Cosa è realmente successo in Spagna dal 1939 al 1975, ovvero in quel lungo periodo in
cui il generalismo Franco ha "governato" il paese con pugno di ferro? Qual è
stata la natura del regime e la sua evoluzione durante quei lunghissimi 36 anni? Come ha
vissuto il popolo spagnolo la dittatura e quali forze hanno tentato di opporsi al regime?
A queste e altre domande risponde un libro di grande interesse uscito recentemente in
Spagna - La memoria insumisa, Espasa editore.
Gli autori - Nicolas Sartorius ( fondatore nonchè dirigente di primo piano delle
Commissioni Operaie negli anni Sessanta e Settanta ) e Javier Alfaya (giornalista, poeta e
scrittore), entrambi militanti antifranchisti (Sartorius è anche stato anche diversi anni
in carcere ) non hanno inteso scrivere un freddo libro di storia ma soprattutto
"ricordare" (come afferma il titolo: La memoria non sottomessa), alla luce della
propria esperienza ma anche di materiali di archivio inediti, cosa è successo in Spagna
durante la lunga notte del franchismo. E lo hanno fatto con un obiettivo rivendicato con
forza: abbattere quel muro di silenzio, quella rimozione collettiva, quella sorta di
amnesia generale che tuttora circonda la dittatura franchista dopo circa 25 anni dalla
morte di Franco...

Una fase storica, affermano gli autori nella prefazione, della quale si parla poco e si
scrive ancor meno "perchè in fondo si ha paura di farlo". Mentre invece è
necessario raccontare questa esperienza anche perché "né la transizione, né la
realtà attuale della Spagna sono comprensibili se non si analizza ciò che fu la
Dittatura". La democrazia spagnola, è la tesi di fondo, rischia di restare fragile e
incompiuta se non si fanno i conti con un periodo storico che ha profondamente segnato la
mentalità collettiva degli spagnoli. Come non pensare, a questo proposito, a quanto sta
avvenendo in Austria in questi giorni, ovvero in un altro paese dove gli orrori di un
regime totalitario, quello nazista, sono stati sostanzialmente rimossi?
Dicono Sartorius e Alfaya: non si può confondere l'amnistia (che ha permesso la
transizione pacifica e concordata dal franchismo alla democrazia) , con l'amnesia. Il
libro, dopo aver ricordato la feroce repressione dei primi anni quaranta (decine di
migliaia di esecuzioni) e la nascita (nel 1956) di una nuova opposizione analizza in modo
puntuale quel periodo che inizia a fine anni Cinquanta, con l'apertura economica (dopo un
lungo periodo di rigida autarchia) al capitalismo internazionale e che vede il franchismo
avviare faticosamente un'operazione mimetica della sua natura autoritaria, nel tentativo
di attenuare le critiche della comunità internazionale.
La repressione.
Non venne mai meno. La creazione nel 1963 del famigerato TOP (Tribunale di Ordine
Pubblico) spostò la gestione giuridica della repressione dalle mani dei militari a quelli
della giustizia civile. Ma i "delitti politici", in particolare quello di
sciopero, rimasero fino alla fine "delitti di sedizione".In venti anni, dal '56
al '76, vennero decretati ben otto Stati di eccezione. Il numero dei processi e quello
delle condanne non solo non si attenuò ma al contrario aumentò quasi esponenzialmente (i
dati di fonte ufficiale vengono riportati con estrema precisione in uno dei capitoli del
libro).
Certo, le fucilazioni di massa dei primi anni Quaranta erano cessati da tempo anche se
il regime continuò ad uccidere (il libro ricorda la fucilazione, nel 1963, del dirigente
comunista Grimao) fino alla fine (le cinque condanne a morte di Burgos, poche settimane
prima della morte di Franco). Ma il TOP lavorò incessantemente fino alla morte del
dittatore. La dinamica repressiva è legata alla rinascita delle lotte operaie dirette
dalle Commissioni delle quali il libro spiega molto bene la nascita e il progressivo
consolidamento. Sartorius e Alfaya spiegano, dati alla mano, come, negli anni Sessanta e
Settanta, la repressione abbia colpito le uniche forze che in questo periodo (morto il
movimento anarchico e quasi scomparsi i socialisti) giocarono un ruolo attivo nella lotta
contro il regime: i dirigenti delle CCOO (Commissioni operaie), i quadri clandestini del
Partito comunista (l'unica forza che in verità non cessò mai di lottare contro Franco),
e i militanti dell'Eta (la costola di estrema sinistra del nazionalismo basco nata nel
1968 )

L'opposizione.
