Professor Sylos Labini, noi viviamo in un'area del pianeta che ha conosciuto uno
sviluppo economico durato parecchi secoli, a conclusione del quale siamo abituati a
considerarci Paesi avanzati; d'altra parte, questa condizione può essere perseguita oggi
a partire da situazioni molto diverse e per vie disparate. Vorremmo che lei ci illustrasse
brevemente le diverse strade possibili della crescita economica e le loro intrinseche
difficoltà.
Conviene partire dai Paesi che hanno raggiunto un notevole grado di sviluppo, e cercare
di vedere in che modo lo hanno raggiunto. Questi Paesi sono soprattutto Paesi europei e
alcune loro ex colonie come l'Australia, la Nuova Zelanda. Questi Paesi avevano avuto un
lungo processo di sviluppo culturale, civile, ma un limitato processo di sviluppo
economico; lo sviluppo economico vero e proprio comincia negli ultimi due secoli. Prima ci
sono periodi in cui si hanno miglioramenti, soprattutto in agricoltura, ma anche periodi
in cui, al contrario, si verificano peggioramenti: non c'è un processo sostenuto,
sistematico e un fondo unidirezionale di sviluppo neppure nei Paesi europei.
Lo scenario è dominato da guerre sia nel bene che nel male, nel senso che le guerre
portano con sé distruzioni e qualche volta anche epidemie, perché certi Paesi traggono
vantaggio dalle guerre che riescono a vincere e ad avere così una crescita economica.
Sembra certo che lo sviluppo economico come processo sistematico e sostenuto non sia
esistito prima degli ultimi due secoli: è infatti verso la fine del '700 che si afferma
la rivoluzione industriale. Questa segna l'inizio del processo sistematico dello sviluppo
moderno, che viene favorito dall'industria. Paesi sviluppati e "Paesi
industrializzati" sono sinonimi, pur osservandosi in essi un processo addirittura di
"deindustrializzazione" per cui il settore terziario, il settore dei servizi,
tende a svilupparsi più dell'industria e in certi casi questa addirittura, sia pure
limitatamente, retrocede in termini, se non assoluti, almeno relativi.
Questi processi di deindustrializzazione sono stati interpretati talvolta in modo
abbastanza superficiale, poiché la crescita dei servizi non è una crescita che si
contrappone allindustria o è radicalmente distinta da essa. Al contrario una parte
dei servizi infatti non sono altro che una specializzazione di attività che nel passato
si svolgevano nell'ambito soprattutto delle grandi imprese industriali e che adesso invece
si sviluppano in modo autonomo. Si assiste così ad un nuovo tipo di sviluppo di qualcosa
di antico, così come è avvenuto con l'industria moderna che, prima di subire un processo
di sviluppo autonomo è stata manifattura e prima ancora produzione non agricola
nell'ambito di unità agricole in cui si producevano anche beni che poi sono stati
definiti "industriali" come tessuti, mobili o altri prodotti, che quindi si sono
separate dall'agricoltura e sono entrate nell'industria moderna. Il problema perciò è di
capire perché in certi Paesi si è osservato un processo di sviluppo sostenuto, rapido,
sistematico, che ha assunto connotati diversi dagli andamenti precedenti.
Si può parlare di periodi di relativa crescita come anche di periodi di gravi
difficoltà, ma non si può parlare di processi di sviluppo vero e proprio; l'unico dubbio
può esserci per il '700, o per la fine del '600, in cui si verifica uno sviluppo che,
però, è essenzialmente commerciale e manifatturiero nel senso letterale del termine. Lo
sviluppo moderno si ha con l'avvento delle macchine, di strumenti complessi mossi da forza
non umana ma da forze diverse, da fonti di energia come il carbone, il petrolio,
l'elettricità.
Quali sono, accanto alle nuove tecnologie, i fattori che hanno favorito lo sviluppo
industriale?
