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Il ritorno del reportage


Renato Parascandolo, Michele Santoro e Sergio Zavoli con Bibi David


Sembra che, alle soglie del 2000, non bastino piu' i flash dei tg o i veloci resoconti dei talk-show a raccontare le guerre, le vicende politiche e le storie del nostro 'villaggio globale'. Dopo anni di oblio ora la Rai riscopre il fascino dei reportage, i programmi di approfondimento giornalistico che in altri paesi d'Europa e negli Usa occupano da tempo, con successo, le piu' ambite fasce dei palinsesti televisivi. Il genere dell'inchiesta, entrato in crisi negli anni '80, torna alla tv pubblica con trasmissioni che vanno da 'Tg2 Dossier' al 'Frontiere' di Lamberto Sposini, da 'Report' a 'C'era una volta', fino a 'Serata Tg1' e al programma di Raitre 'Finestre'.

A spiegare le difficolta' di realizzazione che le grandi inchieste tv comportano sono tre noti personaggi del panorama televisivo: Sergio Zavoli, autore, negli anni'60, dello storico 'Tv7', Michele Santoro, conduttore di 'Circus', e Renato Parascandolo, direttore di RaiEducational.

SERGIO ZAVOLI - Ripetere le esperienze delle grandi inchieste del passato non e' possibile. Oggi, purtroppo, il velocizzarsi dell'informazione, il trionfo dei nuovi media e l'attenzione ossessiva agli indici di ascolto rendono assai difficile l'approfondimento della notizia . Se e' vero che i reportage sono di nuovo in auge, non va dimenticato che, a causa della loro difficile assimilabilita' da parte di molte fasce di pubblico, vengono collocati in ore tarde o di notte. Le inchieste nascono dalla necessità di indagare e comprendere la realtà, e per questo non sono gradite da qualsiasi tipo di telespettatore. Si tratta di proposte impegnative, di faticosa e lenta realizzazione. Una collocazione adatta per le grandi inchieste potrebbe trovarsi nei canali cosiddetti 'tematici' dove forse, senza la pretesa di riscuotere consensi trionfali dell'Auditel, sarebbe possibile trovare spazio anche per una tv non di terz'ordine".

MICHELE SANTORO- Non credo che si possa ancora parlare in Italia di vero e proprio ritorno del reportage. Ci sono infatti tentativi episodici, privi di qualsiasi continuita'. Siamo molto indietro in questo settore rispetto a paesi come la Francia, o l'Inghilterra. Chi, all'interno della tv italiana, manderebbe per mesi degli inviati nell'ex Jugoslavia a realizzare documentari dagli esiti non scontati, come ha fatto di recente la BBC? Il vero reportage e' frutto di un duro e faticoso lavoro di laboratorio, che richiede l'investimento di molti soldi e il coraggio di rischiare. E' lontano, secondo me, lo spirito che animava le inchieste di tanti anni fa. L'esempio che si dovrebbe seguire per creare un buon reportage e' quello di Zavoli, tanto con 'Tv7' quanto con 'C'era una volta la Prima repubblica', o anche quello assai originale , de 'Il portalettere' di Piero Chiambretti. Ma la tv italiana ha troppo spesso considerato questi generi come inattuali. Perfino Guglielmi, grande direttore di Raitre, non volle dar seguito al riuscitissimo esperimento di un mio documentario, 'Sud', che pure aveva ottenuto ben tre milioni di telespettatori.

RENATO PARASCANDOLO - La fine dei reportage in Italia fu segnata politicamente dall'uscita del Pci dall'area di governo negli anni '80. L'ultima puntata di 'Cronache', la rubrica di Raidue da me curata, fu proprio incentrata su un grande evento sociale come i 35 giorni di Mirafiori. Dopo di allora, niente piu' grandi inchieste. Perche'? Da un lato per motivi economici, giacchè era difficile trovare fondi per i reportage e professionisti capaci di realizzarli, dall'altro per motivi di opportunita' politica: si preferiva stendere un velo su tanti aspetti scomodi dell'Italia. Cosi' i talk show spettacolari presero il posto delle inchieste. L'attuale ritorno dei reportage ha un carattere intimistico, basato spesso su casi individuali. E' raro che si affrontino temi della societa' civile come facevano un tempo Zavoli, Biagi o Gregoretti. Oggi si preferisce, invece di indagare i fatti, far commentare gli eventi da un esperto o da un personaggio noto. Non posso dunque che ricordare con rimpianto quei tre mesi che, nel'76 e '77, noi di 'Cronache' trascorremmo all'interno della fabbrica dell'Alfa Romeo. Ne venne fuori un'inchiesta, "Appunti sul lavoro di fabbrica", che fu l'unico documentario al mondo a raccontare la fabbrica dalla parte degli operai, nello stile del bellissimo film di Chaplin. Su questa linea si sta ora tentando di muovere RaiEducational con la nuova edizione del programma "La storia siamo noi".

 

 

 

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