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Caso Kohl, il crepuscolo del patriarca

Angelo Bolaffi


"La cura, la devozione, l’omaggio religioso che i sudditi gli avevano fino ad allora prodigato, cessano per trasformarsi in odio e in disprezzo; egli viene ignominiosamente deposto e può essere felice se riesce a salvare la vita. Oggi venerato come un dio, domani è ucciso come un delinquente": è questa inesorabile dialettica analizzata in un’opera famosa da Sigmund Freud che sta scandendo la fine dell’ultimo grande totem politico della vicenda europea novecentesca.

Infrangere il tabù che circondava fino a ieri Helmut Kohl, il Bismarck del XX secolo, è toccato ad una donna proveniente da una delle regioni della ex Germania orientale. Angela Merkel, che proprio Kohl aveva imposto quale segretaria generale della Cdu, ha compiuto il passo estremo: per salvare il partito e forse anche la democrazia in Germania ha deciso di ‘uccidere il padre’. Un sacrificio politico che chiude definitivamente l’età della repubblica di Bonn, di cui Kohl era stato al tempo stesso risultato e massimo esponente e inaugura per il partito erede di Adenauer l’era della repubblica di Berlino. E questo nello stesso giorno in cui il cancelliere Schroeder, annunciando una mega riforma finanziaria, ha posto le basi per una revisione del funzionamento del Welfare nato mezzo secolo or sono sulle rive del Reno e si prepara a mandare in soffitta quelli che solo fino a ieri erano affermati sacri valori della dottrina socialdemocratica.

"Sono stati in molti a indicare nel 30 novembre 1999" queste le parole con cui inizia un clamoroso articolo scritto per la Frankfurter Allgemeine Zeitung dalla Merkel alla vigilia di una riunione d’emergenza del Presidum della Cdu, "la fine dell’era Kohl. Si è trattato del giorno in cui Helmut Kohl davanti alla direzione del partito e di fronte alla stampa ha fatto una dichiarazione in cui si assumeva la responsabilità politica per la gestione di fondi separata da quella praticata ufficialmente dal partito. (...) Le procedure ammesse da Kohl hanno danneggiato il partito: è in questione non solo la sua credibilità ma quella della Cdu e complessivamente di tutto il sistema dei partiti". Per questo secondo la Merkel è giunta l’ora che la Cdu si ‘emancipi’ dall’ingombrante e ormai imbarazzante tutela politica di Kohl: "rinunzi al suo vecchio cavallo di battaglia".

La tangentopoli tedesca di cui è oggi ancora impossibile definire con certezza dimensioni e gravità potrebbe riservare svolte impreviste e forse drammatiche. Come ad esempio se avesse seguito la minaccia agitata dal capo della commissione di inchiesta parlamentare Neumann di chiedere l’arresto dell’ex cancelliere per ‘convincerlo’ a fare i nomi di coloro che hanno munificamente versato tangenti nei fondi segreti gestiti da lui personalmente.

Se questo accadesse si verrebbe a creare una situazione che neppure la fantasia del più perverso dei commentatori politici avrebbe mai potuto rappresentarsi. A dover varcare la soglia del carcere non toccherebbe allora soltanto a Egon Krenz, l’ultimo segretario del partito unico che ha governato la Germania comunista. Ma anche al padre della patria Kohl: all’uomo della seconda riunificazione tedesca e dell’onore ritrovato dalla Germania dopo la colpa del nazismo, della guerra e della Shoà.

Non solo. Se lo scandalo dovesse allargarsi, come alcuni indizi lasciano sospettare, questo potrebbe mettere in gioco l’esistenza stessa della Cdu e forse persino della Csu, la consorella bavarese, anche in considerazione del fatto che il suo leader Stoiber è stato pesantemente toccato da uno scandalo finanziario. E se i democristiani in Germania dovessero, per così dire, fare una fine all’italiana - questo tra l’altro significherebbe il definitivo tramonto del cattolicesimo politico in tutta Europa - la ripercussione sul sistema istituzionale tedesco sarebbe di enorme portata. Basti pensare, ad esempio, che bene o male il partito democristiano in Germania come in Baviera è riuscito a impedire la nascita di una formazione di dimensioni nazionali dichiaratamente di destra (anche se, ovviamente, questa azione di integrazione ha ovviamente avuto i suoi costi).

Ma quali le conseguenze dentro e fuori la Germania, sul piano psicologico e su quello politico, se questo paese dovesse conoscere lo stesso destino delle altre nazioni europee: avere il suo Haider (Austria), il suo Le Pen (Francia) o il suo Blocher (Svizzera), per non dire dell’Italia?

A giustificazione del suo operato Kohl che personalmente non ha intascato una lira, ha indicato delle ragioni che puntualmente gli si sono ritorte contro. Giacchè hanno rivelato la sua concezione arcaica e patrimonialistica dello Stato, assolutamente in contraddizione con i principi dello Stato di diritto. I soldi ottenuti in segreto da occulti finanziatori dovevano servire, ha detto, per "contrastare i comunisti nelle regioni della ex Germania orientale" e a rafforzare le gracili strutture del partito democristiano. Dunque per Kohl la ragion di stato, in questo caso l’anticomunismo, è preminente rispetto alle regole del diritto, e la politica godrebbe di una sorta di salvacondotto e quindi di un primato rispetto a quanto previsto dal codice e dalla legge e dalla Costituzione. Ai suoi occhi (ma solo ai suoi?) il fine non solo giustifica ma addirittura santifica il mezzo.

Da questo punto di vista è possibile riscontrare una analogia tra la vicenda tedesca e quanto accaduto in Italia dal ’92 in poi. O meglio tra alcuni argomenti che allora vennero addotti da vari capopartito e quanto oggi sostenuto da Kohl. Ma i punti di contatto finiscono qui. Se non altro per una ragione: infatti a differenza da quanto si è detto, e si dice, nel nostro paese, in Germania nessuno, neppure Kohl, si è neppure lontanamente sognato di sollevare il sospetto circa una pretesa congiura da parte della magistratura nei confronti della classe politica. Quasi che l’affermazione del primato della giurisdizione rispetto a quello del gubernaculum potesse venir interpretata come il tentativo di sovvertire l’equilibrio dei poteri costituzionali. Anziché rappresentare una salutare, sacrosanta riaffermazione del primato del diritto rispetto alla politica.

A fine ‘900 non c’è più posto per sovrani assoluti: e i capi politici, anche quelli che come Kohl indubbiamente più d’un merito hanno conquistato, sono, per così dire, ormai a sovranità limitata.

 

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