Stefano Canali, storico della scienza e
divulgatore scientifico, ha pubblicato vari lavori sulla storia delle droghe e delle
neuroscienze, tra cui Alter Ego. Droga e cervello, Edizione dell'Universita' degli Studi
di Cassino (tradotto in quattro lingue), La ricerca biomedica nel Novecento, in Storia
della Scienza Einaudi. E' autore di audiovisivi scientifici tra cui "La Droga e i
suoi effetti sul cervello" distribuito da Le Scienze - Scientific American.
L'oppio è la droga che più segna la storia della civiltà occidentale e probabilmente
l'evoluzione della cultura umana nel suo complesso. Elemento centrale delle pratiche
magiche, religiose, mediche, dei rituali sociali, del divertimento e dell'evasione, quindi
della dimensione economica e politica, l'oppio ha rappresentato una sorta di specchio in
cui si sono riflettute, intrecciandosi, le immagini del sacro, le idee dell'uomo, le
dottrine cliniche, le ideologie politiche ed economiche. Per questo, la storia dell'oppio
è il racconto di un oggetto estremamente mutevole e polimorfo, in cui gli aspetti
concettualmente più diversi si influenzano determinandosi l'un l'altro. Azione
farmacologica e valore economico, tossicità e significato culturale, effetti soggettivi,
sociali e sistemi politici, presenza delle istituzioni, un groviglio di dimensioni
difficilmente districabili che ancora oggi condiziona pesantemente la comprensione delle
diverse nature del problema oppio. Un viluppo confuso di significati che è servito a
molti per evocare fantasmi, pericoli, paradisi, guarigioni, serenità assolute e ogni
altra cosa si considerasse utile a conseguire finalità specifiche come il guadagno,
l'affermazione commerciale, il prestigio sociale, il potere, l'ottenimento di
finanziamenti, la marginalizzazione di una minoranza etnica o sociale e altro ancora.
La storia antica
Babilonesi ed Egizi
La storia scritta dell'oppio coincide con l'alba della scrittura, a testimonianza della
presenza del succo di papavero sino alle origini della civiltà. Su una tavola di argilla
ritrovata a Ninive e risalente al 2700 a.C., dove si elencavano le piante medicinali
assiro-babilonesi, era riportato l'uso di una "droga bruna" e della "figlia
del papavero di campo". Secondo alcuni linguisti, l'ideogramma qui usato, Hul Gil,
deve tradursi con "pianta della gioia", un significato che dimostrerebbe come in
questa antica civiltà si fosse già così bene individuato il potente effetto psicoattivo
di tale sostanza.
In uno dei papiri di Ebers, databile intorno al 1550 a.C., invece è presente la
descrizione di un preparato a base d'oppio, grani di pianta Shepenn ed escrementi
di mosca, utile come medicamento e come calmante per i bambini. L'Egitto fu una delle
tappe fondamentali per la diffusione dell'oppio verso Oriente e in seguito nel bacino del
Mediterraneo. Dall'Egitto, infatti, la coltivazione del papavero si estendeva all'Asia
minore. L'importanza che l'oppio ebbe in questa regione è peraltro attestata da alcuni
toponimi. Esisteva, ad esempio, una città, Afrorum Kara Hissar, il cui nome significava
"Fortezza nera dell'oppio".
Greci e Romani
Dall'Asia minore l'uso dell'oppio si diffuse infine nella culla della cultura
Occidentale, in Grecia e da qui infine a Roma. Gli effetti dell'oppio erano molto ben
conosciuti dai naturalisti greci e romani, come testimoniano le opere di Teofrasto, Plinio
e Dioscoride, tanto che vi era già qualcuno che ne sconsigliava l'uso, come Erasistrato.
L'oppio era poi usato nei culti ufficiali, come quello di Demetra. Il mito racconta come
la dea della terra feconda, sorella di Zeus, usasse il papavero per alleviare il dolore
provocatole dal rapimento della figlia Persefone. Per questa ragione, il papavero veniva
collocato immancabilmente tra le spighe di grano che Demetra tiene in mano nelle
raffigurazioni, veniva usato nelle decorazioni dei suoi altari e costituiva l'insegna
delle sue sacerdotesse. Il papavero è spesso presente nelle mani di Morfeo, dio del
sonno, mentre Nyx, dea della notte, dispensava papaveri agli uomini. Anche Hermes, in
talune rappresentazioni, si fa avanti con un papavero, quando arriva a recare il sonno
ristoratore e la fantasia dei sogni.
L'oppio era presente in moltissimi tipi di pozione (teriaca) messi a punto dai
medici greci e romani. Nel philonium di Filone di Tarso, usato per le coliche e la
dissenteria, che conteneva zafferano, piretro, euforbia, pepe bianco, giusquiamo,
valeriana, oppio e miele; nel diacodion di Temisio di laodicea, composto da capsule
di papavero, mirto, ipocisti e miele; nel catapotium di Aulo Cornelio Celso, un
calmante preparato con calamo, semi di ruta, castoreo, cinnamono, oppio, mandragola, mele
secche, loglio e pepe. La teriaca più famosa ed usata fu tuttavia quella elaborata da
Andromaco il Vecchio, un cretese, medico alla corte di Nerone: il galenos (soave).