Forse in via preliminare si può mettere in evidenza che al processo di sviluppo
produttivo ha fatto riscontro un processo di sviluppo demografico: la crescita della
popolazione. La popolazione per secoli è aumentata relativamente poco o non è cresciuta
affatto anzi in certi periodi, di guerre, di pestilenze, è diminuita: la Guerra dei
Trent'anni, ad esempio, ha causato una forte calo della popolazione. Nel complesso, anche
in periodi in cui non c'erano guerre così catastrofiche come la Guerra dei Trent'anni, la
popolazione era relativamente stazionaria: periodi di crescita demografica erano seguiti
da periodi di diminuzione, ma in generale movimenti di crescita sostenuti non si
verificavano.
Una crescita sostenuta è avvenuta invece quando ha cominciato a svilupparsi la
produzione dei beni; in fondo, sotto certi aspetti, è più che evidente, addirittura
lapalissiano, che se la popolazione è potuta crescere come è cresciuta, questo non
poteva avvenire senza un contemporaneo aumento nella produzione dei beni poiché,
altrimenti, le persone non potevano moltiplicarsi. Ciò è vero perfino adesso nei Paesi
del Terzo mondo dove ci sono livelli di vita bassissimi; in questi Paesi la crescita della
popolazione di regola si accompagna alla crescita della produzione. Molti economisti non
si rendono conto che, siccome la crescita della produzione è poco superiore a quella
della popolazione, i miglioramenti non sono visibili in tempi brevi, e la povertà
continua a caratterizzare questi Paesi.
Gli economisti si sono accorti soltanto che certi Paesi, soprattutto in Asia, in
passato molto arretrati, stanno crescendo a una velocità straordinaria: Sud Corea,
Taiwan, ma anche Hong Kong, Singapore. Ecco allora lo scenario che abbiamo oggi nel mondo:
sei miliardi e più di popolazione mondiale, di cui soltanto un 15 % è rappresentato
dalla popolazione dei Paesi industrializzati, mentre gli altri sono i "Paesi del
Terzo mondo" o che appartenevano al "socialismo reale".
Perché i Paesi europei e poi alcune delle ex colonie, come gli Stati Uniti, il Canada,
l'Australia, la Nuova Zelanda, si sono sviluppati? Cosa c'è alla base del loro sviluppo?
Volendo riassumere la base che sta dietro lo sviluppo economico, produttivo, in
questione, si deve parlare di una base culturale che ha distinto l'Europa, e poi le sue
propaggini nei Paesi coloniali, dagli altri popoli. Perché in questi Paesi - si pensi al
mondo greco prima e romano poi - si è avuto uno sviluppo culturale che invece non si è
osservato in altri? Ecco a questa domanda io non so rispondere: credo che sia una domanda
imbarazzante per tutti. Fa impressione, quando si va a visitare il Messico o il Guatemala,
vedere i resti, le vestigia delle civiltà di quel continente, notare fino a che punto di
sviluppo erano arrivati soprattutto nel campo dell'astronomia, dell'agricoltura; fa anche
impressione scoprire che avevano inventato la ruota e che non si erano "accorti"
di tale invenzione perché la ruota serviva a riprodurre il cielo e le costellazioni ma
non a costruire mezzi di trasporto evoluti.
Purtroppo i colonizzatori hanno distrutto tantissimi prodotti di quelle civiltà, ma
quando è stato fatto lo sforzo di ricostruire il passato, come è successo in Guatemala,
non si nota però nessuna crescita culturale paragonabile a quella europea. C'è un altro
caso sconcertante - anche se questi sono terreni in cui un economista come me può
soltanto avere qualche impressione - ed è lo sviluppo sconcertante della civiltà araba
che per un periodo ha avuto un ruolo rilevante soprattutto nella matematica. È stato un
periodo limitato poi tutto è ritornato in condizioni di relativa stazionarietà, anche se
in quel periodo i pensatori arabi hanno dato molte "spinte" positive e hanno
anche avuto influenza sulla crescita culturale europea. Ma questa è stata più ampia e ha
saputo recepire, elaborare e sviluppare quelle spinte: l'opposto non è invece accaduto,
neanche, a quanto pare, nel periodo della notevole crescita dei Paesi arabi.
Quali sono gli altri fattori che hanno determinato lo sviluppo economico moderno?
