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Lo sviluppo economico in una prospettiva secolare


Paolo Sylos Labini con Ennio Galzenati

Questa intervista fa parte dell’Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche, un’opera realizzata da Rai-educational in collaborazione con l’Istituto italiano per gli studi filosofici e con il patrocinio dell’Unesco, del Presidente della Repubblica Italiana, del Segretario Generale del Consiglio d’Europa.

L'obbiettivo è quello di diffondere nel mondo, tramite le nuove forme d’espressione e comunicazione sociale consentite oggi dalla tecnica, la conoscenza della filosofia nel suo svolgimento storico e nei termini vivi della cultura contemporanea.

Per ulteriori informazioni potete visitare il sito Internet: www.emsf.rai.it

Professor Sylos Labini, noi viviamo in un'area del pianeta che ha conosciuto uno sviluppo economico durato parecchi secoli, a conclusione del quale siamo abituati a considerarci Paesi avanzati; d'altra parte, questa condizione può essere perseguita oggi a partire da situazioni molto diverse e per vie disparate. Vorremmo che lei ci illustrasse brevemente le diverse strade possibili della crescita economica e le loro intrinseche difficoltà.

Conviene partire dai Paesi che hanno raggiunto un notevole grado di sviluppo, e cercare di vedere in che modo lo hanno raggiunto. Questi Paesi sono soprattutto Paesi europei e alcune loro ex colonie come l'Australia, la Nuova Zelanda. Questi Paesi avevano avuto un lungo processo di sviluppo culturale, civile, ma un limitato processo di sviluppo economico; lo sviluppo economico vero e proprio comincia negli ultimi due secoli. Prima ci sono periodi in cui si hanno miglioramenti, soprattutto in agricoltura, ma anche periodi in cui, al contrario, si verificano peggioramenti: non c'è un processo sostenuto, sistematico e un fondo unidirezionale di sviluppo neppure nei Paesi europei.

Lo scenario è dominato da guerre sia nel bene che nel male, nel senso che le guerre portano con sé distruzioni e qualche volta anche epidemie, perché certi Paesi traggono vantaggio dalle guerre che riescono a vincere e ad avere così una crescita economica. Sembra certo che lo sviluppo economico come processo sistematico e sostenuto non sia esistito prima degli ultimi due secoli: è infatti verso la fine del '700 che si afferma la rivoluzione industriale. Questa segna l'inizio del processo sistematico dello sviluppo moderno, che viene favorito dall'industria. Paesi sviluppati e "Paesi industrializzati" sono sinonimi, pur osservandosi in essi un processo addirittura di "deindustrializzazione" per cui il settore terziario, il settore dei servizi, tende a svilupparsi più dell'industria e in certi casi questa addirittura, sia pure limitatamente, retrocede in termini, se non assoluti, almeno relativi.

Questi processi di deindustrializzazione sono stati interpretati talvolta in modo abbastanza superficiale, poiché la crescita dei servizi non è una crescita che si contrappone all’industria o è radicalmente distinta da essa. Al contrario una parte dei servizi infatti non sono altro che una specializzazione di attività che nel passato si svolgevano nell'ambito soprattutto delle grandi imprese industriali e che adesso invece si sviluppano in modo autonomo. Si assiste così ad un nuovo tipo di sviluppo di qualcosa di antico, così come è avvenuto con l'industria moderna che, prima di subire un processo di sviluppo autonomo è stata manifattura e prima ancora produzione non agricola nell'ambito di unità agricole in cui si producevano anche beni che poi sono stati definiti "industriali" come tessuti, mobili o altri prodotti, che quindi si sono separate dall'agricoltura e sono entrate nell'industria moderna. Il problema perciò è di capire perché in certi Paesi si è osservato un processo di sviluppo sostenuto, rapido, sistematico, che ha assunto connotati diversi dagli andamenti precedenti.

