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La velocità assoluta


Paul Virilio con Renato Parascandolo

 

Questa intervista è tratta dall’Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche, un’opera realizzata da Rai-educational in collaborazione con l’Istituto italiano per gli studi filosofici e con il patrocinio dell’Unesco, del Presidente della Repubblica Italiana, del Segretario Generale del Consiglio d’Europa.

L'obbiettivo è quello di diffondere nel mondo, tramite le nuove forme d’espressione e comunicazione sociale consentite oggi dalla tecnica, la conoscenza della filosofia nel suo svolgimento storico e nei termini vivi della cultura contemporanea.

Per ulteriori informazioni potete visitare il sito Internet: www.emsf.rai.it

Chi è Paul Virilio

Paul Virilio nasce a Parigi nel 1932. Dopo aver intrapreso studi di architettura a Parigi, nel 1963 diventa presidente-fondatore del gruppo "Architecture Principe", e direttore della rivista del gruppo. Dal 1968 è professore di Architettura presso l'Ecole Spéciale d'Architecture a Parigi, della quale diventa Directeur d'Etudes nel 1973, poi Direttore generale nel 1975, Amministratore nel 1983 ed infine presidente del Consiglio d'amministrazione nel 1989.

Nel 1973 è nominato direttore della collana "L'Espace Critique", edizioni Galilée, Parigi. Nel 1975 coordina la mostra Bunker Archéologie al Musée des Arts Décoratifs di Parigi. Nel 1987 vince il Grand Prix Nazionale della Critica Architettonica. Nel 1989 è nominato direttore di un programma d'insegnamento al Collège International de Philosophie a Parigi, sotto la presidenza di Jacques Derrida.

Nel 1992 diventa membro dell'Alto Comitato per Alloggiare le Persone Sfavorite. Urbanista e saggista, Paul Virilio è noto come teorico della velocità e come specialista delle nuove tecnologie. Attualmente lavora sulle tecniche metropolitane di organizzazione del tempo. Virilio è autore anche del primo progetto del Museo dell'Incidente, che verrà aperto in Giappone nel 2000.

Tra le sue pubblicazioni in italiano si segnalano:

*Velocità e politica: saggio di dromologia, Milthipla, Milano, 1981

*Estetica della sparizione, Liguori, 1992

*La deriva di un continente: conflitti e territorio nella modernità, Mimesis, Milano, 1994.

 

 

Lei ha parlato, a proposito delle nuove tecnologie della comunicazione, di trauma della nascita.

Sì, perché le comunicazioni hanno cominciato a usare la velocità limite. Tutte le società antiche avevano sviluppato delle velocità relative. Anche la rivoluzione dei trasporti nel XIX secolo è evidentemente legata alla velocità relativa del treno, dell'aereo, e, in seguito, dei mezzi di trasporto supersonici. La rivoluzione delle trasmissioni, delle telecomunicazioni, usa, generalmente parlando, la velocità assoluta, cioè la velocità delle onde elettromagnetiche. Era già avvenuto con la radio e con il telefono, ma ormai avviene anche con la tele-audizione, con la televisione e con la tele-azione o interattività. Ora l'interattività è, in un certo senso, la nascita di un mondo unificato, di un mondo unico. Unito da che cosa? Dal tempo reale, dall'immediatezza, dall'ubiquità, dall'istantaneità.

Viviamo dunque un tempo ineguagliabile, un tempo mondiale, che non trova equivalenti nel passato, se non nel tempo astronomico. Tutta la storia delle società si fa nei tempi locali, di un paese, di una regione. La storia di domani, la storia che oggi comincia, si fa in un tempo unico, il tempo mondiale, il tempo dell'immediatezza, quello che si chiama "live", "tempo reale". Questo comporta un trauma, a mio avviso. Il tempo reale, il tempo mondiale ha il sopravvento sullo spazio reale, sullo spazio tempo locale, sullo spazio-tempo della storia.