In questa crescita culturale sono cominciati anche ad apparire prodotti dell'ingegno
utilizzabili nella pratica per la produzione, e si sono inventati alcune macchine sia pure
primitive. Qualche volta sono state inventate e sono rimaste inutilizzate. È
impressionate osservare come queste invenzioni abbiano riguardato non meno e forse di più
le armi, le attività militari piuttosto che le attività civili di produzioni. Ciò
appare anche nelle straordinarie invenzioni di Leonardo; alcune di esse sono rimaste sulla
carta oppure sono state sviluppate in seguito, dopo molto tempo, altre invece sono state
applicate in tempi brevi ma in situazioni abbastanza discontinue, anormali. La normalità
delle invenzioni da applicare all'attività produttiva è cominciata a comparire nel '600,
e più ancora nel '700, con la rivoluzione industriale e con l'applicazione di invenzioni
straordinarie soprattutto alla produzione industriale, a quella quella tessile, subito
dopo quella meccanica.
La rivoluzione industriale inglese proviene pure dalla Marina militare inglese;
l'Inghilterra è sempre stata una potenza di mare e la Marina è sempre stata un elemento
importante. Quindi l'interesse che questa aveva per le apparecchiature da usare sulle
navi, ma anche nella stessa costruzione delle navi, ha avuto un ruolo nella rivoluzione
industriale, nonostante non sia così importante come quello avuto dall'industria tessile,
in particolare da quella cotoniera. Allora, come è successo sempre, anche adesso con
l'elettronica, invenzioni favorite e finanziate dai vari organismi di difesa, dai
Ministeri della Difesa per ragioni militari, sono state poi applicate all'attività
civile: questo è accaduto per certi settori della microelettronica, soprattutto in
America, che erano stati sviluppati in primo luogo per la conquista dello spazio e sono
stati poi trasferiti spesso gratuitamente alle imprese civili. Questo processo, che adesso
è diventato sistematico e ampio, e che credo abbia avuto un ruolo importante nella
crescita rapida dell'industria elettronica negli Stati Uniti, si nota sin dal principio
dell'"industrianesimo", dell'industria moderna, cioè sin da quando è
cominciato il delirium tremens dello sviluppo moderno nell'industria e particolarmente
nell'industria inglese.
Si può allora dire in generale che se si vuole capire l'origine dello sviluppo
moderno, bisogna considerare le radici culturali in senso lato, non solo le radici delle
discipline sperimentali, fisiche e chimiche, ma anche a quelle del pensiero umanistico,
filosofia, diritto. Di questi due rami uno ha le radici più antiche in Grecia mentre
l'altro nell'area di Roma e poi nell'Impero Romano: è in questi due campi che si sviluppa
il pensiero umano che crea le premesse per lo sviluppo anche economico. In principio le
applicazioni pratiche sono modeste e riguardano soprattutto l'agricoltura, come al tempo
di Roma. Anche le opere di poeti come Virgilio testimoniano questo sforzo, il quale ha
successo, nonostante non metta in nessun modo in movimento un processo continuo e
ininterrotto come quello che si ha nell'industria.
Nei tempi moderni è giusto parlare di Paesi industrializzati anche se l'industria non
è più necessariamente maggioritaria né sul prodotto complessivo né sull'occupazione,
perché l'industria è stata e, tutto sommato, continua ad essere, il settore più
dinamico. Ci sono state invenzioni, applicazioni d'idee nuove all'attività produttiva, e
innovazioni. Si sono avute invenzioni propriamente agrarie soprattutto nei sistemi di
alternanza dei raccolti, invenzioni nel settore terziario, ossia in quello dei servizi, ma
se si va a vedere dietro di tutto ciò quasi sempre ci sono invenzioni e innovazioni
applicate in prima istanza dall'industria. Un esempio di questo è dato anche
dall'industria elettronica, la quale ha conquistato tutte le attività economiche compresi
i servizi e l'agricoltura, ma le apparecchiature hardware sono prodotte dall'industria, da
tante imprese industriali di rilevanza internazionale. Quindi la base è culturale e
continua ad essere l'alimentazione del processo continuo di sviluppo.
