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Storia sociale dell'oppio

Stefano Canali


Stefano Canali, storico della scienza e divulgatore scientifico, ha pubblicato vari lavori sulla storia delle droghe e delle neuroscienze, tra cui Alter Ego. Droga e cervello, Edizione dell'Universita' degli Studi di Cassino (tradotto in quattro lingue), La ricerca biomedica nel Novecento, in Storia della Scienza Einaudi. E' autore di audiovisivi scientifici tra cui "La Droga e i suoi effetti sul cervello" distribuito da Le Scienze - Scientific American.

L'oppio è la droga che più segna la storia della civiltà occidentale e probabilmente l'evoluzione della cultura umana nel suo complesso. Elemento centrale delle pratiche magiche, religiose, mediche, dei rituali sociali, del divertimento e dell'evasione, quindi della dimensione economica e politica, l'oppio ha rappresentato una sorta di specchio in cui si sono riflettute, intrecciandosi, le immagini del sacro, le idee dell'uomo, le dottrine cliniche, le ideologie politiche ed economiche. Per questo, la storia dell'oppio è il racconto di un oggetto estremamente mutevole e polimorfo, in cui gli aspetti concettualmente più diversi si influenzano determinandosi l'un l'altro. Azione farmacologica e valore economico, tossicità e significato culturale, effetti soggettivi, sociali e sistemi politici, presenza delle istituzioni, un groviglio di dimensioni difficilmente districabili che ancora oggi condiziona pesantemente la comprensione delle diverse nature del problema oppio. Un viluppo confuso di significati che è servito a molti per evocare fantasmi, pericoli, paradisi, guarigioni, serenità assolute e ogni altra cosa si considerasse utile a conseguire finalità specifiche come il guadagno, l'affermazione commerciale, il prestigio sociale, il potere, l'ottenimento di finanziamenti, la marginalizzazione di una minoranza etnica o sociale e altro ancora.

La storia antica

 

Babilonesi ed Egizi

La storia scritta dell'oppio coincide con l'alba della scrittura, a testimonianza della presenza del succo di papavero sino alle origini della civiltà. Su una tavola di argilla ritrovata a Ninive e risalente al 2700 a.C., dove si elencavano le piante medicinali assiro-babilonesi, era riportato l'uso di una "droga bruna" e della "figlia del papavero di campo". Secondo alcuni linguisti, l'ideogramma qui usato, Hul Gil, deve tradursi con "pianta della gioia", un significato che dimostrerebbe come in questa antica civiltà si fosse già così bene individuato il potente effetto psicoattivo di tale sostanza.

In uno dei papiri di Ebers, databile intorno al 1550 a.C., invece è presente la descrizione di un preparato a base d'oppio, grani di pianta Shepenn ed escrementi di mosca, utile come medicamento e come calmante per i bambini. L'Egitto fu una delle tappe fondamentali per la diffusione dell'oppio verso Oriente e in seguito nel bacino del Mediterraneo. Dall'Egitto, infatti, la coltivazione del papavero si estendeva all'Asia minore. L'importanza che l'oppio ebbe in questa regione è peraltro attestata da alcuni toponimi. Esisteva, ad esempio, una città, Afrorum Kara Hissar, il cui nome significava "Fortezza nera dell'oppio".

 

Greci e Romani

Dall'Asia minore l'uso dell'oppio si diffuse infine nella culla della cultura Occidentale, in Grecia e da qui infine a Roma. Gli effetti dell'oppio erano molto ben conosciuti dai naturalisti greci e romani, come testimoniano le opere di Teofrasto, Plinio e Dioscoride, tanto che vi era già qualcuno che ne sconsigliava l'uso, come Erasistrato. L'oppio era poi usato nei culti ufficiali, come quello di Demetra. Il mito racconta come la dea della terra feconda, sorella di Zeus, usasse il papavero per alleviare il dolore provocatole dal rapimento della figlia Persefone. Per questa ragione, il papavero veniva collocato immancabilmente tra le spighe di grano che Demetra tiene in mano nelle raffigurazioni, veniva usato nelle decorazioni dei suoi altari e costituiva l'insegna delle sue sacerdotesse. Il papavero è spesso presente nelle mani di Morfeo, dio del sonno, mentre Nyx, dea della notte, dispensava papaveri agli uomini. Anche Hermes, in talune rappresentazioni, si fa avanti con un papavero, quando arriva a recare il sonno ristoratore e la fantasia dei sogni.

L'oppio era presente in moltissimi tipi di pozione (teriaca) messi a punto dai medici greci e romani. Nel philonium di Filone di Tarso, usato per le coliche e la dissenteria, che conteneva zafferano, piretro, euforbia, pepe bianco, giusquiamo, valeriana, oppio e miele; nel diacodion di Temisio di laodicea, composto da capsule di papavero, mirto, ipocisti e miele; nel catapotium di Aulo Cornelio Celso, un calmante preparato con calamo, semi di ruta, castoreo, cinnamono, oppio, mandragola, mele secche, loglio e pepe. La teriaca più famosa ed usata fu tuttavia quella elaborata da Andromaco il Vecchio, un cretese, medico alla corte di Nerone: il galenos (soave). Questa pozione conteneva oltre all'oppio altri sessantatre ingredienti, tra cui la carne di vipera. La preparazione del galenos era piuttosto complicata e doveva essere eseguita seguendo un procedimento estremamente accurato. Gli ingredienti di questa teriaca, che provenivano da tutti i paesi del mondo allora conosciuto, venivano rimestati e mescolati per settimane, per esser poi lasciati invecchiare almeno dodici anni.