Si può parlare di periodi di relativa crescita come anche di periodi di gravi difficoltà, ma non si può parlare di processi di sviluppo vero e proprio; l'unico dubbio può esserci per il '700, o per la fine del '600, in cui si verifica uno sviluppo che, però, è essenzialmente commerciale e manifatturiero nel senso letterale del termine. Lo sviluppo moderno si ha con l'avvento delle macchine, di strumenti complessi mossi da forza non umana ma da forze diverse, da fonti di energia come il carbone, il petrolio, l'elettricità.

 

Quali sono, accanto alle nuove tecnologie, i fattori che hanno favorito lo sviluppo industriale?

Forse in via preliminare si può mettere in evidenza che al processo di sviluppo produttivo ha fatto riscontro un processo di sviluppo demografico: la crescita della popolazione. La popolazione per secoli è aumentata relativamente poco o non è cresciuta affatto anzi in certi periodi, di guerre, di pestilenze, è diminuita: la Guerra dei Trent'anni, ad esempio, ha causato una forte calo della popolazione. Nel complesso, anche in periodi in cui non c'erano guerre così catastrofiche come la Guerra dei Trent'anni, la popolazione era relativamente stazionaria: periodi di crescita demografica erano seguiti da periodi di diminuzione, ma in generale movimenti di crescita sostenuti non si verificavano.

Una crescita sostenuta è avvenuta invece quando ha cominciato a svilupparsi la produzione dei beni; in fondo, sotto certi aspetti, è più che evidente, addirittura lapalissiano, che se la popolazione è potuta crescere come è cresciuta, questo non poteva avvenire senza un contemporaneo aumento nella produzione dei beni poiché, altrimenti, le persone non potevano moltiplicarsi. Ciò è vero perfino adesso nei Paesi del Terzo mondo dove ci sono livelli di vita bassissimi; in questi Paesi la crescita della popolazione di regola si accompagna alla crescita della produzione. Molti economisti non si rendono conto che, siccome la crescita della produzione è poco superiore a quella della popolazione, i miglioramenti non sono visibili in tempi brevi, e la povertà continua a caratterizzare questi Paesi.

Gli economisti si sono accorti soltanto che certi Paesi, soprattutto in Asia, in passato molto arretrati, stanno crescendo a una velocità straordinaria: Sud Corea, Taiwan, ma anche Hong Kong, Singapore. Ecco allora lo scenario che abbiamo oggi nel mondo: sei miliardi e più di popolazione mondiale, di cui soltanto un 15 % è rappresentato dalla popolazione dei Paesi industrializzati, mentre gli altri sono i "Paesi del Terzo mondo" o che appartenevano al "socialismo reale".

 

Perché i Paesi europei e poi alcune delle ex colonie, come gli Stati Uniti, il Canada, l'Australia, la Nuova Zelanda, si sono sviluppati? Cosa c'è alla base del loro sviluppo?

Volendo riassumere la base che sta dietro lo sviluppo economico, produttivo, in questione, si deve parlare di una base culturale che ha distinto l'Europa, e poi le sue propaggini nei Paesi coloniali, dagli altri popoli. Perché in questi Paesi - si pensi al mondo greco prima e romano poi - si è avuto uno sviluppo culturale che invece non si è osservato in altri? Ecco a questa domanda io non so rispondere: credo che sia una domanda imbarazzante per tutti. Fa impressione, quando si va a visitare il Messico o il Guatemala, vedere i resti, le vestigia delle civiltà di quel continente, notare fino a che punto di sviluppo erano arrivati soprattutto nel campo dell'astronomia, dell'agricoltura; fa anche impressione scoprire che avevano inventato la ruota e che non si erano "accorti" di tale invenzione perché la ruota serviva a riprodurre il cielo e le costellazioni ma non a costruire mezzi di trasporto evoluti.

Purtroppo i colonizzatori hanno distrutto tantissimi prodotti di quelle civiltà, ma quando è stato fatto lo sforzo di ricostruire il passato, come è successo in Guatemala, non si nota però nessuna crescita culturale paragonabile a quella europea. C'è un altro caso sconcertante - anche se questi sono terreni in cui un economista come me può soltanto avere qualche impressione - ed è lo sviluppo sconcertante della civiltà araba che per un periodo ha avuto un ruolo rilevante soprattutto nella matematica. È stato un periodo limitato poi tutto è ritornato in condizioni di relativa stazionarietà, anche se in quel periodo i pensatori arabi hanno dato molte "spinte" positive e hanno anche avuto influenza sulla crescita culturale europea. Ma questa è stata più ampia e ha saputo recepire, elaborare e sviluppare quelle spinte: l'opposto non è invece accaduto, neanche, a quanto pare, nel periodo della notevole crescita dei Paesi arabi.