Questa pozione conteneva oltre all'oppio altri sessantatre ingredienti, tra cui la carne
di vipera. La preparazione del galenos era piuttosto complicata e doveva essere
eseguita seguendo un procedimento estremamente accurato. Gli ingredienti di questa
teriaca, che provenivano da tutti i paesi del mondo allora conosciuto, venivano rimestati
e mescolati per settimane, per esser poi lasciati invecchiare almeno dodici anni.
Il galenos era raccomandato come una infallibile panacea. Il più grande medico
dell'antichità romana, Galeno, prescriveva tale pozione diluita in alcool, per una serie
incredibile di disturbi, tra cui sintomi di avvelenamento, cefalee, sordità, problemi di
vista, epilessia, febbre, sordità e lebbra. Con questa pozione, stemperata in abbondanti
dosi di miele, Galeno curò il più eminente dei suoi pazienti, l'imperatore Marco
Aurelio, sino a farlo divenire dipendente dall'oppio, come testimoniano i resoconti
clinici compilati dal medico. Secondo un interprete, l'oppiomania di Marco Aurelio si
rivelerebbe in alcune immagini dei Ricordi, specialmente in quelle che descrivono
l'infinità essenziale del tempo e dello spazio, o in quelle in cui si intende enfatizzare
i limiti e le bizzarrie della percezione umana.
Al galenos fecero ricorso anche Nerva, Traiano; Adriano, che lo usò per
sopportare il dolore della scomparsa del suo amato Antinoo; Tito, che forse morì per
averne assunta in dose eccessiva e Cornelio Nepote, che confessò di essersene servito per
uccidere il padre.
Dal Medioevo alla fine del Rinascimento
L'oppio diveniva quindi un elemento fondamentale della farmacopea della grande scuola
medica araba. In essa si approfondirono in maniera sistematica le osservazioni e le
indagini sugli effetti di questa sostanza, a tal punto che il filosofo e medico Avicenna
(980-1036), la cui morte si ipotizza dovuta ad un'eccessiva dose di oppio, nel Canone
arrivava finalmente a gettar luce anche sui danni psicologici e fisiologici provocati dal
derivato del papavero e a descrivere chiaramente per la prima volta il fenomeno della
dipendenza.
La tradizione araba filtrava poi nella medicina occidentale, favorendone la rinascita e
con essa veniva riscoperto l'uso dell'oppio. Nella scuola medica salernitana, dove si
operò la saldatura con l'antica medicina greco-romana e si inaugurò per la prima volta
nell'Europa medievale l'insegnamento medico, si tenevano in gran conto le virtù
anestetiche di una spongia somnifera imbevuta d'oppio, giusquiamo, mandragola e
canapa.
Nello stesso periodo l'oppio veniva assunto dagli alchimisti per stimolare la
creatività e l'immaginazione necessarie alla realizzazione della "grande
opera", nella ricerca della pietra filosofale e dell'acqua di gioventù. Lo stesso
Paracelso, il principe degli alchimisti, attribuiva i suoi successi ad un preparato a base
d'oppio, il laudano, che egli stesso aveva elaborato a partire da un elettuario del medico
veronese Fracastoro: «Io possiedo un farmaco arcano che è superiore a ogni cosa
mortale».
Thomas Sydenham, uno dei più grandi medici inglesi del secondo Seicento definiva
l'oppio «la santa ancora della vita» e a proposito dei suoi derivati egli scriveva:
«Non posso trattenermi dal ricordare con gratitudine la bontà dell'Essere Supremo, che
li ha dati all'umanità come sollievo; nessun altro rimedio è altrettanto potente nello
sconfiggere un gran numero di malattie, o addirittura nello sradicarle». Un allievo di
Sydenham, Thomas Dover, elaborava un preparato contro la gotta a base d'oppio, liquirizia,
salnitro e ipecacuanha, la polvere di Dover, che diveniva uno dei farmaci più usati del
XVII secolo. La polvere di Dover andava sciolta in un bicchiere di latte caldo cagliato
con vino bianco e presa prima di andare a letto. «Coprendosi bene e bevendone dalle due
alle tre pinte, in modo da sudare molto, in due o tre ore al massimo, il paziente non
avvertirà più il dolore», assicurava la formula illustrativa scritta da Dover stesso.
L'oppio nell'era moderna
Nel Settecento l'Inghilterra aveva indiscutibilmente il primato europeo del consumo
d'oppio. La diffusione dell'oppio aveva normalizzato il suo uso ed il ricco mercato che vi
era cresciuto intorno premeva per ottenere la giustificazione e la promozione del consumo
da parte della classe medica.
Dalla rivoluzione scientifica della metà del '600, l'inizio dell'era che Max Weber
definiva "età del disincanto del mondo", la classe medica era diventata
estremamente più influente ed autorevole in campo sociale di quanto fosse mai stata nel
passato. La progressiva naturalizzazione dell'uomo infatti permetteva ora al medico di
pronunciarsi sulla natura della sfera psichica, comportamentale e morale, definendone più
o meno razionalmente i territori della normalità e della patologia, conquistando quegli
spazi sociali, "politici", e quindi quelle attenzioni da parte dei centri del
potere (politico ed economico) che prima competevano esclusivamente alla chiesa.