 

 

Fino ad oggi gli uomini hanno creato strumenti come protesi degli organi umani. Oggi stiamo creando strumenti che sono protesi del cervello: i calcolatori, le reti telematiche. Che cosa significa?

Significa che si prepara la terza rivoluzione. Le tre grandi rivoluzioni tecnologiche sono: la rivoluzione dei trasporti con la rivoluzione industriale che l'ha determinata; poi la rivoluzione delle trasmissioni, di cui ho già detto, cioè la rivoluzione della comunicazione immediata, delle tele-tecnologie, eccetera; si prepara adesso, con le nuove tecnologie, la rivoluzione dei trapianti, cioè la possibilità per le micro-tecnologie di investire il corpo dell'uomo e non più soltanto, come al tempo della locomotiva, di sistemare il territorio con ferrovie, autostrade, aeroporti, canali, acquedotti. Allora la tecnica si era impiantata sul corpo della terra, aveva trasformato la città.

Adesso con la miniaturizzazione delle tecnologie, con quelle che si chiamano micro-macchine o micro-tecnologie, l'innesto di stimolatori della vita, della memoria, della percezione è ormai possibile. Si assiste a un processo di fagocitazione della tecnica. La tecnica si introduce nel vivente: è in un certo modo realizzato il sogno futurista di Marinetti: l'uomo si alimenta di tecnica, non soltanto di chimica, come chimica degli alimenti, ma di tecnica delle micro-macchine. Marvin Minsky propone degli stimolatori della memoria, una memoria supplementare, che si potrebbe innestare sul corpo e che ha, come modello, un oggetto già esistente, che è lo stimolatore cardiaco.

Recentemente due gemelle hanno subito, all'età di due mesi, l'innesto di uno stimolatore cardiaco. In altri termini, a partire dal secondo mese, queste due bambine vivono a un ritmo tecnico, con un ritmo cardiaco tecnicamente predeterminato. Vediamo qui l'immagine dell'uomo di domani: la fusione-confusione del meccanico e del vivente. L'uomo macchina è effettivamente possibile.

 

Ma quali sono le conseguenze della separazione, della frattura nella percezione, nel contatto, nello sguardo tra gli uomini e il contatto virtuale nelle reti telematiche?

E' l'apparizione di una nuova ottica e di una nuova prospettiva. Ricordo che ci sono due prospettive e due ottiche all'opera nella storia: la prima ottica è quella dell'occhiale di Galileo, è l'ottica geometrica, l'ottica dei raggi del sole, e questa ottica ha dato luogo a una prospettiva dello spazio reale, attraverso gli studi di prospettiva del Quattrocento. Ma quella di cui ci serviamo oggi è un'ottica ondulatoria, non più l'ottica della materia, delle lenti, l'ottica dello spazio reale, del vetro, legata alla trasparenza dell'aria, dell'acqua, ma l'ottica del tempo reale, cioè l'ottica delle onde. In un certo senso la televisione appartiene a un'ottica ondulatoria. Ciò vuol dire che la tele-sorveglianza può sostituire l'apertura di una finestra. Invece di vedere attraverso il vetro di una finestra, in questo caso vedo attraverso uno schermo l'immagine restituita dalla telecamera.

E' noto che l'invenzione della prospettiva è l'invenzione di una città nuova, della città europea. L'apparizione di un'ottica ondulatoria, la prospettiva del tempo reale, la trasmissione di un segnale che non è più del raggio solare, ma della radiazione elettromagnetica, è l'apparizione di una prospettiva del tempo reale e quindi di un diverso rapporto con il mondo e di un diverso rapporto con la città. E' a mio avviso un evento notevole. Ci sono ormai due luci: la luce diretta del sole e dell'elettricità, con cui si illumina, e la luce indiretta della emissione-recezione istantanea di un segnale di tele-sorveglianza. E', a mio avviso, un evento importante. Due luci, due trasparenze: la trasparenza diretta di un materiale, dei miei occhiali, per esempio, la trasparenza dell'aria, e la trasparenza indiretta della tele-sorveglianza, del video, e quindi un evidente raddoppiamento della realtà: una realtà immediata e una realtà mediatica. Questo è un evento veramente importante.

