Professor Galbraith, come vede la
"scienza" economica oggi? Quali sono, fra i suoi sviluppi più recenti, quelli
che hanno maggiore importanza?
Non si può dare una risposta breve a questa domanda. La scienza economica è veramente
al centro delle discussioni, esercita una grande attrazione sugli studenti, è fonte di
dibattiti molto vivaci, ci divide in persone che hanno espresso un forte impegno a favore
del Welfare State e che continuano a sostenere le idee di John Maynard Keynes, e in
persone molto più conservatrici. Tuttavia, possiamo ricordare un contributo recente
proveniente dagli Stati Uniti e sottolineare due personaggi in particolare, nessuno dei
quali può essere strettamente identificato con John Maynard Keynes. Uno di loro, una
delle grandi figure di questo secolo, è Simon Kuznetz, uno statistico con
unimmaginazione brillante che ha avuto il merito di aver definito i concetti di
"prodotto nazionale lordo" e di "reddito nazionale". Egli definì il
"prodotto nazionale lordo" come ciò che viene prodotto a livello aggregato sia
da fonti interne che esterne e lo misurò anno dopo anno.
Questo ebbe luogo proprio al tempo della Seconda guerra mondiale e fu
straordinariamente importante perché mostrò con chiarezza come leconomia stava
operando, cosa poteva fare, quali erano le possibilità di espansione. Quindi, nel corso
della Seconda guerra mondiale, una grande parte del nostro programma militare fu
supportato dalle idee di Kuznetz e di chi lavorava con lui, che mostravano quanto gli
Stati Uniti potevano produrre. I tedeschi, che pure disponevano degli stessi dati relativi
alla loro economia, non erano invece altrettanto vigorosi nellespansione economica
quanto lo eravamo noi. Questo fu un fatto molto importante, ma naturalmente i concetti di
"prodotto nazionale lordo", "prodotto interno lordo", "flusso del
commercio estero", sono concetti che fanno ancora parte della vita quotidiana e delle
nostre discussioni.
Laltro importante contributo fu portato da un altro mio grande amico, Wassili
Leontief. Leontief nacque ed ebbe la sua prima istruzione in Russia; era un
socialdemocratico e si trasferì ad Harvard ove ha passato tutta la sua vita accademica,
ad eccezione di pochi anni che, recentemente, ha trascorso a New York,
allUniversità di New York. Fu Leontief ad avere lidea di mostrare
linsieme delle relazioni fra tutte le imprese, tutte le industrie, di
uneconomia: ciò che unindustria vende a ogni altra industria, ciò che tutte
le industrie vendono allindustria specifica che si sta studiando. Egli delineò una
grande mappa o diagramma, che mostra tutte le interrelazioni interne ad una determinata
economia. Era un lavoro statistico colossale, e allinizio vi fu chi sbeffeggiò
questo lavoro. Ma si rivelò essere una delle più efficaci fonti di informazione
sulleconomia e, diversamente da molti altri economisti che ho nominato, Wassili
Leontief ha ancora molta importanza per noi.
Vorrei ricordare anche Franco Modigliani; egli è un mio amico e ancora oggi un
economista molto vigoroso, un protagonista molto interessante nel panorama della scienza
economica americana, il quale non esita però a dare consigli allItalia quando se ne
presenta loccasione. Modigliani è una figura centrale per lanalisi del ruolo
del consumatore e, in particolare, del ruolo del consumatore in relazione al reddito
guadagnato e al modo di spenderlo.
Qual è adesso il ruolo della politica monetaria?
Questo è un altro degli sviluppi che si sono verificati negli ultimi
cinquantanni. In un certo senso, una risposta agli aspetti più complessi della
teoria di Keynes, al New Deal e al Welfare State viene dal versante
conservatore; la base dellargomentazione è la seguente: controllando lofferta
di moneta - come si può fare attraverso le banche centrali - si esercita un potentissimo
controllo sulleconomia e quindi ci si può liberare di gran parte dellapparato
preposto a tale controllo e predisposto specificamente ad affrontare i problemi relativi
allespansione e alla contrazione. Il leader, molto efficace nelle sue teorie,
di questo approccio alla teoria monetaria è il professor Milton Friedman
dellUniversità di Chicago, che recentemente si è trasferito in California,
allHoover Institute.
Per quanto mi riguarda, non mi si deve considerare un discepolo del professor Friedman,
poiché non credo che le cose siano così semplici come egli le fa apparire; ha avuto
comunque una grandissima influenza su chi vede la politica monetaria come il riferimento
fondamentale della politica economica e, quindi, la sua teoria consente di fare a meno di
un gran numero di altre argomentazioni, alcune delle quali di impronta molto più liberale
di quanto piacerebbe allo stesso Friedman.