 

Quali sono gli altri fattori che hanno determinato lo sviluppo economico moderno?

 

In questa crescita culturale sono cominciati anche ad apparire prodotti dell'ingegno utilizzabili nella pratica per la produzione, e si sono inventati alcune macchine sia pure primitive. Qualche volta sono state inventate e sono rimaste inutilizzate. È impressionate osservare come queste invenzioni abbiano riguardato non meno e forse di più le armi, le attività militari piuttosto che le attività civili di produzioni. Ciò appare anche nelle straordinarie invenzioni di Leonardo; alcune di esse sono rimaste sulla carta oppure sono state sviluppate in seguito, dopo molto tempo, altre invece sono state applicate in tempi brevi ma in situazioni abbastanza discontinue, anormali. La normalità delle invenzioni da applicare all'attività produttiva è cominciata a comparire nel '600, e più ancora nel '700, con la rivoluzione industriale e con l'applicazione di invenzioni straordinarie soprattutto alla produzione industriale, a quella quella tessile, subito dopo quella meccanica.

La rivoluzione industriale inglese proviene pure dalla Marina militare inglese; l'Inghilterra è sempre stata una potenza di mare e la Marina è sempre stata un elemento importante. Quindi l'interesse che questa aveva per le apparecchiature da usare sulle navi, ma anche nella stessa costruzione delle navi, ha avuto un ruolo nella rivoluzione industriale, nonostante non sia così importante come quello avuto dall'industria tessile, in particolare da quella cotoniera. Allora, come è successo sempre, anche adesso con l'elettronica, invenzioni favorite e finanziate dai vari organismi di difesa, dai Ministeri della Difesa per ragioni militari, sono state poi applicate all'attività civile: questo è accaduto per certi settori della microelettronica, soprattutto in America, che erano stati sviluppati in primo luogo per la conquista dello spazio e sono stati poi trasferiti spesso gratuitamente alle imprese civili. Questo processo, che adesso è diventato sistematico e ampio, e che credo abbia avuto un ruolo importante nella crescita rapida dell'industria elettronica negli Stati Uniti, si nota sin dal principio dell'"industrianesimo", dell'industria moderna, cioè sin da quando è cominciato il delirium tremens dello sviluppo moderno nell'industria e particolarmente nell'industria inglese.

Si può allora dire in generale che se si vuole capire l'origine dello sviluppo moderno, bisogna considerare le radici culturali in senso lato, non solo le radici delle discipline sperimentali, fisiche e chimiche, ma anche a quelle del pensiero umanistico, filosofia, diritto. Di questi due rami uno ha le radici più antiche in Grecia mentre l'altro nell'area di Roma e poi nell'Impero Romano: è in questi due campi che si sviluppa il pensiero umano che crea le premesse per lo sviluppo anche economico. In principio le applicazioni pratiche sono modeste e riguardano soprattutto l'agricoltura, come al tempo di Roma. Anche le opere di poeti come Virgilio testimoniano questo sforzo, il quale ha successo, nonostante non metta in nessun modo in movimento un processo continuo e ininterrotto come quello che si ha nell'industria.