 

E' un po' come la storia del mercato: in origine il mercato era un luogo dove le persone si guardavano in faccia. Nel mercato capitalista non esiste più denaro reale....

Si assiste a un smaterializzazione del denaro, che fa parte di ciò che ho chiamato "estetica della sparizione". Se si prende il referente monetario, all'origine sicuramente è il sale, sono le perle, per restare nel mondo primitivo. Subito dopo vengono la moneta d'oro, la moneta d'argento. Il sale, le perle, la moneta d'oro, il luigi d'oro, eccetera, sono qualcosa di assai materiale. Poi vengono la cambiale, l'assegno, e oggi c'è la carta di credito, che funziona in base a un impulso elettro-magnetico. Questo è il processo di smaterializzazione della moneta. La moneta è passata dalla ricchezza di un materiale raro - l'oro, i diamanti - a un impulso elettro-magnetico, a una informazione. Ormai il denaro non è che informazione.

 

La conoscenza, il sapere non sono soltanto informazione, ma valore, buon gusto, educazione, quello che i Greci chiamavano "paideia " e i tedeschi "Bildung ". Ma nei calcolatori, nelle banche-dati troviamo soltanto informazione. Che cosa vuol dire? E' la fine dell'idea di educazione?

Si può dire, per dare un'immagine della cosa, che il computer è un sintetizzatore di informazione, come certi pianoforti sono sintetizzatori di musica. Quando si ascolta un violoncello, suonato da un vero violoncellista, per esempio, è straordinario. Quando si ascolta un sintetizzatore di violoncello è molto diverso. In un certo senso il computer è un sintetizzatore di informazione, non è informazione nel senso dell'evento, ma la sua riduzione a un segnale, a un "bit " di informazione come si dice. Quindi, in un certo senso, l'informazione è stata aritmetizzata, digitalizzata, e ha perduto il suo spessore. Ma credo che si possa andare ancora più in là. E' curioso vedere che la materia nel passato era percepita sotto due aspetti. In primo luogo sotto l'aspetto della massa - massa, inerzia, pesantezza: l'architetto sa bene che cos'è -, poi, nell'età moderna, sotto l'aspetto dell'energia. Ma ormai ha una terza dimensione: l'informazione. Cioè oggi la materia è sempre massa, è sempre energia, ma oltre a ciò è informazione. Questo vuol dire che la materia ha ormai tre dimensioni e che la terza dimensione oggi pone dei problemi. Bisogna considerare la materia come informazione? Evidentemente sì: la pietra è informazione. Ma questo approccio alla materia ci fa perdere, forse, il contatto fisico. Tuttavia è un fatto che la materia ha tre dimensioni e che la terza dimensione è l'informazione.

 

Lei non crede che la pletora di informazioni delle banche-dati possa far diminuire la capacità di giudizio delle persone?

Va da sè che la memoria morta del calcolatore rischia di provocare una perdita della memoria viva dell'uomo. L'accumulazione dell'informazione nelle banche-dati è una forma di capitalizzazione dell'informazione, che può portare - credo che questo processo sia già cominciato - a una specie di atrofizzazione della memoria viva dell'uomo e all'oblio della tradizione. Ricordo che la memoria orale è già scomparsa a profitto della memoria libresca. La perdita della memoria orale è assai grave. Le società antiche e ancora la mia famiglia, i contadini della Bretagna, hanno una memoria orale che risale a parecchi secoli. Questa memoria è stata praticamente abolita, non ne resta più nulla.

Allora si può dire che la memoria orale è scomparsa a profitto della memoria libresca. Ce ne sono prove da per tutto. Ora il passaggio dalla lettura dell'uomo alla lettura mediante la macchina di un software, di una banca-dati, rischia a sua volta di far perdere la memoria libresca, come si è perduta la memoria orale. Dunque c'è un rischio di oblio e la possibilità di una industrializzazione dell'oblio, come ho detto....