Professor Galbraith, cosa pensa del ritmo con cui oggi negli Stati Uniti alcune persone
diventano miliardarie?
Con ciò tocchiamo uno dei problemi fondamentali del nostro tempo, che è collegato al
moderno capitalismo ed è particolarmente vivo negli Stati Uniti: il problema dello
straordinario aumento della disuguaglianza. Mentre la maggior quota del reddito va ai più
ricchi, la quota che va a chi si trova in una posizione intermedia o ai poveri è costante
o addirittura diminuisce. Non solo vi sono diseguaglianze, ma le diseguaglianze aumentano.
Credo che le ragioni di ciò siano due. Una di queste può essere ricondotta a Adam Smith
ed è legata al fatto che chi possiede le grandi imprese, chi possiede le azioni, non si
interessa attivamente alla vita delle stesse imprese e quindi non insiste tanto sui
dividendi e sulla loro grandezza rispetto al reddito che viene percepito dal management.
Il management, compreso quello di grado più alto, nomina i massimi dirigenti e
questi, in modo non innaturale, ricompensano il management per gli incarichi che
hanno ricevuto: si stabilisce una sorta di circolo chiuso. Laltra ragione risiede
nella natura del sistema. Abbiamo infatti un sistema, e in questo includo il governo, che,
dal punto di vista politico, assegna influenza e potere a chi già possiede la maggior
quota della ricchezza.
Professor Galbraith, oggi stiamo trascurando o nascondendo la lunga storia delle fasi
di crescita e di contrazione?
Io credo che non vi potrebbe essere problema più urgente di questo perché proprio
adesso leconomia americana sta vivendo una lunga fase speculativa, che si riflette
in modo particolare sulla Borsa di New York. Analogamente, possiamo parlare di alcuni
Paesi asiatici, Indonesia, Corea del Sud e altri ancora che stanno attraversando un
momento molto difficile, che stanno sopportando le conseguenze di un crollo speculativo;
tutto ciò è qualcosa che possiamo considerare come scontato e che si verificherà in
futuro. Per centinaia di anni siamo passati attraverso fasi di espansione e di
contrazione; nel secolo scorso negli Stati Uniti si è avuta proprio una successione di
fasi di espansione e di contrazione.
Ho già parlato del grande crollo del mercato borsistico che si verificò nel 1929 e
ora stiamo parlando in un momento in cui nella Borsa di New York è in atto un notevole
movimento speculativo. Il nucleo di questo movimento risiede nel fatto che i prezzi si
muovono verso lalto, la gente ne è attratta, acquista titoli e questo fatto fa
aumentare i prezzi; ciò porta alla realizzazione dellevento atteso, fa sì che
ancora più persone entrino nel mercato, e il processo così procede verso
linevitabile crollo. Io non credo che ci siamo liberati da questa successione di
eventi; anzi, credo che si ripeterà. Credo inoltre che sia qualcosa a cui ci dobbiamo
preparare, perché la conseguenza del crollo, della fine della grande crescita, del
"pallone", come dicono i giapponesi, è un periodo di depressione economica, di
riduzioni dei prezzi e di disoccupazione crescente: uno stato di cose molto meno piacevole
di quello precedente. Voglio richiamare lattenzione su una cosa in particolare:
quando si sente gente dire che questa è una nuova era di prosperità permanente ci si
dovrebbe allarmare subito perché è proprio quel che è stato sempre detto nei periodi di
crescita speculativa.
In Europa la disoccupazione è quasi ovunque superiore al dieci per cento; come si può
risolvere questo problema?
Uno dei problemi economici che ci tormentano, in un certo senso lo definirei il più
grave problema del nostro tempo, è quello della permanenza di unalta disoccupazione
in Paesi, in particolare quelli europei, che per altri aspetti si trovano in una
situazione favorevole. Le ragioni di questa situazione sono state discusse a lungo, ma non
credo che si possa dire che su di esse o su misure di politica economica si sia raggiunto
un ragionevole accordo. La mia opinione a questo proposito, che però non esaurisce
affatto tutti gli aspetti del problema, è che il Welfare State nei Paesi europei
avanzati ha fatto pesare moltissimi costi - i sussidi di disoccupazione, lassistenza
medica, i permessi retribuiti, e così via - sul costo del lavoro, sulloccupazione.
E poiché il costo del lavoro comprende tutti questi costi, gli imprenditori sono
divenuti molto cauti quando si tratta di assumere lavoratori. Ciò favorisce in modo
particolare la meccanizzazione, linformatizzazione, aspetti che rappresentano
unalternativa rispetto al lavoro e per le quali non si devono sostenere i suddetti
costi. Il rimedio naturalmente è ovvio e poco gradito: si tratta di spostare il costo e
il peso delle garanzie del moderno Welfare State sullimposizione fiscale,
togliendolo dal costo del lavoro. Questa non è una risposta completa, ma penso che il
primo passo verso un rimedio si possa trovare in questo tipo di operazione.