Il galenos era raccomandato come una infallibile panacea. Il più grande medico dell'antichità romana, Galeno, prescriveva tale pozione diluita in alcool, per una serie incredibile di disturbi, tra cui sintomi di avvelenamento, cefalee, sordità, problemi di vista, epilessia, febbre, sordità e lebbra. Con questa pozione, stemperata in abbondanti dosi di miele, Galeno curò il più eminente dei suoi pazienti, l'imperatore Marco Aurelio, sino a farlo divenire dipendente dall'oppio, come testimoniano i resoconti clinici compilati dal medico. Secondo un interprete, l'oppiomania di Marco Aurelio si rivelerebbe in alcune immagini dei Ricordi, specialmente in quelle che descrivono l'infinità essenziale del tempo e dello spazio, o in quelle in cui si intende enfatizzare i limiti e le bizzarrie della percezione umana.

Al galenos fecero ricorso anche Nerva, Traiano; Adriano, che lo usò per sopportare il dolore della scomparsa del suo amato Antinoo; Tito, che forse morì per averne assunta in dose eccessiva e Cornelio Nepote, che confessò di essersene servito per uccidere il padre.

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Dal Medioevo alla fine del Rinascimento

L'oppio diveniva quindi un elemento fondamentale della farmacopea della grande scuola medica araba. In essa si approfondirono in maniera sistematica le osservazioni e le indagini sugli effetti di questa sostanza, a tal punto che il filosofo e medico Avicenna (980-1036), la cui morte si ipotizza dovuta ad un'eccessiva dose di oppio, nel Canone arrivava finalmente a gettar luce anche sui danni psicologici e fisiologici provocati dal derivato del papavero e a descrivere chiaramente per la prima volta il fenomeno della dipendenza.

La tradizione araba filtrava poi nella medicina occidentale, favorendone la rinascita e con essa veniva riscoperto l'uso dell'oppio. Nella scuola medica salernitana, dove si operò la saldatura con l'antica medicina greco-romana e si inaugurò per la prima volta nell'Europa medievale l'insegnamento medico, si tenevano in gran conto le virtù anestetiche di una spongia somnifera imbevuta d'oppio, giusquiamo, mandragola e canapa.

Nello stesso periodo l'oppio veniva assunto dagli alchimisti per stimolare la creatività e l'immaginazione necessarie alla realizzazione della "grande opera", nella ricerca della pietra filosofale e dell'acqua di gioventù. Lo stesso Paracelso, il principe degli alchimisti, attribuiva i suoi successi ad un preparato a base d'oppio, il laudano, che egli stesso aveva elaborato a partire da un elettuario del medico veronese Fracastoro: «Io possiedo un farmaco arcano che è superiore a ogni cosa mortale».

Thomas Sydenham, uno dei più grandi medici inglesi del secondo Seicento definiva l'oppio «la santa ancora della vita» e a proposito dei suoi derivati egli scriveva: «Non posso trattenermi dal ricordare con gratitudine la bontà dell'Essere Supremo, che li ha dati all'umanità come sollievo; nessun altro rimedio è altrettanto potente nello sconfiggere un gran numero di malattie, o addirittura nello sradicarle». Un allievo di Sydenham, Thomas Dover, elaborava un preparato contro la gotta a base d'oppio, liquirizia, salnitro e ipecacuanha, la polvere di Dover, che diveniva uno dei farmaci più usati del XVII secolo. La polvere di Dover andava sciolta in un bicchiere di latte caldo cagliato con vino bianco e presa prima di andare a letto. «Coprendosi bene e bevendone dalle due alle tre pinte, in modo da sudare molto, in due o tre ore al massimo, il paziente non avvertirà più il dolore», assicurava la formula illustrativa scritta da Dover stesso.

 

L'oppio nell'era moderna

Nel Settecento l'Inghilterra aveva indiscutibilmente il primato europeo del consumo d'oppio. La diffusione dell'oppio aveva normalizzato il suo uso ed il ricco mercato che vi era cresciuto intorno premeva per ottenere la giustificazione e la promozione del consumo da parte della classe medica.

Dalla rivoluzione scientifica della metà del '600, l'inizio dell'era che Max Weber definiva "età del disincanto del mondo", la classe medica era diventata estremamente più influente ed autorevole in campo sociale di quanto fosse mai stata nel passato. La progressiva naturalizzazione dell'uomo infatti permetteva ora al medico di pronunciarsi sulla natura della sfera psichica, comportamentale e morale, definendone più o meno razionalmente i territori della normalità e della patologia, conquistando quegli spazi sociali, "politici", e quindi quelle attenzioni da parte dei centri del potere (politico ed economico) che prima competevano esclusivamente alla chiesa.