Le teorie mediche
Questo processo storico forse può spiegare perché tante accreditate teorie mediche si
affermassero a partire dalla fine del '600 in Inghilterra. La prima esposizione
"scientifica" sulla natura e sugli effetti dell'oppio era quella fatta nel 1701
dal dottor John Jones nel libro The Mysteries of Opium Reveal'd. In esso,
prodigiosa opera promozionale dell'oppio, l'autore affermava che il succo del papavero
sonnifero poteva guarire quasi ogni malattia e calmare tutti i tipi di dolore: tosse,
catarro, febbre, reumatismi, coliche, addirittura fratture, vaiolo, colera e peste! I
pochi avvertimenti che Jones dava sugli effetti collaterali, sulla dipendenza e sulla
condizione dell'astinenza, svanivano di fronte alla esaltata descrizione delle eccezionali
virtù euforizzanti dell'oppio, capaci di acquietare ogni ansia, cancellare la più
straziante disperazione, portare gioie incantate, come nessun altro piacere terreno.
Medici famosi come William Cullen e lo scozzese John Brown adottavano acriticamente la
dottrina farmacologica di Jones e consigliavano la somministrazione dell'oppio per la
terapia dei mali più disparati: tetano, tifo, cancro, colera, malaria, reumatismi e così
via. Brown, che negli Elementi di medicina aveva definito la salute come equilibrio
tra i principi vitali di eccitabilità e passività, riteneva che la natura degli effetti
benefici dell'oppio, dipendesse dalla capacità di questa sostanza di ovviare, invero
prodigiosamente, agli eccessi di sonnolenza e all'ipereccitazione allo stesso tempo.
In maniera forse più appropriata, ma ancora del tutto empirica, Cullen prescriveva
l'oppio come sedativo, per curare le condizioni di "eretismo".
La Rivoluzione industriale e l'avvio dell'epidemia d'abuso d'oppio
Con l'avviarsi della Rivoluzione industriale, in Inghilterra si registrava una vera e
propria esplosione del consumo di oppio, che doveva successivamente investire tutta
l'Europa e gli Stati Uniti ed essere in buona parte imposta, per evidenti ragioni
economiche, alle colonie europee negli altri continenti. L'uso di tale droga perdeva il
carattere endemico che aveva sempre avuto nella storia e che dava luogo a situazioni molto
simili a quelle che si verificano oggi per l'uso dell'alcool in paesi come il nostro, con
consumatori occasionali e sporadici, individui farmaco-dipendenti che tuttavia erano
socialmente accettati e che continuavano ad avere una vita di relazione nei canoni della
normalità ed infine gruppi significativamente piccoli di tossicomani completamente
dipendenti ed asserviti alla droga, ma che nonostante ciò non rappresentavano un grave
pericolo sociale, data la loro scarsa consistenza numerica.
La coincidenza tra avvio della Rivoluzione industriale e inizio dell'epidemia
dell'abuso di oppio e dei suoi derivati non fu certo casuale e si può spiegare
riconducendola ai profondi cambiamenti d'ordine generale dell'economia e delle società di
quel periodo. Questa critica congiuntura storica, infatti, esaltava la tendenziale
dinamica espansiva del mercato dell'oppio, generando una crescita esponenziale
dell'offerta e della domanda. L'aumento dell'offerta veniva sostenuto dalla travolgente
affermazione del capitalismo nell'economia europea e dall'asservimento dei fattori di
produzione e dei mercati coloniali alle ragioni del capitale europeo, quest'ultimo
fenomeno in particolare aveva drasticamente abbassato i prezzi di produzione dell'oppio.
Ma anche l'industrializzazione della medicina, l'ingresso della farmacia nell'economia di
mercato concorrevano in maniera determinante alla crescita dell'offerta d'oppio nel
mercato delle droghe.
L'aumento della domanda d'oppio, invece, corrispondeva a penosi bisogni sociali,
trovava ragione in funeste "utilità" improvvisamente necessarie ad una
popolazione sdradicata, vessata, e alla disperata ricerca di un nuovo adattamento
all'urbanesimo allo sconvolgimento del paesaggio rurale, delle abitudini, dei modi e dei
tempi della vita quotidiana e del lavoro. Espansione dell'offerta e crescita della domanda
venivano infine perversamente alimentate dalle peculiari proprietà farmacologiche
dell'oppio, capaci di produrre tolleranza e dipendenza nei consumatori e quindi
determinare l'obbligo e l'aumento del consumo.
Nei paesi europei dove più vistosa era stata l'affermazione della rivoluzione
industriale, l'oppio veniva usato dalla popolazione, praticamente priva di assistenza
sanitaria, per scopi di automedicazione, per combattere il dolore ed ignorando totalmente
che alla lunga tali sostanze avrebbero prodotto sull'organismo danni superiori a quelli
che con esse tentava di curare. L'oppio non era usato soltanto come analgesico, ma anche,
e soprattutto, come l'alcool, a scopo di evasione. Soprattutto in Inghilterra, l'oppio
faceva bella mostra di sé il sabato pomeriggio sui banchi delle drogherie negli squallidi
sobborghi industriali e veniva venduto a prezzi dalle cinque alle dieci volte più bassi
di quelli della birra e dell'alcool. In maniera più o meno deliberata, l'oppio era stato
trasformato in una sorta di "droga di stato" con cui l'amministrazione inglese
tentava di curare i sintomi delle diverse patologie insorte nel corpo sociale come
conseguenza delle colossali e brusche trasformazioni imposte dalla rivoluzione
industriale.