"Culturale" non significa soltanto istruzione anche se la comprende: è
l'istruzione a vari livelli; naturalmente il livello più importante è quello che si
combina e si confonde con la ricerca pura e poi con la ricerca applicata. La ricerca pura
viene svolta soprattutto nelle Università, quella applicata, invece, da organismi
specializzati e da grandi imprese che hanno a questo scopo dei laboratori, particolarmente
ampi negli Stati Uniti e in Giappone.
Continuando il suo discorso, potrebbe soffermarsi sulle riflessioni che si possono
svolgere in rapporto al tema della crescita economica a proposito dei Paesi del Terzo
Mondo?.
Ho messo in massimo rilievo la cultura, che è la condizione principale dello sviluppo,
ma subito dopo, e insieme ad essa, come ulteriore elemento essenziale, vi sono le
istituzioni, tra cui spicca il diritto: le istituzioni hanno grande importanza nello
sviluppo economico, non meno della cultura. Alcune di esse possono favorire lo sviluppo
mentre altre lo possono ostacolare. Quello che sto dicendo fa capo al fondatore della
scienza economica moderna, Adam Smith, il quale individuava questa triade: cultura,
istituzioni e risorse. Il termine "risorse" in senso lato comprende anche le
condizioni geografiche, quelle che oggi vengono chiamate "geopolitiche", e
cioè: posizione, accesso al mare, ai fiumi, che sono una condizione importante per
traffici e per il commercio, e risorse in senso stretto, quelle agrarie, la disponibilità
di terreni, di miniere, ecc..
Subito dopo la seconda guerra Mondiale vigeva una sorta di luogo comune secondo cui
l'Italia era un Paese povero perché non aveva risorse: questo è un punto di vista
superficiale e fondamentalmente sbagliato, perché, se fosse per le risorse, la Svizzera
dovrebbe essere il Paese più arretrato d'Europa mentre, al contrario, è il Paese più
ricco in termini di reddito individuale, più ricco anche degli Stati Uniti. Le risorse
non hanno una preminenza, anche se non vanno trascurate. Se diciamo: cultura, istituzione
e risorse, nominiamo i tre elementi fondamentali. In agricoltura la proprietà della terra
è molto importante come condizione dello sviluppo agrario: è un sistema istituzionale,
non un puro e semplice fatto. Ad esempio, quando la proprietà diventa eccessiva come nel
caso dei latifondi, molto spesso genera conseguenze negative.
Allora il punto è questo: proprietà della terra con condizionamenti e vincoli
giuridici che possono essere favorevoli allo sviluppo, oppure possono costituire
un'ostacolo allo sviluppo. In epoca feudale c'erano forme ereditarie - il maggiorascato,
la primogenitura ed altre - che riducevano la mobilità della terra: erano istituzioni che
non favorivano lo sviluppo, come mette in evidenza Adam Smith. Queste istituzioni di
origine feudale non furono trasferite negli Stati Uniti, in particolare nel New England, e
questo è stato un fattore molto favorevole allo sviluppo: c'erano le terre libere, per
cui coloro che lavoravano in un'azienda di tipo capitalistico potevano, se non venivano
trattati bene, umanamente e economicamente, mettersi in proprio. Diversa è stata
l'evoluzione del Sud degli Stati Uniti, dove invece si sono formate piantagioni nelle
quali lavoravano gli schiavi; di conseguenza quest'area è rimasta per tanto tempo molto
arretrata rispetto al Nord.
Il regime della proprietà è un regime complesso, e non può essere visto in termini
schematici. Smith mette in evidenza che nel regime contrattuale, dove i contratti che
possono essere cancellati, non favorisce lo sviluppo perché chi coltiva le terre prese in
fitto sapendo di poter essere buttato fuori da un momento all'altro non fa miglioramenti;
diverso è con i contratti lunghi, soprattutto se questi contratti prevedono che chi ha
introdotto i miglioramenti possa goderne buona parte dei frutti. Sono soltanto esempi che
riguardano la terra per mostrare come sia importante il sistema giuridico o il sistema
istituzionale per lo sviluppo economico, ma sono esempi da tener presente sia nei Paesi
del Terzo Mondo sia nei Paesi che hanno adottato il socialismo reale, dove la carenza
principale non sta nella cultura, ma nel sistema istituzionale e nelle trasformazioni che
questo ha subito.