Nei tempi moderni è giusto parlare di Paesi industrializzati anche se l'industria non è più necessariamente maggioritaria né sul prodotto complessivo né sull'occupazione, perché l'industria è stata e, tutto sommato, continua ad essere, il settore più dinamico. Ci sono state invenzioni, applicazioni d'idee nuove all'attività produttiva, e innovazioni. Si sono avute invenzioni propriamente agrarie soprattutto nei sistemi di alternanza dei raccolti, invenzioni nel settore terziario, ossia in quello dei servizi, ma se si va a vedere dietro di tutto ciò quasi sempre ci sono invenzioni e innovazioni applicate in prima istanza dall'industria. Un esempio di questo è dato anche dall'industria elettronica, la quale ha conquistato tutte le attività economiche compresi i servizi e l'agricoltura, ma le apparecchiature hardware sono prodotte dall'industria, da tante imprese industriali di rilevanza internazionale. Quindi la base è culturale e continua ad essere l'alimentazione del processo continuo di sviluppo. "Culturale" non significa soltanto istruzione anche se la comprende: è l'istruzione a vari livelli; naturalmente il livello più importante è quello che si combina e si confonde con la ricerca pura e poi con la ricerca applicata. La ricerca pura viene svolta soprattutto nelle Università, quella applicata, invece, da organismi specializzati e da grandi imprese che hanno a questo scopo dei laboratori, particolarmente ampi negli Stati Uniti e in Giappone.

 

Continuando il suo discorso, potrebbe soffermarsi sulle riflessioni che si possono svolgere in rapporto al tema della crescita economica a proposito dei Paesi del Terzo Mondo?.

Ho messo in massimo rilievo la cultura, che è la condizione principale dello sviluppo, ma subito dopo, e insieme ad essa, come ulteriore elemento essenziale, vi sono le istituzioni, tra cui spicca il diritto: le istituzioni hanno grande importanza nello sviluppo economico, non meno della cultura. Alcune di esse possono favorire lo sviluppo mentre altre lo possono ostacolare. Quello che sto dicendo fa capo al fondatore della scienza economica moderna, Adam Smith, il quale individuava questa triade: cultura, istituzioni e risorse. Il termine "risorse" in senso lato comprende anche le condizioni geografiche, quelle che oggi vengono chiamate "geopolitiche", e cioè: posizione, accesso al mare, ai fiumi, che sono una condizione importante per traffici e per il commercio, e risorse in senso stretto, quelle agrarie, la disponibilità di terreni, di miniere, ecc..

Subito dopo la seconda guerra Mondiale vigeva una sorta di luogo comune secondo cui l'Italia era un Paese povero perché non aveva risorse: questo è un punto di vista superficiale e fondamentalmente sbagliato, perché, se fosse per le risorse, la Svizzera dovrebbe essere il Paese più arretrato d'Europa mentre, al contrario, è il Paese più ricco in termini di reddito individuale, più ricco anche degli Stati Uniti. Le risorse non hanno una preminenza, anche se non vanno trascurate. Se diciamo: cultura, istituzione e risorse, nominiamo i tre elementi fondamentali. In agricoltura la proprietà della terra è molto importante come condizione dello sviluppo agrario: è un sistema istituzionale, non un puro e semplice fatto. Ad esempio, quando la proprietà diventa eccessiva come nel caso dei latifondi, molto spesso genera conseguenze negative.

Allora il punto è questo: proprietà della terra con condizionamenti e vincoli giuridici che possono essere favorevoli allo sviluppo, oppure possono costituire un'ostacolo allo sviluppo. In epoca feudale c'erano forme ereditarie - il maggiorascato, la primogenitura ed altre - che riducevano la mobilità della terra: erano istituzioni che non favorivano lo sviluppo, come mette in evidenza Adam Smith. Queste istituzioni di origine feudale non furono trasferite negli Stati Uniti, in particolare nel New England, e questo è stato un fattore molto favorevole allo sviluppo: c'erano le terre libere, per cui coloro che lavoravano in un'azienda di tipo capitalistico potevano, se non venivano trattati bene, umanamente e economicamente, mettersi in proprio. Diversa è stata l'evoluzione del Sud degli Stati Uniti, dove invece si sono formate piantagioni nelle quali lavoravano gli schiavi; di conseguenza quest'area è rimasta per tanto tempo molto arretrata rispetto al Nord.