Medicina ed economia dell'oppiomania ottocentesca
Come era già accaduto all'inizio del '700, la classe medica si impegnò a
"normalizzare", giustificare, quindi incoraggiare il consumo dell'oppio,
sostanza sedativa, e per questo, peraltro, ritenuta socialmente meno pericolosa
dell'alcool, la cui ebbrezza spesso trascina invece alla violenza. La progressione
esponenziale del numero di pubblicazioni sull'oppio dal '700 in poi dimostra
eloquentemente l'impegno dei medici in questo senso. Tra '500 e '600, in due secoli, la
letteratura medica occidentale aveva fatto uscire una quindicina di studi sull'oppio,
numero che nel solo secolo dei lumi si triplica, letteratura che diventa infine
difficilmente quantificabile nell'Ottocento, secolo in cui non passa anno senza almeno la
pubblicazione di una monografia dedicata all'oppio.
Promozione medica ed invasione del mercato di un agente psicoattivo così potente come
l'oppio a prezzi estremamente favoreli inducevano l'esplosione del consumo d'oppio, tanto
che l'oppiomania si diffuse presto come una vera piaga sociale, raggiungendo e superando
per gravità il fenomeno dell'alcolismo.
Gli interessi commerciali e l'avvio della produzione di farmaci a livello industriale
inoltre favorirono contemporaneamente un'impressionante proliferazione ed incremento
produttivo di rimedi a base d'oppio, la diffusione della loro pubblicità e la
capillarizzazione del sistema di vendita. Sciroppi, cordiali, polveri, dai nomi familiari
ed accattivanti (lo sciroppo dolce della signora Winslow, L'elisir all'oppio di McMunn, il
Cordiale Godfrey, Lo Cherry di Ayer e così via) e dalle confezioni appariscenti venivano
reclamizzati su giornali e riviste, venduti per posta o direttamente dai medici, mentre
nelle farmacie i preparati a base d'oppio rappresentavano il prodotto più acquistato.
Questa convergenza di interessi determinava quindi una rapida estensione del consumo
dell'oppio e dei suoi derivati anche ai ceti sociali più agiati del proletariato. Negli
Stati Uniti l'oppio diventava una sostanza d'abuso tipica della borghesia e soprattutto
del sesso femminile, cui era prescritta per dolori mestruali, malattie veneree,
depressione, disturbi d'ansia.
Le dimensioni dell'oppiomania nelle nazioni industrializzate
Le dimensioni della narcotizzazione di massa delle nazioni occidentali ottocentesche a
rapida industrializzazione, come l'inglese e la nordamericana, e degli stati sottoposti al
loro impero coloniale o commerciale si delineano chiaramente e drammaticamente nelle
statistiche sanitarie e nei dati della commercializzazione dell'oppio propri dell'epoca.
Nel 1830 l'Inghilterra importava 50.000 kg. d'oppio, quantità che quadruplica nel corso
dei trent'anni successivi. Una ricerca condotta a Coventry rivelava che in città si
acquistavano settimanalmente quasi 38 litri di Cordiale Godfrey, il prodotto da banco a
base d'oppio concepito per i bambini più utilizzato nell''800, una quantità sufficiente
per 12.000 dosi presumibilmente somministrate ai 3000 bambini sotto i due anni lì
residenti.
Il Cordiale Godfrey è al centro di un altro agghiacciante abuso epidemico di minori.
Il secondo rapporto della Commissione d'inchiesta sul lavoro minorile e dei bambini,
pubblicato nel 1843, citava la testimonianza del medico legale di Nottingham, secondo la
quale un farmacista della città aveva preparato e venduto in un anno tre tonnellate di
sciroppo Godfrey's Cordial: un quantitativo per oltre tre milioni di dosi. Un caso
comunque non eccezionale, se si considera che una ricerca sulla salute pubblica inglese
nel XIX secolo denunciava che una farmacia mediamente vendeva nel corso dell'anno, in
sciroppi, tinture e pillole, 90 kg. d'oppio, una quantità dalla quale si ricavano circa 9
kg. di eroina, ovvero 90.000 dosi medie pure, non tagliate.
Le stime dell'amministrazione sanitaria statunitense nella seconda metà dell'Ottocento
fissano un'oscillazione piuttosto ampia. Secondo la stima più bassa, un americano su
cento era dipendente dall'oppio e dai suoi derivati, le valutazioni più pessimistiche
invece davano una proporzione di uno a venti. Un quadro che oggi definiremmo apocalittico,
visto che negli Stati Uniti le odierne stime dell'incidenza dei soggetti dipendenti agli
oppioidi rispetto alla popolazione generale vanno da uno a 200 all'ottimistico uno a 500.