 

Le teorie mediche

Questo processo storico forse può spiegare perché tante accreditate teorie mediche si affermassero a partire dalla fine del '600 in Inghilterra. La prima esposizione "scientifica" sulla natura e sugli effetti dell'oppio era quella fatta nel 1701 dal dottor John Jones nel libro The Mysteries of Opium Reveal'd. In esso, prodigiosa opera promozionale dell'oppio, l'autore affermava che il succo del papavero sonnifero poteva guarire quasi ogni malattia e calmare tutti i tipi di dolore: tosse, catarro, febbre, reumatismi, coliche, addirittura fratture, vaiolo, colera e peste! I pochi avvertimenti che Jones dava sugli effetti collaterali, sulla dipendenza e sulla condizione dell'astinenza, svanivano di fronte alla esaltata descrizione delle eccezionali virtù euforizzanti dell'oppio, capaci di acquietare ogni ansia, cancellare la più straziante disperazione, portare gioie incantate, come nessun altro piacere terreno.

Medici famosi come William Cullen e lo scozzese John Brown adottavano acriticamente la dottrina farmacologica di Jones e consigliavano la somministrazione dell'oppio per la terapia dei mali più disparati: tetano, tifo, cancro, colera, malaria, reumatismi e così via. Brown, che negli Elementi di medicina aveva definito la salute come equilibrio tra i principi vitali di eccitabilità e passività, riteneva che la natura degli effetti benefici dell'oppio, dipendesse dalla capacità di questa sostanza di ovviare, invero prodigiosamente, agli eccessi di sonnolenza e all'ipereccitazione allo stesso tempo.

In maniera forse più appropriata, ma ancora del tutto empirica, Cullen prescriveva l'oppio come sedativo, per curare le condizioni di "eretismo".

 

La Rivoluzione industriale e l'avvio dell'epidemia d'abuso d'oppio

Con l'avviarsi della Rivoluzione industriale, in Inghilterra si registrava una vera e propria esplosione del consumo di oppio, che doveva successivamente investire tutta l'Europa e gli Stati Uniti ed essere in buona parte imposta, per evidenti ragioni economiche, alle colonie europee negli altri continenti. L'uso di tale droga perdeva il carattere endemico che aveva sempre avuto nella storia e che dava luogo a situazioni molto simili a quelle che si verificano oggi per l'uso dell'alcool in paesi come il nostro, con consumatori occasionali e sporadici, individui farmaco-dipendenti che tuttavia erano socialmente accettati e che continuavano ad avere una vita di relazione nei canoni della normalità ed infine gruppi significativamente piccoli di tossicomani completamente dipendenti ed asserviti alla droga, ma che nonostante ciò non rappresentavano un grave pericolo sociale, data la loro scarsa consistenza numerica.

La coincidenza tra avvio della Rivoluzione industriale e inizio dell'epidemia dell'abuso di oppio e dei suoi derivati non fu certo casuale e si può spiegare riconducendola ai profondi cambiamenti d'ordine generale dell'economia e delle società di quel periodo. Questa critica congiuntura storica, infatti, esaltava la tendenziale dinamica espansiva del mercato dell'oppio, generando una crescita esponenziale dell'offerta e della domanda. L'aumento dell'offerta veniva sostenuto dalla travolgente affermazione del capitalismo nell'economia europea e dall'asservimento dei fattori di produzione e dei mercati coloniali alle ragioni del capitale europeo, quest'ultimo fenomeno in particolare aveva drasticamente abbassato i prezzi di produzione dell'oppio. Ma anche l'industrializzazione della medicina, l'ingresso della farmacia nell'economia di mercato concorrevano in maniera determinante alla crescita dell'offerta d'oppio nel mercato delle droghe.

L'aumento della domanda d'oppio, invece, corrispondeva a penosi bisogni sociali, trovava ragione in funeste "utilità" improvvisamente necessarie ad una popolazione sdradicata, vessata, e alla disperata ricerca di un nuovo adattamento all'urbanesimo allo sconvolgimento del paesaggio rurale, delle abitudini, dei modi e dei tempi della vita quotidiana e del lavoro. Espansione dell'offerta e crescita della domanda venivano infine perversamente alimentate dalle peculiari proprietà farmacologiche dell'oppio, capaci di produrre tolleranza e dipendenza nei consumatori e quindi determinare l'obbligo e l'aumento del consumo.

Nei paesi europei dove più vistosa era stata l'affermazione della rivoluzione industriale, l'oppio veniva usato dalla popolazione, praticamente priva di assistenza sanitaria, per scopi di automedicazione, per combattere il dolore ed ignorando totalmente che alla lunga tali sostanze avrebbero prodotto sull'organismo danni superiori a quelli che con esse tentava di curare. L'oppio non era usato soltanto come analgesico, ma anche, e soprattutto, come l'alcool, a scopo di evasione. Soprattutto in Inghilterra, l'oppio faceva bella mostra di sé il sabato pomeriggio sui banchi delle drogherie negli squallidi sobborghi industriali e veniva venduto a prezzi dalle cinque alle dieci volte più bassi di quelli della birra e dell'alcool. In maniera più o meno deliberata, l'oppio era stato trasformato in una sorta di "droga di stato" con cui l'amministrazione inglese tentava di curare i sintomi delle diverse patologie insorte nel corpo sociale come conseguenza delle colossali e brusche trasformazioni imposte dalla rivoluzione industriale.