Adesso economisti terribilmente superficiali vogliono ricostituire il mercato pensando
che sia una scatola vuota, semplicemente un laissez faire, mentre invece il mercato è un
complesso sistema istituzionale e contrattuale. Il guaio è che c'è effettivamente un
vuoto in Russia e negli altri Paesi, e che molti economisti, soprattutto americani, sono
andati a predicare una libertà incondizionata senza preoccuparsi della struttura
istituzionale che deve favorire i processi di sviluppo e soprattutto i processi
socialmente rilevanti e socialmente positivi: dando mano libera completa al mercato si
può scoprire che vengono favorite, stimolate attività puramente speculative o illecite,
e che provocano problemi enormi. Questo è ciò che sta accadendo in Russia dove le
attività speculative e illecite si sviluppano maggiormente tanto maggiore è il vuoto che
si è creato.
Allora: cultura, istituzioni e risorse stanno dietro la crescita dei Paesi sviluppati,
e là dove tutti e tre questi fattori hanno assunto certe configurazioni, come negli Stati
Uniti più che in Europa, lo sviluppo economico è stato più robusto. La matrice
culturale è fondamentale anche per gli Stati Uniti perché i colonizzatori del New
England erano i padri pellegrini mossi dal desiderio di libertà religiosa e poi di
libertà senza aggettivi, e avevano già un bagaglio culturale non proprio trascurabile.
In altre situazioni i colonizzatori sono stati addirittura ergastolani, come nel caso
dell'Australia che pure poi si è sviluppata in misura notevole, oppure avventurieri mossi
quasi esclusivamente dal desiderio di arricchimento con bassissima, scarsissima cultura.
Qual è la causa del sottosviluppo nell'America latina e nell'Africa?
Ci sono Paesi in cui le risorse c'erano, ma non hanno favorito uno sviluppo economico
vero e proprio: l'America Latina ad esempio ha risorse non meno grandi del Nord-America
eppure come tutti sanno fa parte del Terzo Mondo, sia pure nella fascia elevata. Ecco,
allora quando si parla di Terzo Mondo bisogna differenziare fortemente i diversi Paesi.
Prendiamone il tipo latino-americano e il tipo africano, soprattutto del cuore
dell'Africa. Nei Paesi latino-americani l'elemento avverso è stato rappresentato dalle
istituzioni. Dove c'è stata una colonizzazione spagnola, ma anche portoghese, sono stati
trapiantati, sia pure con modificazioni profonde, istituti di tipo feudale, con la
conseguente costituzione di latifondi creati artificialmente dai conquistadores: vigeva
l'idea che la terra libera non potesse esserci e che tutta la terra dovesse essere
occupata, un'idea di tipo feudale aggravata dal tentativo dei colonizzatori di riprodurre
le condizioni che esistevano in Europa, di reperire servi della gleba, per cui gli indios
diventarono più o meno schiavi.
Tutto questo favoriva l'arricchimento dei conquistadores e di quelli che in qualche
modo, come lavoratori relativamente liberi, facevano parte del gruppo dei colonizzatori,
ma non favoriva lo sviluppo economico, erano costituiva un impedimento che frenava lo
sviluppo. La cultura non faceva difetto ai colonizzatori perché venivano da Paesi europei
con una notevole tradizione, ma le istituzioni che hanno trapiantato erano avverse allo
sviluppo, e anche in Europa si sarebbero rivelate tali, anche se la loro crisi e la loro
trasformazione hanno poi reso possibile lo sviluppo economico vero e proprio.