Il regime della proprietà è un regime complesso, e non può essere visto in termini schematici. Smith mette in evidenza che nel regime contrattuale, dove i contratti che possono essere cancellati, non favorisce lo sviluppo perché chi coltiva le terre prese in fitto sapendo di poter essere buttato fuori da un momento all'altro non fa miglioramenti; diverso è con i contratti lunghi, soprattutto se questi contratti prevedono che chi ha introdotto i miglioramenti possa goderne buona parte dei frutti. Sono soltanto esempi che riguardano la terra per mostrare come sia importante il sistema giuridico o il sistema istituzionale per lo sviluppo economico, ma sono esempi da tener presente sia nei Paesi del Terzo Mondo sia nei Paesi che hanno adottato il socialismo reale, dove la carenza principale non sta nella cultura, ma nel sistema istituzionale e nelle trasformazioni che questo ha subito.

Adesso economisti terribilmente superficiali vogliono ricostituire il mercato pensando che sia una scatola vuota, semplicemente un laissez faire, mentre invece il mercato è un complesso sistema istituzionale e contrattuale. Il guaio è che c'è effettivamente un vuoto in Russia e negli altri Paesi, e che molti economisti, soprattutto americani, sono andati a predicare una libertà incondizionata senza preoccuparsi della struttura istituzionale che deve favorire i processi di sviluppo e soprattutto i processi socialmente rilevanti e socialmente positivi: dando mano libera completa al mercato si può scoprire che vengono favorite, stimolate attività puramente speculative o illecite, e che provocano problemi enormi. Questo è ciò che sta accadendo in Russia dove le attività speculative e illecite si sviluppano maggiormente tanto maggiore è il vuoto che si è creato.

Allora: cultura, istituzioni e risorse stanno dietro la crescita dei Paesi sviluppati, e là dove tutti e tre questi fattori hanno assunto certe configurazioni, come negli Stati Uniti più che in Europa, lo sviluppo economico è stato più robusto. La matrice culturale è fondamentale anche per gli Stati Uniti perché i colonizzatori del New England erano i padri pellegrini mossi dal desiderio di libertà religiosa e poi di libertà senza aggettivi, e avevano già un bagaglio culturale non proprio trascurabile. In altre situazioni i colonizzatori sono stati addirittura ergastolani, come nel caso dell'Australia che pure poi si è sviluppata in misura notevole, oppure avventurieri mossi quasi esclusivamente dal desiderio di arricchimento con bassissima, scarsissima cultura.

 

Qual è la causa del sottosviluppo nell'America latina e nell'Africa?

Ci sono Paesi in cui le risorse c'erano, ma non hanno favorito uno sviluppo economico vero e proprio: l'America Latina ad esempio ha risorse non meno grandi del Nord-America eppure come tutti sanno fa parte del Terzo Mondo, sia pure nella fascia elevata. Ecco, allora quando si parla di Terzo Mondo bisogna differenziare fortemente i diversi Paesi. Prendiamone il tipo latino-americano e il tipo africano, soprattutto del cuore dell'Africa. Nei Paesi latino-americani l'elemento avverso è stato rappresentato dalle istituzioni. Dove c'è stata una colonizzazione spagnola, ma anche portoghese, sono stati trapiantati, sia pure con modificazioni profonde, istituti di tipo feudale, con la conseguente costituzione di latifondi creati artificialmente dai conquistadores: vigeva l'idea che la terra libera non potesse esserci e che tutta la terra dovesse essere occupata, un'idea di tipo feudale aggravata dal tentativo dei colonizzatori di riprodurre le condizioni che esistevano in Europa, di reperire servi della gleba, per cui gli indios diventarono più o meno schiavi.

Tutto questo favoriva l'arricchimento dei conquistadores e di quelli che in qualche modo, come lavoratori relativamente liberi, facevano parte del gruppo dei colonizzatori, ma non favoriva lo sviluppo economico, erano costituiva un impedimento che frenava lo sviluppo. La cultura non faceva difetto ai colonizzatori perché venivano da Paesi europei con una notevole tradizione, ma le istituzioni che hanno trapiantato erano avverse allo sviluppo, e anche in Europa si sarebbero rivelate tali, anche se la loro crisi e la loro trasformazione hanno poi reso possibile lo sviluppo economico vero e proprio.