Professor Galbraith, secondo Lei, ridurre il tempo di lavoro è una soluzione
praticabile? E cosa pensa di un aumento del salario minimo garantito?
Devo tenere distinte le risposte a queste domande. Io non sono favorevole a una
riduzione della settimana lavorativa. Questo è stato comunque uno dei passi in avanti in
termini di civiltà compiuti dal capitalismo moderno. Il moderno sistema di mercato ha
preso sotto il suo controllo il tempo di lavoro. Il vecchio capitalismo era semplicemente
troppo crudele; in un certo senso logorava la gente giorno per giorno. La riduzione della
settimana lavorativa sarebbe un rimedio efficace, ma non credo che da parte dei lavoratori
venga una forte pressione in tale direzione; piuttosto si vorrebbero avere più ferie.
Per quanto riguarda il minimo salariale, si deve sottolineare che esso è estremamente
importante, in particolare negli Stati Uniti. Listituzione del salario minimo è
stato uno dei grandi provvedimenti tesi a proteggere i lavoratori più sfruttati, quelli
che avevano meno potere contrattuale; abbiamo però addirittura stentato a mantenere il
salario minimo al passo con linflazione. In termini reali oggi non è molto più
alto, o non è tanto alto quanto ventanni fa. Io sono sempre stato molto favorevole
non solo a mantenere il salario minimo al livello dellinflazione, ma ad aumentarlo,
così che il salario reale aumenti. In questo modo, si obietta, aumenterebbe la
disoccupazione: questa è la risposta che si dà sempre, ma fino ad oggi il miglioramento
della posizione dei lavoratori meno retribuiti non ha mai avuto effetti negativi
sulloccupazione. Infatti non stiamo parlando di quella parte della forza-lavoro che
gode di molteplici vantaggi, ma della parte più povera della forza-lavoro, del costo del
lavoro.
Quali sono i problemi più gravi, dal punto di vista econimico e sociale, che
affliggono il nostro tempo?
Se si dovesse dire qual è uno dei problemi più seri del nostro tempo, direi che è
quello della povertà nelle grandi città: questo problema è particolarmente forte negli
Stati Uniti. Adottando una prospettiva più ampia si può dire che il problema più serio
sia quello delle differenze di benessere fra i Paesi ricchi e quelli poveri. Questi sono i
due problemi economici e sociali più gravi del nostro tempo, e per nessuno dei due
cè una risposta semplice. Da molto tempo ho sostenuto listituzione di un
livello minimo di assistenza tale da garantire ai poveri delle nostre città un minimo di
reddito su cui poter contare. Si deve accettare e mettere in conto il fatto che qualcuno
potrebbe approfittare di ciò preferendo quindi avere quel reddito anziché lavorare.
Cè poi il problema delle nazioni ricche e di quelle povere. Anche questo è un
problema di cui mi sono occupato molto; iniziai a lavorare sul tema dello sviluppo
economico ad Harvard moltissimi anni fa, e da allora è diventato un argomento di grande
interesse e preoccupazione. Cosa fare per la situazione economica dei Paesi poveri? Non
cè una risposta semplice. Cè un flusso continuo di aiuti dai Paesi ricchi
verso quelli poveri; lho potuto osservare personalmente negli anni che ho trascorso
in India e non ho mai dubitato del fatto che si trattasse di un aspetto estremamente
importante dellassistenza ai Paesi poveri. Ma cè unaltra cosa che mi
sembra molto importante e che non viene discussa abbastanza: il fatto che la maggior parte
dei Paesi poveri sono stati colonie e poi sono stati coinvolti nel grande movimento di
"decolonizzazione", che ha avuto luogo dopo la Seconda guerra mondiale.
Ma questo movimento ha lasciato molti di quei Paesi, in particolare in Africa, con dei
governi molto deboli, corrotti e incompetenti; e uno dei primi requisiti, il primissimo
requisito dello sviluppo economico e del benessere è la presenza di governi stabili e
competenti. Ciò che sostengo non è molto ben accetto, ma da lungo tempo ho la sensazione
che in molti casi la concessione dellindipendenza e della sovranità non sia stato
altro che concessione di indipendenza ad un governo corrotto e incompetente. Nei casi
peggiori è necessario lintervento di unorganizzazione internazionale che sia
unemanazione delle Nazioni Unite, non degli Stati Uniti - voglio dirlo molto
chiaramente - che assuma la sovranità usandola per proteggere lincompetenza, la
corruzione, il disordine e la terribile povertà economica. Perché ciò sia possibile
occorrerebbe unorganizzazione economica molto più forte di quella che abbiamo oggi,
ma non si può in ogni caso continuare a tollerare, sotto la protezione di una pretesa
indipendenza, le miserie economiche che continuano ad esistere nei Paesi più poveri.