I dati sul commercio e l'uso dell'oppio nell'Ottocento in Cina sono ancora più
impressionanti e dimostrano ancora una volta come il ruolo svolto dai fattori economici e
politici sul consumo delle sostanze psicoattive e sulla dipendenza alle droghe sia
peponderante sui fattori di carattere biofarmacologico. È impossibile comprendere,
quindi, la drammatica oppiomania cinese del secolo scorso senza conoscere le vicende della
guerra dell'oppio, vicende che rappresentano una delle pagine più vergognose della
stagione dell'imperialismo europeo.
Le guerre dell'oppio
Centro di un impero dove non tramontava mai il sole, l'inghilterra controllava i
traffici internazionali e monopolizzava il mercato mondiale dell'oppio, riservandosi la
fetta più consistente del gigantesco ed ancora legale affare legato al bruno succo di
papavero. Per difendere questi cospicui interessi economici l'Inghilterra non esitò a
scatenare vittoriosamente i reali eserciti contro la Cina, nella guerra dell'oppio
(1840-42). Le tensioni da cui originò la guerra dell'oppio erano in realtà molte di più
e molto più antiche ed inoltre curiosamente legate all'economia e ai flussi commerciali
di altre due sostanze psicotrope: il tabacco e il tè.
Mille anni di oppio in Cina
La presenza dell'oppio in Cina era documentata sin dall'VIII secolo, sebbene di esso si
facesse soltanto uso terapeutico. Più tardi, a partire dal primo periodo della dinastia
Ming (1368-1698), si sviluppò l'abitudine al consumo dell'oppio per pura evasione e per
scopi mistici, nella ricerca di strumenti utili a facilitare gli stati meditativi nel
taoismo. Questo tipo di abitudine e di consumo tuttavia rimanevano circoscritti a gruppi
ben definiti di individui e non causavano quindi problemi sociali. Serie conseguenze di
carattere igienico-sanitario ed economico, erano prodotte invece da un'altra sostanza
d'abuso, importata dalle compagnie occidentali dal Nuovo Continente: il tabacco. La
gravità del tabagismo divenne tale da indurre l'imperatore Tsung Chen a proibire, nel
1644, il commercio e l'uso del tabacco. L'abitudine al fumo però era ormai estremamente
radicata nella popolazione, cosicché il provvedimento imperiale ebbe per effetto l'avvio
di una ancor più grave epidemia, quella dell'abuso di oppio. Nel 1729, l'imperatore Yung
Chiang tentava di contrastare la piaga dell'oppio emanando una legge che ne proibiva l'uso
e lo spaccio, pena la morte.
Dalla guerra tra droghe alle guerre dell'oppio
Negli stessi anni, intanto, cresceva in Inghilterra il consumo del tè, prodotto cinese
praticamente sconosciuto in Europa sino al Seicento e che di colpo passava da meno di 1
milione di libbre del 1730 a oltre 10 milioni di libbre nel 1780, raddoppiando ancora nei
dieci anni successivi sino ad arrivare ai 30 milioni nel 1820. Era un fenomeno
preoccupante, in quanto i cinesi non apprezzavano e non importavano nessun prodotto
inglese, e, facendosi pagare soltanto in argento, stavano portando le riserve inglesi di
questo metallo verso l'esaurimento. Soltanto un prodotto inglese sembrava interessare i
cinesi: l'oppio della vicina India. Di conseguenza, nonostante il bando, grazie ad un
generalizzato sistema di corruzione dei funzionari cinesi e alla estrema tolleranza, se
non del favore della corte imperiale, l'Inghilterra iniziava la conquista commerciale del
mercato illegale d'oppio in Cina. La sfida economica tra tè ed oppio si risolteva a
favore di quest'ultimo. Non casualmente, la più elevata attività neurofarmacologica
dell'oppio rispetto al tè si era tradotta in un più grande valore commerciale.
Così, nel volgere di alcuni anni, il peso dell'oppio portava, prima in pareggio,
quindi a favore dell'Inghilterra, la bilancia commerciale dei due imperi. La narcotica
densità dell'oppio, però, stava schiacciando anche la società cinese. Nelle atmosfere
fumose si abbandonavano stupefatti i membri della famiglia imperiale, gli eunuchi di
corte, gli alti funzionari, ed anche gli ufficiali e i soldati della guardia della città
segreta. Ma l'oppio imponeva il suo spietato principio di uguaglianza e il suo fumo
scendeva giù nella scala sociale investendo la burocrazia più bassa, conquistando i meno
oziosi mercanti, rendendo intere compagnie inabili ai più elementari compiti militari,
decretando la rovina dei già poveri portantini e barcaioli.
Negli ultimi anni del Settecento, le esportazioni d'oppio della Compagnia Inglese delle
Indie erano passate da 280 tonnellate a 2800; la Cina contava 10 milioni di oppiomani. ll
tedesco Hartwich, che studiava attentamente il traffico dell'oppio verso la Cina, rivelava
l'impressionante progressione del passaggio dell'oppio indiano dal porto di Canton: 60
tonnellate nel 1767, 170 nel 1781, 240 nel 1800.