La situazione è completamente diversa in Africa dove troviamo in alcuni casi i Paesi della fame, i Paesi della vita media breve - quarant'anni o poco più, quando nei Paesi industrializzati la vita media supera nettamente i settant'anni: in Italia siamo a settantotto-settantanove per le donne, settantuno settanta due per gli uomini. In alcuni paesi africani la mortalità infantile è superiore al duecento per mille, cifra altissima che però si ritrovava anche nei Paesi europei come Francia e Inghilterra nella prima metà dell'Ottocento.

In Africa le condizioni sono di una arretratezza particolarmente grave, le forme di cultura sono note, interessantissime, degne di studio e di riflessione, ma da quello che si sa molto frammentarie: non c'è stato uno sviluppo culturale robusto e sistematico, ci sono state forme molto scarse di cultura scritta, che invece ha un ruolo fondamentale nella trasmissione, nella diffusione del sapere. Ha contato anche una scarsa memoria dell'evoluzione precedente proprio perché era in gran parte memoria orale, e questo sta alla base poi dello scarsissimo sviluppo economico. In Africa, salvo il caso molto particolare del Sud-Africa dove bisogna pensare non a una, ma a due società - quella di colore e quella dei bianchi - e del Nord-Africa che ha avuto un fortissimo influsso europeo, il resto del continente, soprattutto l'Africa sub-shariana, è in condizioni di grave crisi e arretratezza.

Sono questi i Paesi della fame dove un gran numero di persone muoiono di stenti, dove l'analfabetismo è estremamente diffuso, e dove non si può dire che ci sia capitalismo. Se le parole hanno un senso, si ha capitalismo laddove la situazione economica è caratterizzata da imprese con dipendenti. In Etiopia, che pure è un Paese molto importante, i dipendenti rappresentano il 10% della popolazione attiva, soprattutto ad Addis Abeba e nella città. L'altro 90% da chi è composto? Da lavoratori indipendenti non paragonabili a quelli che si possono trovare in Italia, in gran parte membri di tribù o comunque di comunità primitive, dove non esiste il mercato e neanche il mercato del lavoro. Chiamare capitalistica una simile società è un non senso, né tantomeno può essere chiamata socialistica, anche se Etiopia, Somalia, Mozambico e Angola, in tempi diversi, si sono trovati sotto il controllo dei Paesi del socialismo reale, in particolare della Russia.

 

Qual è il quadro del socialismo reale?

È un quadro di macerie. Anche qui come nell'America latina, ma per ragioni molto diverse, la carenza più grave non sta nella cultura, ma nelle istituzioni. A un certo momento della storia, soprattutto della storia russa che poi ha avviato l'esperimento grandioso e drammatico del socialismo reale, si sono volute cambiare in modo rivoluzionario e violento le istituzioni che si vedevano carenti e difettose Erano certamente così, ma forse il cambiamento è stato in peggio: carenti e difettose le istituzioni fino alla prima Guerra Mondiale, terribilmente carenti e deficienti le nuove. Con queste avvertenze: in una prima fase l'organizzazione centralizzata, pianificata dal centro ha avuto dei vantaggi che hanno indotto in errore non pochi osservatori, non solo quelli ben disposti o addirittura decisi a sostenere o a ripetere l'esperienza sovietica in altri Paesi, cioè i comunisti, ma anche quegli osservatori che comunisti non erano.

In questa prima fase, che grosso modo occupa una decina d'anni, dal 1929 al '39, e poi nel primo dopoguerra, lo sviluppo produttivo in Russia appare rapido e perfino vigoroso. Le ragioni di questo sviluppo dipendevano soprattutto dall'assenza di grandi opere pubbliche nelle Russie che precedono la tragica Rivoluzione di ottobre, e poi dall'avvio nella nuova Unione Sovietica di alcune grandi attività industriali: elettricità, acciaio e poi cemento e chimica di base. Venivano impiantate delle grandi fabbriche di solito ordinate in Europa. Anche l'Italia fascista, nonostante la contrapposizione frontale rispetto al comunismo russo, ha fornito centrali elettriche e altre grandi fabbriche, ancora di più la Germania e gli altri Paesi europei.