 

Medicina ed economia dell'oppiomania ottocentesca

Come era già accaduto all'inizio del '700, la classe medica si impegnò a "normalizzare", giustificare, quindi incoraggiare il consumo dell'oppio, sostanza sedativa, e per questo, peraltro, ritenuta socialmente meno pericolosa dell'alcool, la cui ebbrezza spesso trascina invece alla violenza. La progressione esponenziale del numero di pubblicazioni sull'oppio dal '700 in poi dimostra eloquentemente l'impegno dei medici in questo senso. Tra '500 e '600, in due secoli, la letteratura medica occidentale aveva fatto uscire una quindicina di studi sull'oppio, numero che nel solo secolo dei lumi si triplica, letteratura che diventa infine difficilmente quantificabile nell'Ottocento, secolo in cui non passa anno senza almeno la pubblicazione di una monografia dedicata all'oppio.

Promozione medica ed invasione del mercato di un agente psicoattivo così potente come l'oppio a prezzi estremamente favoreli inducevano l'esplosione del consumo d'oppio, tanto che l'oppiomania si diffuse presto come una vera piaga sociale, raggiungendo e superando per gravità il fenomeno dell'alcolismo.

Gli interessi commerciali e l'avvio della produzione di farmaci a livello industriale inoltre favorirono contemporaneamente un'impressionante proliferazione ed incremento produttivo di rimedi a base d'oppio, la diffusione della loro pubblicità e la capillarizzazione del sistema di vendita. Sciroppi, cordiali, polveri, dai nomi familiari ed accattivanti (lo sciroppo dolce della signora Winslow, L'elisir all'oppio di McMunn, il Cordiale Godfrey, Lo Cherry di Ayer e così via) e dalle confezioni appariscenti venivano reclamizzati su giornali e riviste, venduti per posta o direttamente dai medici, mentre nelle farmacie i preparati a base d'oppio rappresentavano il prodotto più acquistato.

Questa convergenza di interessi determinava quindi una rapida estensione del consumo dell'oppio e dei suoi derivati anche ai ceti sociali più agiati del proletariato. Negli Stati Uniti l'oppio diventava una sostanza d'abuso tipica della borghesia e soprattutto del sesso femminile, cui era prescritta per dolori mestruali, malattie veneree, depressione, disturbi d'ansia.

 

Le dimensioni dell'oppiomania nelle nazioni industrializzate

Le dimensioni della narcotizzazione di massa delle nazioni occidentali ottocentesche a rapida industrializzazione, come l'inglese e la nordamericana, e degli stati sottoposti al loro impero coloniale o commerciale si delineano chiaramente e drammaticamente nelle statistiche sanitarie e nei dati della commercializzazione dell'oppio propri dell'epoca. Nel 1830 l'Inghilterra importava 50.000 kg. d'oppio, quantità che quadruplica nel corso dei trent'anni successivi. Una ricerca condotta a Coventry rivelava che in città si acquistavano settimanalmente quasi 38 litri di Cordiale Godfrey, il prodotto da banco a base d'oppio concepito per i bambini più utilizzato nell''800, una quantità sufficiente per 12.000 dosi presumibilmente somministrate ai 3000 bambini sotto i due anni lì residenti.

Il Cordiale Godfrey è al centro di un altro agghiacciante abuso epidemico di minori. Il secondo rapporto della Commissione d'inchiesta sul lavoro minorile e dei bambini, pubblicato nel 1843, citava la testimonianza del medico legale di Nottingham, secondo la quale un farmacista della città aveva preparato e venduto in un anno tre tonnellate di sciroppo Godfrey's Cordial: un quantitativo per oltre tre milioni di dosi. Un caso comunque non eccezionale, se si considera che una ricerca sulla salute pubblica inglese nel XIX secolo denunciava che una farmacia mediamente vendeva nel corso dell'anno, in sciroppi, tinture e pillole, 90 kg. d'oppio, una quantità dalla quale si ricavano circa 9 kg. di eroina, ovvero 90.000 dosi medie pure, non tagliate.

Le stime dell'amministrazione sanitaria statunitense nella seconda metà dell'Ottocento fissano un'oscillazione piuttosto ampia. Secondo la stima più bassa, un americano su cento era dipendente dall'oppio e dai suoi derivati, le valutazioni più pessimistiche invece davano una proporzione di uno a venti. Un quadro che oggi definiremmo apocalittico, visto che negli Stati Uniti le odierne stime dell'incidenza dei soggetti dipendenti agli oppioidi rispetto alla popolazione generale vanno da uno a 200 all'ottimistico uno a 500.

I dati sul commercio e l'uso dell'oppio nell'Ottocento in Cina sono ancora più impressionanti e dimostrano ancora una volta come il ruolo svolto dai fattori economici e politici sul consumo delle sostanze psicoattive e sulla dipendenza alle droghe sia peponderante sui fattori di carattere biofarmacologico. È impossibile comprendere, quindi, la drammatica oppiomania cinese del secolo scorso senza conoscere le vicende della guerra dell'oppio, vicende che rappresentano una delle pagine più vergognose della stagione dell'imperialismo europeo.