La gravità della situazione convinceva l'imperatore ad esigere nel 1793 l'applicazione
delle severe, quanto ignorate, sanzioni previste per gli spacciatori e i consumatori. Nel
1799 e nel 1800, venivano quindi inasprite le pene per lo spaccio e il consumo: bastonate,
messa alla berlina, taglio del labbro superiore, deportazione e confisca dei beni. Il giro
di vite sul traffico ebbe come unico risultato un eccezionale balzo in avanti del
commercio d'oppio: l'ennesima riprova storica dell'effetto promozionale che i divieti
sembrano avere sul consumo di droghe. Le statistiche di Hartwich citate sopra davano:180
tonnellate nel 1805 (flessione dovuta al calo delle quantità d'oppio registrate), quindi
730 nel 1825, oltre 1000 nel 1830, 1800 tonnellate d'oppio nel 1835.
L'aumento dei guadagni ottenibili con lo spaccio dell'oppio in condizioni di
illegalità e la corruzione avevano, infatti, annullato ogni possibilità e volontà di
controllo e repressione, tanto che si cominciò a prospettare la regolamentazione del
traffico come ultima risorsa contro l'oppiomania. Il dibattito che doveva sorgere su
questo tema era fatalmente destinato a risolversi a favore dei proibizionisti, schiera
maggioritaria e multiforme, che accorpava burocrati, mandarini, trafficanti, ufficiali di
polizia, uniti in difesa del divieto ufficiale e delle tangenti segrete. L'unica via
percorribile era allora quella del contrasto del traffico e questa strada fatalmente
collideva con gli interessi dei «diavoli stranieri», come i cinesi avevano ribattezzato
i sudditi della regina Vittoria.
Così, nel 1840, prendendo a pretesto la distruzione di un ingente quantitativo
d'oppio, gli inglesi attaccavano la Cina e in due anni la costringevano alla resa. Il
trattatto di Nanchino, con il quale si chiudeva la cosiddetta guerra dell'oppio, stabiliva
la cessione perpetua di Hong Kong alla Gran Bretagna, l'apertura dei porti cinesi al
commercio internazionale e il pagamento da parte della Cina di 21 milioni di dollari, 6
dei quali come penale per l'oppio distrutto nel 1840. Nel 1856 scoppiava la seconda guerra
dell'oppio tra Cina e Inghilterra, quest'ultima ora alleata degli USA e della Francia. Due
anni più tardi, la pace di Tien-tsin segnava la resa della Cina e legalizzava il
commercio dell'oppio.
Liberato dai vincoli repressivi, il mercato dell'oppio si espandeva inesorabilmente,
facendo leva sulla diffusione dell'abitudine all'uso. Allo stesso tempo, però, il regime
di libertà portava allo scoperto le dimensioni reali del consumo d'oppio in Cina e quindi
l'autentico volume delle esportazioni inglesi della droga. Così, nel 1890, secondo le
stime di Hartwich, il mercato cinese, forte di 120 milioni di fumatori abituali e 10
milioni di oppiomani, consumava circa 18.300 tonnellate (per 385 milioni di abitanti: 47
gr. a testa, bambini inclusi) di oppio. Gli immensi territori dell'Impero celeste
coltivati a papavero tornavano visibili anzi si facevano più vasti per ridurre la
dipendenza cinese dall'importazione, tanto che nel 1902, secondo le statistiche di Otto
Zekert, la Cina da sola produceva la strabiliante quantità di 35.000 tonnellate d'oppio,
circa i quattro quinti dell'intera produzione mondiale. A titolo comparativo riportiamo
che, nel 1992, secondo le stime del Dipartimento di Stato americano, la produzione
mondiale di oppio si aggirava intorno alle 3.700 tonnellate.
Il controllo e la proibizione
Il freddo cinismo dimostrato dalle potenze europee nelle Guerre dell'oppio focalizzava
l'attenzione dell'opinione pubblica sulla dimensione etica del commercio di tale narcotico
e dell'uso. La lente morale in tal modo applicata, tuttavia, finiva per mettere a fuoco e
quindi stigmatizzare, soltanto l'oppio, contingente elemento catalizzatore di nuovi ed
enormi interessi economico-politici, nel cui uso sembravano esaudirsi i pressanti bisogni
sociali imposti agli uomini del mondo ottocentesco. Un cieco feticismo della sostanza,
atteggiamento caratterizzante di ogni moderna lotta alle droghe, esauriva le cause
dell'oppiomania nelle proprietà farmacologiche dell'oppio, negando l'orizzonte storico e
sociale entro cui questa aveva preso corpo. Così, ignorando proprio la lezione della
storia dell'oppio in Cina, a livello internazionale e dei singoli stati veniva intravista
un'unica soluzione: controllo e proibizione.
Piccola storia dei provvedimenti e primi risultati epidemiologici
Il primo stato a muoversi in tal senso erano gli USA, che nel 1905 avevano varato il Pure
Food and Drug Act, col quale si regolamentava la vendita dei preparati a base d'oppio,
obbligando i fabbricanti a specificare la composizione dei prodotti sulle confezioni.