La situazione è completamente diversa in Africa dove troviamo in alcuni casi i Paesi
della fame, i Paesi della vita media breve - quarant'anni o poco più, quando nei Paesi
industrializzati la vita media supera nettamente i settant'anni: in Italia siamo a
settantotto-settantanove per le donne, settantuno settanta due per gli uomini. In alcuni
paesi africani la mortalità infantile è superiore al duecento per mille, cifra altissima
che però si ritrovava anche nei Paesi europei come Francia e Inghilterra nella prima
metà dell'Ottocento.
In Africa le condizioni sono di una arretratezza particolarmente grave, le forme di
cultura sono note, interessantissime, degne di studio e di riflessione, ma da quello che
si sa molto frammentarie: non c'è stato uno sviluppo culturale robusto e sistematico, ci
sono state forme molto scarse di cultura scritta, che invece ha un ruolo fondamentale
nella trasmissione, nella diffusione del sapere. Ha contato anche una scarsa memoria
dell'evoluzione precedente proprio perché era in gran parte memoria orale, e questo sta
alla base poi dello scarsissimo sviluppo economico. In Africa, salvo il caso molto
particolare del Sud-Africa dove bisogna pensare non a una, ma a due società - quella di
colore e quella dei bianchi - e del Nord-Africa che ha avuto un fortissimo influsso
europeo, il resto del continente, soprattutto l'Africa sub-shariana, è in condizioni di
grave crisi e arretratezza.
Sono questi i Paesi della fame dove un gran numero di persone muoiono di stenti, dove
l'analfabetismo è estremamente diffuso, e dove non si può dire che ci sia capitalismo.
Se le parole hanno un senso, si ha capitalismo laddove la situazione economica è
caratterizzata da imprese con dipendenti. In Etiopia, che pure è un Paese molto
importante, i dipendenti rappresentano il 10% della popolazione attiva, soprattutto ad
Addis Abeba e nella città. L'altro 90% da chi è composto? Da lavoratori indipendenti non
paragonabili a quelli che si possono trovare in Italia, in gran parte membri di tribù o
comunque di comunità primitive, dove non esiste il mercato e neanche il mercato del
lavoro. Chiamare capitalistica una simile società è un non senso, né tantomeno può
essere chiamata socialistica, anche se Etiopia, Somalia, Mozambico e Angola, in tempi
diversi, si sono trovati sotto il controllo dei Paesi del socialismo reale, in particolare
della Russia.
Qual è il quadro del socialismo reale?
È un quadro di macerie. Anche qui come nell'America latina, ma per ragioni molto
diverse, la carenza più grave non sta nella cultura, ma nelle istituzioni. A un certo
momento della storia, soprattutto della storia russa che poi ha avviato l'esperimento
grandioso e drammatico del socialismo reale, si sono volute cambiare in modo
rivoluzionario e violento le istituzioni che si vedevano carenti e difettose Erano
certamente così, ma forse il cambiamento è stato in peggio: carenti e difettose le
istituzioni fino alla prima Guerra Mondiale, terribilmente carenti e deficienti le nuove.
Con queste avvertenze: in una prima fase l'organizzazione centralizzata, pianificata dal
centro ha avuto dei vantaggi che hanno indotto in errore non pochi osservatori, non solo
quelli ben disposti o addirittura decisi a sostenere o a ripetere l'esperienza sovietica
in altri Paesi, cioè i comunisti, ma anche quegli osservatori che comunisti non erano.
In questa prima fase, che grosso modo occupa una decina d'anni, dal 1929 al '39, e poi
nel primo dopoguerra, lo sviluppo produttivo in Russia appare rapido e perfino vigoroso.
Le ragioni di questo sviluppo dipendevano soprattutto dall'assenza di grandi opere
pubbliche nelle Russie che precedono la tragica Rivoluzione di ottobre, e poi dall'avvio
nella nuova Unione Sovietica di alcune grandi attività industriali: elettricità, acciaio
e poi cemento e chimica di base. Venivano impiantate delle grandi fabbriche di solito
ordinate in Europa. Anche l'Italia fascista, nonostante la contrapposizione frontale
rispetto al comunismo russo, ha fornito centrali elettriche e altre grandi fabbriche,
ancora di più la Germania e gli altri Paesi europei.