 

Le guerre dell'oppio

Centro di un impero dove non tramontava mai il sole, l'inghilterra controllava i traffici internazionali e monopolizzava il mercato mondiale dell'oppio, riservandosi la fetta più consistente del gigantesco ed ancora legale affare legato al bruno succo di papavero. Per difendere questi cospicui interessi economici l'Inghilterra non esitò a scatenare vittoriosamente i reali eserciti contro la Cina, nella guerra dell'oppio (1840-42). Le tensioni da cui originò la guerra dell'oppio erano in realtà molte di più e molto più antiche ed inoltre curiosamente legate all'economia e ai flussi commerciali di altre due sostanze psicotrope: il tabacco e il tè.

 

Mille anni di oppio in Cina

La presenza dell'oppio in Cina era documentata sin dall'VIII secolo, sebbene di esso si facesse soltanto uso terapeutico. Più tardi, a partire dal primo periodo della dinastia Ming (1368-1698), si sviluppò l'abitudine al consumo dell'oppio per pura evasione e per scopi mistici, nella ricerca di strumenti utili a facilitare gli stati meditativi nel taoismo. Questo tipo di abitudine e di consumo tuttavia rimanevano circoscritti a gruppi ben definiti di individui e non causavano quindi problemi sociali. Serie conseguenze di carattere igienico-sanitario ed economico, erano prodotte invece da un'altra sostanza d'abuso, importata dalle compagnie occidentali dal Nuovo Continente: il tabacco. La gravità del tabagismo divenne tale da indurre l'imperatore Tsung Chen a proibire, nel 1644, il commercio e l'uso del tabacco. L'abitudine al fumo però era ormai estremamente radicata nella popolazione, cosicché il provvedimento imperiale ebbe per effetto l'avvio di una ancor più grave epidemia, quella dell'abuso di oppio. Nel 1729, l'imperatore Yung Chiang tentava di contrastare la piaga dell'oppio emanando una legge che ne proibiva l'uso e lo spaccio, pena la morte.

 

Dalla guerra tra droghe alle guerre dell'oppio

Negli stessi anni, intanto, cresceva in Inghilterra il consumo del tè, prodotto cinese praticamente sconosciuto in Europa sino al Seicento e che di colpo passava da meno di 1 milione di libbre del 1730 a oltre 10 milioni di libbre nel 1780, raddoppiando ancora nei dieci anni successivi sino ad arrivare ai 30 milioni nel 1820. Era un fenomeno preoccupante, in quanto i cinesi non apprezzavano e non importavano nessun prodotto inglese, e, facendosi pagare soltanto in argento, stavano portando le riserve inglesi di questo metallo verso l'esaurimento. Soltanto un prodotto inglese sembrava interessare i cinesi: l'oppio della vicina India. Di conseguenza, nonostante il bando, grazie ad un generalizzato sistema di corruzione dei funzionari cinesi e alla estrema tolleranza, se non del favore della corte imperiale, l'Inghilterra iniziava la conquista commerciale del mercato illegale d'oppio in Cina. La sfida economica tra tè ed oppio si risolteva a favore di quest'ultimo. Non casualmente, la più elevata attività neurofarmacologica dell'oppio rispetto al tè si era tradotta in un più grande valore commerciale.

Così, nel volgere di alcuni anni, il peso dell'oppio portava, prima in pareggio, quindi a favore dell'Inghilterra, la bilancia commerciale dei due imperi. La narcotica densità dell'oppio, però, stava schiacciando anche la società cinese. Nelle atmosfere fumose si abbandonavano stupefatti i membri della famiglia imperiale, gli eunuchi di corte, gli alti funzionari, ed anche gli ufficiali e i soldati della guardia della città segreta. Ma l'oppio imponeva il suo spietato principio di uguaglianza e il suo fumo scendeva giù nella scala sociale investendo la burocrazia più bassa, conquistando i meno oziosi mercanti, rendendo intere compagnie inabili ai più elementari compiti militari, decretando la rovina dei già poveri portantini e barcaioli.

Negli ultimi anni del Settecento, le esportazioni d'oppio della Compagnia Inglese delle Indie erano passate da 280 tonnellate a 2800; la Cina contava 10 milioni di oppiomani. ll tedesco Hartwich, che studiava attentamente il traffico dell'oppio verso la Cina, rivelava l'impressionante progressione del passaggio dell'oppio indiano dal porto di Canton: 60 tonnellate nel 1767, 170 nel 1781, 240 nel 1800.

La gravità della situazione convinceva l'imperatore ad esigere nel 1793 l'applicazione delle severe, quanto ignorate, sanzioni previste per gli spacciatori e i consumatori. Nel 1799 e nel 1800, venivano quindi inasprite le pene per lo spaccio e il consumo: bastonate, messa alla berlina, taglio del labbro superiore, deportazione e confisca dei beni. Il giro di vite sul traffico ebbe come unico risultato un eccezionale balzo in avanti del commercio d'oppio: l'ennesima riprova storica dell'effetto promozionale che i divieti sembrano avere sul consumo di droghe. Le statistiche di Hartwich citate sopra davano:180 tonnellate nel 1805 (flessione dovuta al calo delle quantità d'oppio registrate), quindi 730 nel 1825, oltre 1000 nel 1830, 1800 tonnellate d'oppio nel 1835.

