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Fondazione Italiani/Europei


Giancarlo Bosetti


Trovera’ il ceto dirigente, politico ed economico, lo spirito di una missione comune, da intitolare magari al suo proprio paese? E una volta trovatolo, riuscira’ a farne partecipe quella gran parte della popolazione che vede nel cambiamento, nella new economy e nella societa’ dell’informazione una minaccia invece che una bellissima occasione? Sono le domande che la Fondazione Italiani/Europei guidata da Giuliano Amato ed Alfredo Reichlin ha messo davanti a un gruppo di imprenditori, economisti, politici. C’erano per le imprese: Marco Tronchetti Provera, Luciano Benetton, Franco Tatò (Enel) e Gianmaria Gros-Pietro (Eni), Vittorio Merloni, Alessandro Profumo (Unicredit), Silvio Scaglia (e-Biscom) e Renato Soru (Tiscali), Franco Bernabè e Carlo Castellano. Per la politica: Walter Veltroni, Enzo Bianco, Enrico Letta, Grazia Francescato, Giorgio La Malfa e Nerio Nesi. Per le scienze economiche e sociali: Domenico Siniscalco, Michele Salvati, Fabrizio Barca, Salvatore Bragantini, Arnaldo Bagnasco, Nicola Rossi.

Senso generale della discussione: chiunque guardi con spirito modernizzatore alle condizioni generali del paese e si domandi che cosa impedisca all’aereo di decollare o all’embrione di uscire dal bozzolo (scegliete la metafora preferita tra quelle offerte da un fertile Giuliano Amato) va a sbattere regolarmente contro alcuni noti ostacoli. E qui ci sono sfumature diverse non tanto nell’individuarli quanto nella gerarchia di importanza dei medesimi.

C’è chi mette davanti a tutto l’immane trave del sistema politico incapace di schiodarsi da un meccanismo elettorale che non garantisce stabilita’ e governabilita’. Per Tronchetti Provera ci vorrebbe "un atto di coraggio della leadership" per dare una spallata al blocco istituzionale. Anche per il segretario dei Ds il guaio principale sta li’: la transizione è decisamente troppo lunga, mentre l’intero sistema-Italia ha bisogno di un "cambio di passo", ma la condizione fondamentale, per passare dalla attuale "efficienza statica", guadagnata faticosamente in questi anni con l’ingresso in Europa e scampando i rischi di un governo Berlusconi, a una "efficienza dinamica", è che il vero bipolarismo faccia un passo avanti, che si torni (esperienza dell’Ulivo ’96) a una coalizione che abbia supremazia sui partiti che la compongono. "La modernizzazione si da’ in quanto esista un governo di legislatura". Durata e natura della coalizione, piu’ della stessa qualita’ del premier, decidono del dinamismo di un governo. Ben venga dunque il referendum sulla legge elettorale.

E c’è chi mette in primo piano le resistenze degli interessi costituiti, del conservatorismo diffuso e radicato in forma di paura del cambiamento: una paura che viene variamente coniugata sul versante dello stato (la pubblica amministrazione da riformare, su quello del lavoro, e su quello delle imprese). Amato dedica un pensiero critico al sindacato che ostacola lo stesso "bisogno di verita’" in situazioni incagliate nella old economy come le Ferrovie dello Stato e la pubblica amministrazione (dove "prevale la spinta a salvaguardare ruoli incompatibili con il cambiamento"). Silvio Scaglia, l’ex amministratore delegato di Omnitel, vede piuttosto le "nuove porte di sviluppo" che si sono aperte in Italia come il successo nei confronti delle strozzature di mercato tipiche di un capitalismo che faceva blocco intorno ai soliti noti. Li’ erano i guardiani delle "porte strette" e l’allargamento è stato possibile perche’ Internet sta ridisegnando l’economia e le imprese, mentre il nuovo mercato globale dei capitali ha fornito i mezzi per non sottostare alle vecchie condizioni.

Vittorio Merloni insiste sullo scoglio del cambio di mentalita’ che, con la tecnologia digitale, ci porta "dal mondo delle aziende con capannoni" a quello delle aziende "anche con capannoni". La svolta è radicale non solo nel settore delle telecomunicazioni ma anche in quello della meccanica. "L’informatica serve anche a chi fa piastrelle di ceramica". Luciano Benetton l’ostacolo principale lo vede in una politica che non riesce a decidere. "Un anno fa si è tentata la riforma delle licenze commerciali, ma i piccoli hanno mandato tutto in malora. Troppe regole, anche sulle date dei saldi. A Roma sono cominciate il 29 gennaio, in Olanda cominciano all’inizio di dicembre. Chi ci prova prima viene penalizzato". A Benetton, come a Scaglia, piace giocare da esterno, sulle fasce laterali, alla larga dai guardiani delle porte strette. Dice le sue perplessita’ anche sulla capacita’ di rappresentanza della Confindustria ed espone la sua filosofia di "solitario" (lui veramente dice "anarchico"): "far funzionare la mia azienda a qualunque costo". E perche’ da solo? "Perche’, risponde, faccio mia una massima di Messner: le scalate le faccio da solo perche’ se le facessi in gruppo il risultato dipenderebbe dall’ultimo del gruppo". Battuta agonistica certamente non di genere socialista, la quale ci ricorda che l’incontro tra la sinistra e il capitale puo’ dare luogo a qualche incongruenza.

Ma il vento di Seattle lo porta nella discussione Domenico Siniscalco: siamo passati negli ultimi sei mesi dalla corsa entusiastica verso la globalizzazione e la liberalizzazione alla tendenza a occuparsi delle disfunzioni dello sviluppo; o si universalizzano i benefici dello sviluppo o non si va da nessuna parte. E Grazia Francescato, la leader verde: stanno passando i due concetti chiave di Seattle, l’integrazione delle politiche ambientali in tutte le politiche e lo spazio da lasciare ai nuovi attori sulla scena ovvero la societa’ civile organizzata.

Michele Salvati si dichiara "pessimista radicale", nel senso che vede gli ostacoli piu’ forti delle buone intenzioni, ma tenta una sintesi della "missione Italia": chiamiamole, propone, le "quattro modernizzazioni" alla maniera di Mao: la riforma costituzionale (lege elettorale), la riforma amministrativa (la macchina dello stato), la riforma regionale (il federalismo), la riforma liberale (la fine delle corporazioni).

Sullo sfondo di molti interventi (Bagnasco, Amato, Salvati) il timore dell’onda lunga del localismo, la reazione spaventata e conservatrice che cerca rifugio nelle tane ideologiche dei Bossi e degli Haider, una reazione possibile tanto piu’ quanto piu’ i discorsi sull’innovazione appaiono le prediche di una élite aggiornata, cosmopolita, aristocratica, ricca, distaccata dal suo territorio, come quei "bastardi di Voltaire" (Ralston Saul), eredi sofisticati e privilegiati della modernita’ che non hanno piu’ patria e ai quali non si sa dove far pagare le tasse.

 

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