 

Bisognerebbe parlare allora, invece che di interattività, di passività?

La passività, l'inerzia, è già un grosso problema. Il fatto di aver messo in opera, per la prima volta nella storia, su scala mondiale, la velocità assoluta, la velocità delle onde elettro-magnetiche, comporta infatti una inerzia. Farò un esempio: l'uomo andava incontro all'evento o all'informazione spostandosi nel mondo, verso l'evento... Ma, poiché ormai l'evento viene a lui, non ha più bisogno di spostarsi. L'arrivo dell'evento ha soppiantato la partenza e il viaggio. E' un fenomeno di inerzia. E, a mio avviso, questa inerzia del corpo del telespettatore o del teleattore, dell'uomo interattivo, rischia di fargli perdere la memoria del viaggio. Privato del viaggio, rischia di perdere la memoria delle acquisizioni che il viaggio rendeva possibili. Farò un esempio chiarissimo. In Francia si dice: "I viaggi formano la gioventù". E' il mito di Ulisse. Ma quando non ci sono più viaggi, non c'è più memoria, ci sono solo calcolatori. Dunque è possibile una passività davanti a questa immediatezza dell'informazione, della memoria morta del calcolatore, che minaccia di colpire in profondità la coscienza dell'uomo.

 

A partire dal XVIII secolo si apre lo spazio pubblico delle grandi città dell'Occidente. Adesso le automobili, i mezzi di comunicazione trasformano gli spazi pubblici in spazi di comunicazione tra un luogo privato e un altro luogo privato. Siamo arrivati alla eliminazione dello spazio pubblico materiale e alla sua sostituzione con spazi privati telematici o telefonici. Quali sono le conseguenze di questo fatto?

Innanzi tutto una mutazione dell'urbanismo. L'urbanismo era effettivamente una messa in opera della localizzazione delle popolazioni nelle grandi città e nei luoghi di produzione. Questo movimento si risolveva in una urbanizzazione dello spazio reale della geografia. E' un elemento fondamentale nella formazione dell'Europa. Ciò che avviene adesso, con le telecomunicazioni, è l'urbanizzazione del tempo reale, cioè la costituzione di una città virtuale, di una specie di iper-centro, che non sarebbe più una cosmopoli come Roma o Londra, dove c'era la capitale di uno stato, quindi di uno spazio reale, come l'Impero romano e l'Impero britannico, ma l'iper-centro del mondo. In un certo senso non si deve più parlare di "cosmopolis", ma di "omnipolis ", la "città delle città". Le telecomunicazioni favoriscono una prossimità temporale, che forma - lo si voglia o no - il centro assoluto del mondo. Quindi questa specie di città virtuale delle telecomunicazioni è il vero centro. Ma non è più un centro geometrico e tutte le città reali non sono che la periferia di questo iper-centro delle telecomunicazioni. Una specie di città delle città che non è situata in nessun luogo, ma che sta da per tutto ed è il luogo del potere.

 

Non c'è un paradosso nel fatto che il capitalismo, che segna il trionfo del materialismo, stia diventando, di giorno in giorno, nell'economia, ma anche nella vita quotidiana, sempre più immateriale?

E' il grande problema della terza dimensione della materia: la massa non conta più, l'energia conta ancora, ma ciò che più conta è l'informazione. Quello che abbiamo detto poco fa della demonetizzazione, della digitalizzazione delle borse, può essere trasposto anche nella vita e in tutte le forme dell'economia. Quindi è stato toccato un limite del marxismo, si è reso manifesto il limite di legittimità del pensiero marxista non soltanto col fallimento dell'Unione Sovietica, ma con l'avvento della società mondiale. Lenin diceva che il comunismo era il comunismo più l'elettricità. Io vorrei aggiungere: meno l'elettronica. L'elettronica non ha funzionato.