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L'aumento dei guadagni ottenibili con lo spaccio dell'oppio in condizioni di illegalità e la corruzione avevano, infatti, annullato ogni possibilità e volontà di controllo e repressione, tanto che si cominciò a prospettare la regolamentazione del traffico come ultima risorsa contro l'oppiomania. Il dibattito che doveva sorgere su questo tema era fatalmente destinato a risolversi a favore dei proibizionisti, schiera maggioritaria e multiforme, che accorpava burocrati, mandarini, trafficanti, ufficiali di polizia, uniti in difesa del divieto ufficiale e delle tangenti segrete. L'unica via percorribile era allora quella del contrasto del traffico e questa strada fatalmente collideva con gli interessi dei «diavoli stranieri», come i cinesi avevano ribattezzato i sudditi della regina Vittoria.

Così, nel 1840, prendendo a pretesto la distruzione di un ingente quantitativo d'oppio, gli inglesi attaccavano la Cina e in due anni la costringevano alla resa. Il trattatto di Nanchino, con il quale si chiudeva la cosiddetta guerra dell'oppio, stabiliva la cessione perpetua di Hong Kong alla Gran Bretagna, l'apertura dei porti cinesi al commercio internazionale e il pagamento da parte della Cina di 21 milioni di dollari, 6 dei quali come penale per l'oppio distrutto nel 1840. Nel 1856 scoppiava la seconda guerra dell'oppio tra Cina e Inghilterra, quest'ultima ora alleata degli USA e della Francia. Due anni più tardi, la pace di Tien-tsin segnava la resa della Cina e legalizzava il commercio dell'oppio.

Liberato dai vincoli repressivi, il mercato dell'oppio si espandeva inesorabilmente, facendo leva sulla diffusione dell'abitudine all'uso. Allo stesso tempo, però, il regime di libertà portava allo scoperto le dimensioni reali del consumo d'oppio in Cina e quindi l'autentico volume delle esportazioni inglesi della droga. Così, nel 1890, secondo le stime di Hartwich, il mercato cinese, forte di 120 milioni di fumatori abituali e 10 milioni di oppiomani, consumava circa 18.300 tonnellate (per 385 milioni di abitanti: 47 gr. a testa, bambini inclusi) di oppio. Gli immensi territori dell'Impero celeste coltivati a papavero tornavano visibili anzi si facevano più vasti per ridurre la dipendenza cinese dall'importazione, tanto che nel 1902, secondo le statistiche di Otto Zekert, la Cina da sola produceva la strabiliante quantità di 35.000 tonnellate d'oppio, circa i quattro quinti dell'intera produzione mondiale. A titolo comparativo riportiamo che, nel 1992, secondo le stime del Dipartimento di Stato americano, la produzione mondiale di oppio si aggirava intorno alle 3.700 tonnellate.

 

Il controllo e la proibizione

Il freddo cinismo dimostrato dalle potenze europee nelle Guerre dell'oppio focalizzava l'attenzione dell'opinione pubblica sulla dimensione etica del commercio di tale narcotico e dell'uso. La lente morale in tal modo applicata, tuttavia, finiva per mettere a fuoco e quindi stigmatizzare, soltanto l'oppio, contingente elemento catalizzatore di nuovi ed enormi interessi economico-politici, nel cui uso sembravano esaudirsi i pressanti bisogni sociali imposti agli uomini del mondo ottocentesco. Un cieco feticismo della sostanza, atteggiamento caratterizzante di ogni moderna lotta alle droghe, esauriva le cause dell'oppiomania nelle proprietà farmacologiche dell'oppio, negando l'orizzonte storico e sociale entro cui questa aveva preso corpo. Così, ignorando proprio la lezione della storia dell'oppio in Cina, a livello internazionale e dei singoli stati veniva intravista un'unica soluzione: controllo e proibizione.

 

Piccola storia dei provvedimenti e primi risultati epidemiologici

Il primo stato a muoversi in tal senso erano gli USA, che nel 1905 avevano varato il Pure Food and Drug Act, col quale si regolamentava la vendita dei preparati a base d'oppio, obbligando i fabbricanti a specificare la composizione dei prodotti sulle confezioni. Anche dietro questa legge a tutela dell'igiene pubblica si nascondevano interessi corporativi ed economici molto forti. In questa occasione il governo statunitense fu pesantemente appoggiato dai farmacisti e dai medici, che da circa un secolo traevano dalla vendita dell'oppio ingenti guadagni, e che quindi avevano interesse ad impedire il tradizionale libero commercio delle cosiddette patent medicines, preparati la cui composizione restava ignota e la cui vendita avveniva quindi senza mediazione istituzionale.