Professor Galbraith, che influenza esercita il fenomeno delle migrazioni di
forza-lavoro sulle economie occidentali? È uninfluenza positiva o negativa?
Io sono favorevole allo spostamento di persone dai Paesi poveri verso quelli ricchi;
credo che questo fenomeno porti molti benefici sia per chi arriva, per gli emigranti, sia
per chi accoglie. Questo è un fatto che mi ha sempre colpito quando sono venuto in
Italia, mi sono infatti chiesto in che misura la prosperità del Nord è venuta a
dipendere dalla risorsa lavoro fornita dal Mezzogiorno. Ho vissuto in Svizzera per un
periodo importante della mia vita e lì ho scritto molto. La Svizzera non potrebbe
esistere come Paese se non fosse per i lavoratori dellEuropa orientale, per quelli
italiani e per quelli spagnoli, i quali sono andati lì a svolgere i lavori che gli
svizzeri non erano più disposti a fare. Anche la vita negli Stati Uniti, a tutti i
livelli intellettuali, è stata a lungo dipendente dallapporto dato dagli emigranti.
Gli emigranti vivono molto meglio qui che nei Paesi da cui sono partiti, ad esempio in
Sud America o nei Caraibi, e al tempo stesso rendono la vita molto più piacevole a coloro
che abitano già qui. Su questa questione potrei non essere pienamente obiettivo, perché
anchio sono un emigrante. Infatti, sono nato e cresciuto in Canada e poi sono
emigrato negli Stati Uniti; sono molto felice di averlo fatto e forse tutto ciò mi porta
ad avere unopinione un po più favorevole degli emigranti.
Cè in Lei una nota pessimistica quando parla della realtà attuale?
Mi si chiede se nella conclusione di questa analisi si deve vedere una nota di
pessimismo o di ottimismo? Bene, direi che non cè né luna né laltra.
Vorrei che tutti ricordassero che i problemi peggiori che affliggono il mondo non sono di
natura economica. Se la vita su questo pianeta finirà, ciò sarà leffetto di forze
non-economiche che derivano dalluso di bombe atomiche, di armi chimiche e
biologiche. Quando mi sveglio preoccupato per il futuro sono queste le prime cose che mi
vengono in mente; si deve porre allora la questione del controllo e delleliminazione
delle armi atomiche.
Per quanto riguarda leconomia io non sono né ottimista né pessimista. Vi sono
ancora problemi seri nei Paesi avanzati, il più importante dei quali è il riproporsi
della sequenza di fasi di espansione e di contrazione e il persistere di grande povertà
accanto alla ricchezza. Ma il mio vero pessimismo riguarda il cosiddetto "Terzo
Mondo", i Paesi poveri del pianeta. Ho passato molti anni della mia vita in questi
Paesi; in particolare il mio interesse si è rivolto verso lIndia, dove sono anche
stato come ambasciatore e dove ho colto elementi di speranza: la soluzione di un grave
problema agricolo che minacciava lIndia con lo spettro della fame, la crescita di
unampia classe media. Ma in India, come in Africa e altrove, cè un terribile
problema di povertà: un alto numero di persone sono ancora prive di un rudimentale
alloggio e dormono nelle strade; ho potuto osservare questo problema per molti anni e non
si vedono miglioramenti, anzi sembra diventare sempre più grave. Si può quindi essere
ottimisti guardando a ciò che è stato fatto in un Paese come lIndia, ma si deve
essere pessimisti considerando quel che non è stato fatto.
Professor Galbraith, cosa pensa dello sforzo volto a rendere leconomia una
scienza?
A me piacerebbe molto poter dire che leconomia è una scienza, e lo stesso vale
per la maggior parte degli economisti, ma non credo che per il momento ciò sia possibile.
Se una persona è attenta ai problemi economici, se si preoccupa ad esempio del problema
della ricchezza e della povertà, non si sta occupando di una cosa che può essere
ricondotta nellambito di una scienza. Se questa riduzione fosse possibile il
problema sarebbe stato risolto da molto tempo. Per questo motivo io credo che la scienza
economica, se applicata ai reali problemi del nostro tempo, debba essere un esercizio di
intelligenze diverse, la combinazione di informazioni tratte da fonti molto diverse, e non
può perciò essere una scienza. Chi vuole considerare leconomia come una scienza è
improbabile che riesca a muoversi verso il mondo reale.