potenziale e
suggestione delle tecniche di visualizzazione cerebrale (o Brain imaging).
Quale può essere limpatto delle crescenti conoscenze nel campo delle
neuroscienze e della loro indiscutibile capacità di fornire una limitata
riduzione della mente alle sue basi fisiche sullimmagine delluomo? Questo tema
è stato affrontato, anni or sono, da una filosofa, Margaret Boden (1990), che si è
domandata quali effetti possano avere sulle concezioni della natura umana le nuove
conoscenze che derivano dal campo dellintelligenza artificiale e della robotica. È
possibile, si chiede Boden, che in futuro i nostri valori possano avere come punto di
riferimento il campo dellintelligenza artificiale e che un neo-meccanicismo induca
una svalutazione di quei valori legati allindividualità e alla persona che
rappresentano il fondamento dei valori umani? Questo interrogativo può essere esteso ad
altri ambiti, a una concezione essenzialmente neurobiologica della mente, a una dimensione
essenzialmente psicofarmacologica della terapia, insomma a un riduzionismo mentale totale
improntato a una dissociazione tra realtà materiale e significati.
Dare risposta a questi interrogativi non è facile, soprattutto quando ci si confronta
con quanti sostengono che la non accettazione di un riduzionismo totale coincide con il
rifiuto di un approccio scientifico, monista, sgombro da pregiudizi e sovrastrutture
mentali. Queste obiezioni, in realtà, si basano su una concezione riduttiva e
semplificante della biologia, delle scienze della psiche e della mente: esse non tengono
conto, ad esempio, dellesistenza di una forte individualità delle strutture nervose
e funzioni mentali, dei meccanismi di plasticità che spaziano da «banali» funzioni
quali la motricità a funzioni più complesse quali la memoria, delle diverse strutture o
strategie attraverso cui può emergere una particolare funzione mentale,
dellesistenza di diversi stati di coscienza, di fenomeni mentali inconsci e via
dicendo. Le stesse obiezioni non tengono in sufficiente conto lesistenza di una
tendenza generale della mente a interpretare un insieme di informazioni nellambito
di un generale contesto di riferimento, di significati che investono sensazioni,
percezioni, pulsioni, attività oniriche, memorie, credenze, desideri (Oliverio, 1998).
Se la mente viene oggi percepita in termini essenzialmente neuroscientifici,
psicologici, cognitivi, connessionistici, fenomenologici o informatici, vale a dire
attraverso una sola ottica, ciò è anche dovuto al fatto che neuroscienziati, psicologi e
filosofi stentano a parlare un comune linguaggio e spesso ignorano, a causa della vastità
dellinformazione e delle difficoltà di abbandonare un particolare punto di vista,
raggiungimenti delle altre discipline che porrebbero in crisi uninterpretazione di
comodo o che larricchirebbero di nuove dimensioni. In questottica, la biologia
potrà contribuire a una più articolata conoscenza dei fenomeni mentali se tiene conto
dellesistenza della loro dimensione soggettiva e quindi dellesistenza
di schemi generali, atteggiamenti e significati se presterà attenzione alla
dimensione individuale, neurobiologica e comportamentale, alle deviazioni dalle cosiddette
«leggi» anziché ai fenomeni normativi.
Bibliografia
M.Boden, The philosophy of artificial intelligence, Oxford University Press,
Oxford 1990, pp. 67-88.
J. Olds-P. Milner, Positive reinforcement produced by electrical stimulation of
septal area and other regions of rat brain, «Journal of Comparative and Physiological
Psychology», 47, 1954, pp. 419-427.
A.Oliverio, Larte di ricordare, Rizzoli, Milano 1998.
H.Putman, Representation and reality, MIT Press, Cambridge, MA. 1988.