Nel 1909, gli USA vietavano l'importazione e l'uso dell'oppio per impieghi che non fossero quelli medico-scientifici. Lo stesso anno, per iniziativa del presidente Roosevelt si svolgeva la conferenza mondiale di Shangai che per una serie di contrasti di natura economica tra gli stati partecipanti non riuscì ad andare oltre inutili compromessi e all'accordo di una maggiore collaborazione internazionale per le limitazioni del consumo di oppiacei.

Nel gennaio 1912, all'Aja, dopo accanite lotte tra Inghilterra e Germania, quest'ultima prima produttrice mondiale dei derivati dell'oppio, veniva ratificata la Convenzione internazionale sull'oppio con la quale si sottoponeva l'uso dell'oppio e degli oppiacei al controllo medico, rendendone obbligatoria la prescrizione.

Conformandosi alle direttive della Convenzione dell'Aja, gli USA adottavano nel 1914 l'Harrison Narcotic Act, che prevedeva la registrazione e il pagamento di un'imposta per tutti coloro, produttori, venditori e medici, che trattavano le sostanze incluse nella tabella. Nello stesso periodo, leggi di impianto proibizionistico o volte al controllo venivano venivano progressivamente emanate da tutti gli stati europei. Dopo la prima guerra mondiale, la neonata Società delle Nazioni nominava un Permanent Central Narcotics Board. Questo organo internazionale di controllo del traffico di droga, PCB nella sigla abbreviata, fu immediatamente sedotto dal vorticoso giro finanziario attivo intorno alle droghe, tanto che sull'acronimo venne coniato un nome moralmente più appropriato: Perfect Corruption Board.

I risultati delle scelte operate nelle sedi nazionali ed internazionali erano chiaramente leggibili nei dati sul problema. A livello mondiale la produzione e il consumo di oppio continuava a crescere in maniera irrefrenabile. Louis Lewin, ad esempio, rendeva noto che in Germania, dal 1920 - anno di introduzione del proibizionismo - al 1925, l'importazione dell'oppio era raddoppiata. Nella Cina del 1946, dopo l'introduzione del monopolio statale del commercio d'oppio del 1927 e l'ordine dato nel 1941 da Chiang Kai-shek di distruggere totalmente le coltivazioni di papavero, si potevano contare 40 milioni di oppiomani.

Nel 1921 l'Ufficio Superiore di Igiene comunicava che gli USA importavano circa 1700 tonnellate di oppio per un consumo pro capite di 2,5 grammi. I provvedimenti per il controllo avevano trasformato in criminali quell'1% della popolazione avviato alla dipendenza da oppiacei dall'uso indiscriminato e dalla promozione dell'oppio e dei suoi derivati fatta dalla classe medica per tutto l'Ottocento. Ad esempio, dal 1918 al 1921 il numero dei prigionieri imputati di uso illegale d'oppio nella prigione governativa di New York cresceva del 789%. Decine di migliaia di medici e di farmacisti vengono citati in giudizio e condannati per aver prescritto e venduto oppiacei a eroinomani.

Tuttavia, già nel 1915, si erano levate rare voci di protesta contro l'Harrison Act. In un editoriale della rivista American Medicine denunciava: «Il problema dei narcotici è un problema medico molto serio. La nuova legge invece che migliorarlo, l'ha peggiorato. I medici hanno trovato pericoli così gravi nelle varie norme [...] che hanno deciso di stare il più lontano possibile da ogni tossicomane e dai suoi bisogni di cura. Di conseguenza i tossicomani sono costretti a procurarsi i narcotici di cui hanno bisogno nel mondo della malavita [...] Il mercato illegale sta crescendo [...] Abbiamo ottenuto il risultato di gettare dei cittadini bisognosi di assistenza medica nelle mani dei criminali [...] Giovani donne e ragazze assuefatte ai narcotici senza loro colpa, sono costrette a frequentare case di malaffare dove rifornirsi di droga.» Dello stesso tono era un famoso articolo del 1925 di Robert Schless: «Ritengo che la maggior parte dei casi di tossicomania siano oggi dovuti all'Harrison Narcotics Act, che proibisce la vendita di stupefacenti senza una ricetta medica [...] I drogati che si trovano al verde si comportano da agenti provocatori degli spacciatori (dealers), e vengono ricompensati con il regalo di un po' d'eroina o con la promessa di venirne riforniti. L'Harrison Act ha creato lo spacciatore e lo spacciatore crea i tossicomani.»

Anche il Congresso notava l'insuccesso dell'Harrison Act e nel 1918 costituiva una commissione di inchiesta presieduta dal direttore del Servizio Sanitario Pubblico. La relazione, frutto di un anno di lavoro, evidenziava il mancato calo dei consumatori, attestato costantemente sul milione di persone, e rimarcava l'ampliamento del mercato illegale e la creazione di complesse organizzazioni criminali per il traffico. I risultati illustrati dalla commissione di inchiesta ridavano voce alle istanze liberali ed antiproibizioniste. La reazione di alcuni parlamentari e soprattutto dei burocrati dell'ufficio narcotici del Dipartimento del Tesoro fu però dura e sostenuta da un vasto consenso popolare, tanto da riuscire non solo a contrastare gli antiproibizionisti ma ottenere anche un inasprimento del discusso Harrison Act, con la proibizione della fabbricazione dell'eroina negli USA.