Dopo la guerriglia (condotta da comunisti e anarchici) degli anni Quaranta - alimentata
dalla speranza (che fu comune a tutta l'opposizione e perfino al re in esilio, Juan di
Borbone) che la fine del fascismo e del nazismo comportasse anche la fine del franchismo
(ma, come si sa, Franco si salvò grazie alla Guerra Fredda) - tutto tacque fino al su
ricordato 1956, quando per la prima volta una nuova generazione di studenti protestò
apertamente contro la dittatura. Con i grandi scioperi dei minatori delle Asturie (1962)
si apre una fase nuova della lotta al regime. La storia di questo ventennio dimostra il
ruolo protagonista della classe operaia che, guidata in modo accorto dalle Commissioni
operaie, sfrutta abilmente tutte le possibilità offerte dalla nuova legislazione
sindacale (in particolare la contrattazione a livello di fabbrica ) per rivendicare,
grazie all'occupazione delle strutture legali (in particolare a livello di fabbrica) del
Sindacato verticale (altro residuo della fase fascista del regime) migliori condizioni di
vita e lavoro ma anche, in modo crescente, le libertà politiche. Un fattore che secondo
gli autori, si rivelerà decisivo per spingere tutta la situazione politica, in
particolare dopo la morte di Franco, verso la transizione democratica (i dati sugli
scioperi e le manifestazioni nei mesi che seguono la morte del dittatore sono davvero
impressionanti).
L'analisi di Sartorius e Alfaya si sofferma, in particolare (con riflessioni che ci
paiono particolarmente interessanti) su un dato paradossale della recente storia spagnola:
il fatto che il partito che più si impegnò nella lotta democratica, il Pce (partito
comunista di Spagna) divenne poi, nel nuovo scenario democratico, una forza marginale
(diversamente dalle CCOO, che invece si trasformarono nel principale sindacato della
Spagna democratica) che non superò mai il 10% dei voti.
La natura del regime.
Gli autori del volume parlano volutamente di una dittatura, ovvero di un regime
autoritario che non ha mai voluto modificare le sue strutture portanti. Naturalmente c'è
stata una evoluzione del regime, soprattutto dalla fine degli anni Cinquanta in avanti.
Fino alla fine della seconda guerra mondiale, e ancora più in là, il franchismo è
stato, pur con proprie caratteristiche di partenza (Franco, a differenza di Mussolini e
Hitler, conquista il potere con le armi) un regime di estrema destra, assai simile ai
regimi fascista e nazista (il libro, tra l'altro, smonta la tesi, assai diffusa ancora
oggi - si leggano le pagine dedicate al tema da Sergio Romano in Italia- , che attribuisce
a Franco la decisione di non entrare in guerra a fianco delle potenze dell'Asse ).
Poi inizia il lento adattamento alle mutate condizioni internazionali, facilitato dalla
Guerra Fredda che fa si che non si verifichi il sogno delle forze democratiche, ovvero la
caduta del franchismo, come conseguenza delle pressioni occidentali. Eppure, sostengono
Sartorius e Alfaya, il franchismo è stato, al di là dei cambiamenti di facciata, un
"regime totalitario" che non si limitò alla eliminazione delle libertà
democratiche ma tentò, fino alla fine, di imporre una propria concezione
"assoluta" dello Stato. In questo, spiegano bene gli autori, il franchismo venne
aiutato da diversi fattori, in particolare dalla identificazione della Chiesa con lo Stato
autoritario fino al Concilio (il franchismo fu anche l'ultima espressione della
"Spagna del nazionalcattolicesimo") e dall'impetuoso sviluppo economico degli
anni Sessanta e Settanta, certamente distorto e traumatico, ma che permise in ogni caso un
aumento del benessere sociale e soprattutto permise la formazione di vasti ceti medi
urbani che fino alla fine rappresentarono un sostegno, passivo ma comunque decisivo, per
il regime. Gli stessi ceti medi che, morto Franco, aderirono convinti alla transizione
democratica e permisero che il suo consolidamento avvenisse in modo esemplare. Una
"doppiezza", quella dei ceti medi, che aiuta anche a capire quella "amnesia
collettiva" che resta, secondo gli autori, il tallone d'Achille della giovane
democrazia spagnola.