 

Lei è considerato un pessimista di fronte a questi problemi. Quali sono realmente i prezzi che bisogna pagare per questi progressi?

Innanzi tutto non mi considero affatto un pessimista. Sono uno che ama la tecnica e non sono affatto contro la tecnica, come certi ecologisti. Semplicemente faccio una critica della tecnica. Non ci può essere, a mio avviso, avanzamento nel campo della tecnica, che mediante la critica. Non ci si può interessare a un oggetto tecnico, senza interessarsi alla sua negatività. Faccio sempre questo esempio: inventare la nave è lo stesso che inventare il naufragio, inventare il treno è inventare il deragliamento, inventare l'elettricità è inventare la scossa. Ora l'invenzione delle telecomunicazioni, delle reti telematiche, di Internet, del "cyber-spazio" è anche l'invenzione di un incidente specifico, che non è altrettanto appariscente dell'incidente ferroviario, che fa dei morti e crea disordine. C'è una negatività, ed è questa negatività che io indago, non per negare il progresso della tecnica, ma, al contrario, nel tentativo di superare questa situazione.

Faccio un esempio: quando è stata inventata la ferrovia, c'erano due tipi di ingegneri: gli ingegneri civili, quelli che facevano le strade ferrate, i binari ferroviari, i ponti e le gallerie, e gli ingegneri meccanici, che costruivano le locomotive. E la cosa funzionava, deragliamenti a parte. Un giorno, intorno al 1880, forse nel 1888, gli ingegneri europei - questa è storia - si sono riuniti a Bruxelles - il luogo è importante - e hanno detto: il vero problema non è il progresso della macchina a vapore, della locomotiva, non è lo straordinario progresso dei ponti metallici, l'apertura di gallerie, ma i troppi incidenti. Dunque bisognava impedire il moltiplicarsi degli incidenti. Fu inventata allora l'ingegneria del traffico. Il traffico è diventato un problema a sé, problema immateriale, ma problema di fondo. Fu inventato allora il block-system , che impedisce il deragliamento, un sistema segnaletico, assai sofisticato, con torri di controllo, che dirigono il traffico, e il block-system ha reso possibile la sicurezza della rete ferroviaria. Ancora oggi col TGV, il block-system permette al TGV di andare sempre più veloce.

Oggi nelle reti elettroniche bisogna individuare gli incidenti, i deragliamenti che, in questo caso, non sono materiali - benché talvolta la disoccupazione... C'è bisogno di una comprensione della immaterialità della rete, ed è il lavoro che io tento di fare. Tento di farlo perché credo che sono tutti troppo impegnati - Bill Gates e gli altri - nella pubblicità di questi nuovi prodotti e nessuno si preoccupa della negatività, cioè nessuno si preoccupa del progresso. Chi si preoccupa della negatività si preoccupa del progresso, cioè della prevenzione dell'incidente. Adesso la possibilità di incidente è mascherata per vendere i computer.

 

Naturalmente si pone anche un problema di democrazia, nel senso che la rete telematica rappresenta una sfida per la democrazia, per la partecipazione. Che cosa ci può dire a questo proposito?

E' un evento molto, molto grave, perché la democrazia non è solitaria, ma solidale. Con la democrazia catodica, che si chiama anche impropriamente democrazia diretta, si prepara una negazione della democrazia. La democrazia è una riflessione in comune. Le esigenze di immediatezza che si fanno già strada attraverso i sondaggi, attraverso i tentativi di Ross Perot di referendum mediante carta magnetica in televisione, sono negazioni della democrazia. La democrazia ha bisogno di una riflessione in comune. La democrazia non mostra, ma dimostra. La televisione mostra: un sì o un no. E questa alternativa di sì/no è antidemocratica.