Anche dietro questa legge a tutela dell'igiene pubblica si nascondevano interessi
corporativi ed economici molto forti. In questa occasione il governo statunitense fu
pesantemente appoggiato dai farmacisti e dai medici, che da circa un secolo traevano dalla
vendita dell'oppio ingenti guadagni, e che quindi avevano interesse ad impedire il
tradizionale libero commercio delle cosiddette patent medicines, preparati la cui
composizione restava ignota e la cui vendita avveniva quindi senza mediazione
istituzionale.
Nel 1909, gli USA vietavano l'importazione e l'uso dell'oppio per impieghi che non
fossero quelli medico-scientifici. Lo stesso anno, per iniziativa del presidente Roosevelt
si svolgeva la conferenza mondiale di Shangai che per una serie di contrasti di natura
economica tra gli stati partecipanti non riuscì ad andare oltre inutili compromessi e
all'accordo di una maggiore collaborazione internazionale per le limitazioni del consumo
di oppiacei.
Nel gennaio 1912, all'Aja, dopo accanite lotte tra Inghilterra e Germania, quest'ultima
prima produttrice mondiale dei derivati dell'oppio, veniva ratificata la Convenzione
internazionale sull'oppio con la quale si sottoponeva l'uso dell'oppio e degli oppiacei al
controllo medico, rendendone obbligatoria la prescrizione.
Conformandosi alle direttive della Convenzione dell'Aja, gli USA adottavano nel 1914 l'Harrison
Narcotic Act, che prevedeva la registrazione e il pagamento di un'imposta per tutti
coloro, produttori, venditori e medici, che trattavano le sostanze incluse nella tabella.
Nello stesso periodo, leggi di impianto proibizionistico o volte al controllo venivano
venivano progressivamente emanate da tutti gli stati europei. Dopo la prima guerra
mondiale, la neonata Società delle Nazioni nominava un Permanent Central Narcotics
Board. Questo organo internazionale di controllo del traffico di droga, PCB nella
sigla abbreviata, fu immediatamente sedotto dal vorticoso giro finanziario attivo intorno
alle droghe, tanto che sull'acronimo venne coniato un nome moralmente più appropriato: Perfect
Corruption Board.
I risultati delle scelte operate nelle sedi nazionali ed internazionali erano
chiaramente leggibili nei dati sul problema. A livello mondiale la produzione e il consumo
di oppio continuava a crescere in maniera irrefrenabile. Louis Lewin, ad esempio, rendeva
noto che in Germania, dal 1920 - anno di introduzione del proibizionismo - al 1925,
l'importazione dell'oppio era raddoppiata. Nella Cina del 1946, dopo l'introduzione del
monopolio statale del commercio d'oppio del 1927 e l'ordine dato nel 1941 da Chiang
Kai-shek di distruggere totalmente le coltivazioni di papavero, si potevano contare 40
milioni di oppiomani.
Nel 1921 l'Ufficio Superiore di Igiene comunicava che gli USA importavano circa 1700
tonnellate di oppio per un consumo pro capite di 2,5 grammi. I provvedimenti per il
controllo avevano trasformato in criminali quell'1% della popolazione avviato alla
dipendenza da oppiacei dall'uso indiscriminato e dalla promozione dell'oppio e dei suoi
derivati fatta dalla classe medica per tutto l'Ottocento. Ad esempio, dal 1918 al 1921 il
numero dei prigionieri imputati di uso illegale d'oppio nella prigione governativa di New
York cresceva del 789%. Decine di migliaia di medici e di farmacisti vengono citati in
giudizio e condannati per aver prescritto e venduto oppiacei a eroinomani.
Tuttavia, già nel 1915, si erano levate rare voci di protesta contro l'Harrison Act.
In un editoriale della rivista American Medicine denunciava: «Il problema dei
narcotici è un problema medico molto serio. La nuova legge invece che migliorarlo, l'ha
peggiorato. I medici hanno trovato pericoli così gravi nelle varie norme [...] che hanno
deciso di stare il più lontano possibile da ogni tossicomane e dai suoi bisogni di cura.
Di conseguenza i tossicomani sono costretti a procurarsi i narcotici di cui hanno bisogno
nel mondo della malavita [...] Il mercato illegale sta crescendo [...] Abbiamo ottenuto il
risultato di gettare dei cittadini bisognosi di assistenza medica nelle mani dei criminali
[...] Giovani donne e ragazze assuefatte ai narcotici senza loro colpa, sono costrette a
frequentare case di malaffare dove rifornirsi di droga.» Dello stesso tono era un famoso
articolo del 1925 di Robert Schless: «Ritengo che la maggior parte dei casi di
tossicomania siano oggi dovuti all'Harrison Narcotics Act, che proibisce la vendita di
stupefacenti senza una ricetta medica [...] I drogati che si trovano al verde si
comportano da agenti provocatori degli spacciatori (dealers), e vengono
ricompensati con il regalo di un po' d'eroina o con la promessa di venirne riforniti.
L'Harrison Act ha creato lo spacciatore e lo spacciatore crea i tossicomani.»