Un Paese centralizzato può avere molti vantaggi se ha da offrire materie prime in cambio e la Russia ne aveva molte, come ne ha tuttora. E'stato possibile in tempi brevi mettere su un'industria pesante a condizione di sacrifici durissimi che la dittatura di Stalin poteva imporre alla popolazione. In quel periodo si crea la base per la grande priorità accordata all'industria pesante. La motivazione ufficiale era soprattutto che quella era la base produttiva, ma in realtà la ragione principale era militare: l'industria pesante serve a fare armi, anche più che macchine.

Quand'è che questo processo di sviluppo è entrato in crisi? Dopo la creazione della cosiddetta base produttiva si doveva passare al medio o al piccolo, più difficili, o addirittura impossibili da programmare dal centro. La carenza stava soprattutto in questo: mentre le grandi fabbriche potevano essere importate belle e fatte dall'estero e potevano essere man mano rinnovate e modernizzate perché erano ben individuate e ben visibili, nel caso delle piccole e medie attività produttive il pianificatore non poteva seguirle individualmente e non avrebbe potuto occuparsene nemmeno se fosse stato un genio. Questa impossibilità di favorire, di stimolare tutte le innovazioni, anche quelle piccole o anonime o scientificamente irrilevanti, derivava dalla mancanza di interesse privato, non esistendo la proprietà privata dei mezzi di produzione, mancando la figura dell'imprenditore capitalistico. La grande carenza dell'economia pianificata è stata la scarsissima capacità di innovare.

 

Qual è la situazione complessiva attuale?

Credo che il quadro che emerge non sia idilliaco, ma nemmeno di cupa disperazione. E' un quadro in un certo senso tragico perché tutta la storia dell'umanità fondamentalmente tragica, ma non in modo uniforme, né nel tempo e nemmeno lo spazio, perché ci sono periodi più drammatici e altri meno. Ci sono aree geografiche in condizioni critiche, lo vediamo con i nostri vicini di casa della ex-Yugoslavia, ci sono problemi di natura diversa che ben conosciamo soprattutto in Italia e che speriamo che restino di natura diversa. Mi riferisco al problema meridionale, per dare un tema di riflessione conclusivo che riguarda il nostro paese e di cui mi sono occupato essendo io stesso un uomo del Sud. Per molto tempo il problema meridionale è stato visto soprattutto come problema economico, mentre invece chiaramente non lo è, o lo è soltanto subordinatamente. In realtà è un problema di sviluppo civile.

Io non mi considero crociano, e credo che la storia del Regno di Napoli di Croce debba essere letta e meditata da tutti: spiega che quello meridionale è un problema di mancato sviluppo civile che ancora stenta ad affermarsi, e la diffusione terribile e capillare della corruzione e delle organizzazioni criminali ne è il corollario. Dal punto di vista economico il mezzogiorno non sta bene, ma non ci sono nemmeno problemi di miseria nera. Quando ero giovanissimo visitai i piccoli centri del Mezzogiorno, perché le grandi città ingannano, e lì vidi quella che si poteva chiamare miseria; quando mi è capitato di ritornare a Palma di Monte Chiaro o a Crotone o anche in quei piccoli centri della Basilicata dove ha vissuto Carlo Levi, ho constatato che c'è povertà, ma non miseria. C'è il nuovo problema della disoccupazione giovanile che però non si accompagna a miseria nera, si accompagna a difficoltà. La conclusione è questa: come meridionale dico che l'Italia può diventare un Paese civile; ancora non lo è - ci sono delle chiazze - ma può diventarlo.

L'ostacolo principale è dato dallo scetticismo, cioè dall'idea che non puoi cambiare quello che c'è. Invece il cambiamento è possibile. Quando in piccolo ci ho provato, ho visto che si poteva andare avanti. Il guaio è che pochissimi ci provano perché sono scettici. Certe volte lo scetticismo è un modo comodo di non impegnarsi e di dire "tanto non c'è niente da fare", e invece io penso che ci sia moltissimo da fare.


 

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