Dunque bisogna ritrovare la riflessione in comune, bisogna evitare che la democrazia sia un mero riflesso. Uso questo termine nel senso della psicologia. Una democrazia è invece riflessione in comune, non riflesso solitario. In un certo senso il voto elettronico, che è stato usato di recente in Francia, prepara un "auditel" che sarà un "auditel" nazionale, un "auditel" democratico. E questo è un fatto estremamente grave. Si capisce da sé che il successo di Berlusconi nel 1994, dopo il fallimento di Ross Perot, in attesa di altri eventi, è stato un evento storico. E' una storia all'italiana. Non è durata molto, ma è stato un evento importante, a mio avviso. E' stato, come ho detto in altre occasioni, un colpo di stato mediatico.

 

Non c'è un paradosso nel fatto che il capitalismo, che segna il trionfo del materialismo, stia diventando, di giorno in giorno, nell'economia, ma anche nella vita quotidiana, sempre più immateriale?

L'Italia è stata sempre all'avanguardia nel campo della rappresentazione in tutte le sue forme: nella prospettiva, nell'ottica, nel teatro, con il barocco, con il futurismo. L'Italia è all'avanguardia in tutti i campi: nell'arte, nella cultura, nei costumi. Non lo dico per favoritismo, lo credo profondamente. Credo che l'Italia sia il paese di punta nel campo della rappresentazione. Parlo dell'Occidente, beninteso.

 

Sempre a proposito di reti telematiche: nelle reti non ci sono differenze temporali tra prima e dopo, tra interno ed esterno, soggetto ed oggetto. Che cosa significa?

Noi andiamo verso una situazione babelica, verso una confusione mondiale. Credo che il mito della torre di Babele sia un mito mediatico primario. La torre di Babele, per l'architetto, per il direttore della scuola di architettura, che io sono, o almeno ero, è uno dei grandi miti della tecnica. Non ci sono molti miti della tecnica così forti come la torre di Babele. La torre di Babele mette in opera la tecnica, l'architettura e l'informazione, il linguaggio - e la città, perché, devo ricordare che Babele è una città verticale, è una torre. Dunque la situazione presente finirà, o meglio già sta finendo in un caos, nell'inquinamento dell'informazione, nella mancanza di controllo, nella "deregulation ". Io penso che tutto questo sarà superato, ma, per ora, stiamo entrando nel caos, nella confusione babelica.

Credo che ci sia un enorme lavoro da fare per tentare di conoscere questa situazione, con i suoi annessi e connessi. Per esempio, la fine del dentro e del fuori è semplice disorientamento. L'uomo non sa più dov'è. Certo è nello spazio reale, è "in", ma "dove"? Non è più nell' "hic et nunc" non è più "in situ ", l'essere non è più "in situ," , non è più "hic et nunc ", è qui e là al tempo stesso. A questo punto comincia la confusione. Il vicino e il lontano si confondono. Faccio un esempio: la socialità è basata sull'amore del prossimo. Oggi ci viene detto di amare il lontano come noi stessi. Non il lontano nel senso metaforico, ma colui che vediamo nel video, colui che non puzza, colui che non ci infastidisce. Assistiamo a una straordinaria inversione: il lontano la vince sul prossimo. Nelle nostre città, le persone che appaiono nel video, che facciamo apparire con lo "zapping ", non ci scomodano, non ci disturbano, non fanno rumore, non puzzano, non vengono a bussare alla porta a mezzanotte. Al contrario il vicino, il prossimo, mi infastidisce, mi secca, mi disturba.

Quindi siamo di fronte a una inversione: nel passato il prossimo era l'amico e il lontano il nemico, straniero e nemico , oggi è l'inverso. Colui che bussa alla mia porta è il nemico, mi infastidice, mi disturba. E' la solitudine dei grandi insiemi urbani. Al contrario, colui che appare sullo schermo è sublimato perché è, in un certo senso, uno spettro, uno zombi, un'ombra fuggevole, che io posso controllare con il mio "zapping ". E' un segno notevole, questo, della rottura del legame sociale. Ricordo che una volta fare una città era mettere insieme le persone perché si incontrassero nell'"agorà ", nel foro, perché entrassero in società. Oggi siamo di fronte a una disintegrazione.