Anche il Congresso notava l'insuccesso dell'Harrison Act e nel 1918 costituiva una
commissione di inchiesta presieduta dal direttore del Servizio Sanitario Pubblico. La
relazione, frutto di un anno di lavoro, evidenziava il mancato calo dei consumatori,
attestato costantemente sul milione di persone, e rimarcava l'ampliamento del mercato
illegale e la creazione di complesse organizzazioni criminali per il traffico. I risultati
illustrati dalla commissione di inchiesta ridavano voce alle istanze liberali ed
antiproibizioniste. La reazione di alcuni parlamentari e soprattutto dei burocrati
dell'ufficio narcotici del Dipartimento del Tesoro fu però dura e sostenuta da un vasto
consenso popolare, tanto da riuscire non solo a contrastare gli antiproibizionisti ma
ottenere anche un inasprimento del discusso Harrison Act, con la proibizione della
fabbricazione dell'eroina negli USA.
Opinione pubblica e ruolo degli apparati legati al problema delle droghe
Questo particolare passaggio della politica delle droghe americana mette in rilievo
altri due fili essenziali della intricata ed eterogenea trama di cui è tessuto il
problema dell'oppio e delle tossicomanie in generale: l'opionione pubblica e gli apparati
(istituzioni, enti, organizzazioni pubbliche o private) che ruotano, con le più svariate
funzioni e finalità, intorno alle droghe.
Modellandosi sulle immagini diffuse dai mezzi di comunicazione, l'opionione pubblica
inevitabilmente le riconosce come vere e valide, e si conforma, così, in maniera più o
meno consapevole, all'universo dei valori e alle scelte dei gruppi di potere che di volta
in volta controllano i media, di solito gli stessi gruppi che contemporaneamente governano
la politica e l'economia.
Dalla fine dell'Ottocento, la stampa americana iniziava un processo di radicale
riformulazione dell'immagine dell'oppio, da farmaco miracoloso a droga distruttiva. Questa
revisione era legata al difficile processo di inserimento sociale e lavorativo della
grande comunità cinese all'epoca appena immigrata negli USA. I cinesi erano accusati di
lavorare sottocosto, senza tutele e coperture sanitarie, senza orari. Così gli
imprenditori denunciavano la concorrenza sleale degli asiatici, e le organizzazioni
sindacali il pericolo della sottrazione di lavoro agli americani (diversi dai cinesi
soltanto perché immigrati prima) e dello scadimento delle condizioni di lavoro e dei
pochi diritti acquisiti.
Anche a causa degli USA, che ne avevano preteso la liberalizzazione alla fine della
seconda Guerra dell'oppio, i cinesi fumavano molto oppio. La campagna anticinese si
concentrava quindi su questa pratica e il razzismo contro una popolazione diventava
razzismo farmacologico. Numerose pubblicazioni descrivevano storie di criminali cinesi
specializzati nell'adescare ragazzini e ragazzine bianche per renderli oppiomani e
schiavi. Così il Congresso emanava nel 1887 un bizzarro provvedimento con cui si proibiva
l'importazione dell'oppio ai cinesi ma non agli americani, un fulgido esempio di
discriminazione legale. Nel 1912, la letteratura di consumo popolare partoriva addirittura
un personaggio che incarnava la mitologia del razzismo anticinese, il Dottor Fu Manchu
dei romanzi di Sax Rohmer, di cui fu fatta la trasposizione cinematografica, che aveva
progettato di conquistare il mondo dei bianchi usando le droghe.
La regolamentazione e la proibizione dell'oppio avevano fatto nascere la burocrazia e
gli apparati preposti alla prevenzione, al controllo e alla lotta alle droghe. Si
sottovaluta costantemente la parte svolta nell'evoluzione del problema delle tossicomanie
da questi apparati, come quella che abbiamo sopra brevemente descritto nel caso
dell'inasprimento dell'Harrison Act. Eppure la storia è ricchissima di esempi come
questo, che dimostrano come questi apparati una volta istituiti tendano, quasi
biologicamente, ad assicurasi un'esistenza indefinita, posizioni di potere e ricchezza
economica sempre più vaste: finalità evidentemente inconciliabili con gli scopi
istituzionali per cui tali organismi sono creati. Tenendo presente questo perverso
meccanismo delle burocrazie e degli organismi sociali in generale si riesce forse a
spiegare più facilmente perché il consumo di droga possiede ancora dimensioni epidemiche
(per certi versi più preoccupanti del passato) a dispetto della mobilitazione sociale,
del biasimo pubblico, della crescita esponenziale dei finanziamenti pubblici e privati
assorbiti da organi nazionali ed internazionali di contrasto, repressione, prevenzione,
ricerca e cura delle tossicodipendenze.
Il controllo del traffico d'oppio, infine, aveva reso più allettante lo smercio della
morfina e dell'eroina, droghe meno vistose e voluminose ed estremamente più potenti del
succo caro a Demetra e a Marco Aurelio. In Francia, in Germania, negli USA, in Giappone
dilagava la mania della morfina, mentre gli osservatorii nazionali ed internazionali
registravano l'alba sinistra di una forma più devastante di tossicodipendenza sorgere da
un altro derivato dell'oppio, un farmaco "eroico" che la Bayer aveva
commercializzato nel 1898 per la disintossicazione dei morfinomani: l'eroina.
Bibliografia
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