Un Paese centralizzato può avere molti vantaggi se ha da offrire materie prime in
cambio e la Russia ne aveva molte, come ne ha tuttora. E'stato possibile in tempi brevi
mettere su un'industria pesante a condizione di sacrifici durissimi che la dittatura di
Stalin poteva imporre alla popolazione. In quel periodo si crea la base per la grande
priorità accordata all'industria pesante. La motivazione ufficiale era soprattutto che
quella era la base produttiva, ma in realtà la ragione principale era militare:
l'industria pesante serve a fare armi, anche più che macchine.
Quand'è che questo processo di sviluppo è entrato in crisi? Dopo la creazione della
cosiddetta base produttiva si doveva passare al medio o al piccolo, più difficili, o
addirittura impossibili da programmare dal centro. La carenza stava soprattutto in questo:
mentre le grandi fabbriche potevano essere importate belle e fatte dall'estero e potevano
essere man mano rinnovate e modernizzate perché erano ben individuate e ben visibili, nel
caso delle piccole e medie attività produttive il pianificatore non poteva seguirle
individualmente e non avrebbe potuto occuparsene nemmeno se fosse stato un genio. Questa
impossibilità di favorire, di stimolare tutte le innovazioni, anche quelle piccole o
anonime o scientificamente irrilevanti, derivava dalla mancanza di interesse privato, non
esistendo la proprietà privata dei mezzi di produzione, mancando la figura
dell'imprenditore capitalistico. La grande carenza dell'economia pianificata è stata la
scarsissima capacità di innovare.
Qual è la situazione complessiva attuale?
Credo che il quadro che emerge non sia idilliaco, ma nemmeno di cupa disperazione. E'
un quadro in un certo senso tragico perché tutta la storia dell'umanità fondamentalmente
tragica, ma non in modo uniforme, né nel tempo e nemmeno lo spazio, perché ci sono
periodi più drammatici e altri meno. Ci sono aree geografiche in condizioni critiche, lo
vediamo con i nostri vicini di casa della ex-Yugoslavia, ci sono problemi di natura
diversa che ben conosciamo soprattutto in Italia e che speriamo che restino di natura
diversa. Mi riferisco al problema meridionale, per dare un tema di riflessione conclusivo
che riguarda il nostro paese e di cui mi sono occupato essendo io stesso un uomo del Sud.
Per molto tempo il problema meridionale è stato visto soprattutto come problema
economico, mentre invece chiaramente non lo è, o lo è soltanto subordinatamente. In
realtà è un problema di sviluppo civile.
Io non mi considero crociano, e credo che la storia del Regno di Napoli di Croce debba
essere letta e meditata da tutti: spiega che quello meridionale è un problema di mancato
sviluppo civile che ancora stenta ad affermarsi, e la diffusione terribile e capillare
della corruzione e delle organizzazioni criminali ne è il corollario. Dal punto di vista
economico il mezzogiorno non sta bene, ma non ci sono nemmeno problemi di miseria nera.
Quando ero giovanissimo visitai i piccoli centri del Mezzogiorno, perché le grandi città
ingannano, e lì vidi quella che si poteva chiamare miseria; quando mi è capitato di
ritornare a Palma di Monte Chiaro o a Crotone o anche in quei piccoli centri della
Basilicata dove ha vissuto Carlo Levi, ho constatato che c'è povertà, ma non miseria.
C'è il nuovo problema della disoccupazione giovanile che però non si accompagna a
miseria nera, si accompagna a difficoltà. La conclusione è questa: come meridionale dico
che l'Italia può diventare un Paese civile; ancora non lo è - ci sono delle chiazze - ma
può diventarlo.
L'ostacolo principale è dato dallo scetticismo, cioè dall'idea che non puoi cambiare
quello che c'è. Invece il cambiamento è possibile. Quando in piccolo ci ho provato, ho
visto che si poteva andare avanti. Il guaio è che pochissimi ci provano perché sono
scettici. Certe volte lo scetticismo è un modo comodo di non impegnarsi e di dire
"tanto non c'è niente da fare", e invece io penso che ci sia moltissimo da
fare.