 

Opinione pubblica e ruolo degli apparati legati al problema delle droghe

Questo particolare passaggio della politica delle droghe americana mette in rilievo altri due fili essenziali della intricata ed eterogenea trama di cui è tessuto il problema dell'oppio e delle tossicomanie in generale: l'opionione pubblica e gli apparati (istituzioni, enti, organizzazioni pubbliche o private) che ruotano, con le più svariate funzioni e finalità, intorno alle droghe.

Modellandosi sulle immagini diffuse dai mezzi di comunicazione, l'opionione pubblica inevitabilmente le riconosce come vere e valide, e si conforma, così, in maniera più o meno consapevole, all'universo dei valori e alle scelte dei gruppi di potere che di volta in volta controllano i media, di solito gli stessi gruppi che contemporaneamente governano la politica e l'economia.

Dalla fine dell'Ottocento, la stampa americana iniziava un processo di radicale riformulazione dell'immagine dell'oppio, da farmaco miracoloso a droga distruttiva. Questa revisione era legata al difficile processo di inserimento sociale e lavorativo della grande comunità cinese all'epoca appena immigrata negli USA. I cinesi erano accusati di lavorare sottocosto, senza tutele e coperture sanitarie, senza orari. Così gli imprenditori denunciavano la concorrenza sleale degli asiatici, e le organizzazioni sindacali il pericolo della sottrazione di lavoro agli americani (diversi dai cinesi soltanto perché immigrati prima) e dello scadimento delle condizioni di lavoro e dei pochi diritti acquisiti.

Anche a causa degli USA, che ne avevano preteso la liberalizzazione alla fine della seconda Guerra dell'oppio, i cinesi fumavano molto oppio. La campagna anticinese si concentrava quindi su questa pratica e il razzismo contro una popolazione diventava razzismo farmacologico. Numerose pubblicazioni descrivevano storie di criminali cinesi specializzati nell'adescare ragazzini e ragazzine bianche per renderli oppiomani e schiavi. Così il Congresso emanava nel 1887 un bizzarro provvedimento con cui si proibiva l'importazione dell'oppio ai cinesi ma non agli americani, un fulgido esempio di discriminazione legale. Nel 1912, la letteratura di consumo popolare partoriva addirittura un personaggio che incarnava la mitologia del razzismo anticinese, il Dottor Fu Manchu dei romanzi di Sax Rohmer, di cui fu fatta la trasposizione cinematografica, che aveva progettato di conquistare il mondo dei bianchi usando le droghe.

La regolamentazione e la proibizione dell'oppio avevano fatto nascere la burocrazia e gli apparati preposti alla prevenzione, al controllo e alla lotta alle droghe. Si sottovaluta costantemente la parte svolta nell'evoluzione del problema delle tossicomanie da questi apparati, come quella che abbiamo sopra brevemente descritto nel caso dell'inasprimento dell'Harrison Act. Eppure la storia è ricchissima di esempi come questo, che dimostrano come questi apparati una volta istituiti tendano, quasi biologicamente, ad assicurasi un'esistenza indefinita, posizioni di potere e ricchezza economica sempre più vaste: finalità evidentemente inconciliabili con gli scopi istituzionali per cui tali organismi sono creati. Tenendo presente questo perverso meccanismo delle burocrazie e degli organismi sociali in generale si riesce forse a spiegare più facilmente perché il consumo di droga possiede ancora dimensioni epidemiche (per certi versi più preoccupanti del passato) a dispetto della mobilitazione sociale, del biasimo pubblico, della crescita esponenziale dei finanziamenti pubblici e privati assorbiti da organi nazionali ed internazionali di contrasto, repressione, prevenzione, ricerca e cura delle tossicodipendenze.

Il controllo del traffico d'oppio, infine, aveva reso più allettante lo smercio della morfina e dell'eroina, droghe meno vistose e voluminose ed estremamente più potenti del succo caro a Demetra e a Marco Aurelio. In Francia, in Germania, negli USA, in Giappone dilagava la mania della morfina, mentre gli osservatorii nazionali ed internazionali registravano l'alba sinistra di una forma più devastante di tossicodipendenza sorgere da un altro derivato dell'oppio, un farmaco "eroico" che la Bayer aveva commercializzato nel 1898 per la disintossicazione dei morfinomani: l'eroina.

Bibliografia

Seefelder, Matthias, Oppio. Storia di una droga dagli Egizi a oggi, Garzanti, Milano, 1990

Lewin, Louis, Phantastica, Vallardi, Milano, 1928

Schless, Robert, «The drug addict», American Mercury, 4 febbraio 1925

Inglis, Brian, The opium war, Hodder & Stoughton, London, 1976

Blumir, Guido, Eroina. Storia e realtà scientifica, Feltrinelli, Milano, 1983

Premuda, Loris, «Storia dell'oppio in medicina», Acta Medicae historiae patavina, 1987-88, 34.

Szasz, Thomas, Il mito della droga, Feltrinelli, Milano, 1991

Parsinnen, T. M., Secret passion, secret remedies. Narcotic drugs in british society: 1820-1830, University Press, Manchester, 1983

Zekert, Otto, Opiologia, Vienna, 1956

 

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