 

Lei ha parlato contro coloro che parlano delle nuove tecnologie come di un qualcosa che potrebbe risolvere i problemi dell'umanità. Ha detto che si tratta di "integralismo tecnologico".

C'è in questo momento effettivamente un grande problema: è l'integralismo: integralismo cristiano, integralismo musulmano, integralismo ebreo. E' un grande problema. La guerra santa è all'ordine del giorno perfino a Parigi con la "Jiad". L'integralismo mistico del monoteismo, che è un fatto pericolosissimo per la pace civile, si incontra in Algeria, ma anche nel Medio Oriente, e adesso anche in Francia, e si accompagna a un integralismo tecnologico, cioè a un culto della tecnica, a un tecno-culto per un "deus ex machina". Non è più il dio della trascendenza del monoteismo, e quindi dell'integralismo religioso, è l'integralismo di un dio-macchina, capace di risolvere tutti i problemi. Io sono scandalizzato effettivamente da coloro che presentano le nuove tecnologie in una dimensione, direi, di fede quasi religiosa.

Io dico: di fronte alla tecnica ci sono i taumaturghi e i drammaturghi. Taumaturghi sono quelli che gridano al miracolo perché Bill Gates ha lanciato "Window 95" o perché "Apple" ha prodotto un nuovo modello. Penso che tutto ciò sia grave, assai grave. Manca la distanza critica che bisognerebbe avere di fronte a qualsiasi oggetto tecnico. E' un tecno-culto, direi un "cyber-cult".

 

Si parla molto di autostrade elettroniche. Vorrei sapere se lei è d'accordo o no con l'uso di questo termine.

Le autostrade elettroniche dovrebbero essere chiamate supermercati elettronici: sarebbe assai più chiaro. Si tratta di tele-acquisti. E' evidente: tele-acquisti di informazione, tele-acquisti di convivialità, tele-acquisti di immagini. Si tratta dunque complessivamente di tele-acquisti. Ma mi sembra interessante che si parli di autostrade, perché le autostrade hanno una storia che gli italiani conoscono bene, che i tedeschi conoscono bene e che anch'io conosco bene. Sono le "autostrade" e le "Reich autobahn ", cioè le vie strategiche fatte specialmente dal nazismo nella prospettiva della conquista, sono strade per la conquista. Ricordo che la Seconda Guerra Mondiale è cominciata in direzione dell'Est, là dove arrivava l'autostrada, la 'Reich autobah", verso la Polonia, verso Danzica, nel famoso "corridoio" di Danzica. Dunque, per continuare l'autostrada che andava verso la Polonia, si dichiarò la guerra.

Non si può dimenticare che l'autostrada fascista e la "Reich autobahn" nazista sono state le immagini della "conquista", della grande conquista territoriale del "Lebensraum", una specie di colonizzazione nel cuore dell'Europa. L'immagine mi sembra interessante sotto questo aspetto. Le autostrade dell'informazione sono, in un certo senso, delle "Reich autobahn", cioè vie di colonizzazione culturale. Io non dico che sia un male in sé comunicare su scala planetaria, ma il modo in cui si sta preparando questa possibilità è il segno di un imperialismo della comunicazione che sta cominciando. Io sono sorpreso, sono assai sorpreso di vedere che tutto ciò che era stato propagandato da "Apple" come la convivialità di piccole macchine, modeste e semplicissime, presentate come il risultato più sofisticato dell'elettronica e dell'informatica, è stato spazzato via a profitto di una visione imperialista dell'autostrada elettronica e della multi-medialità. E' una concezione evidentemenete fascista. Dunque il termine autostrada va benissimo. Non dispiaccia ad Al Gore, vice-presidente americano: egli ha scelto senza volerlo il termine più appropriato, ma in realtà si tratta di supermercati.

(traduzione di Francesco Fanelli)

 

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