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Droghe da discoteca e droghe da teleschermo


Antonio Carioti

 

Ecstasy, flagello o toccasana? Apparentemente la domanda è assurda. Negli ultimi tempi queste pasticche colorate sono divenute l'ennesima emergenza italiana. Titoloni in prima pagina, inchieste televisive, dichiarazioni ufficiali, annunci di misure preventive e repressive, polemiche sulla scarsa disponibilità delle rockstar a impegnarsi nella crociata bandita dal governo.

Attenzione, si è detto da più parti, il rischio maggiore deriva dal fatto che i ragazzi non percepiscono sostanze del genere come una vera e propria droga. Ingoiare una pillola è un gesto comune, molto meno traumatico che infilarsi un ago nelle vene o anche sniffare polverina bianca. Insomma, l'ecstasy come il nuovo lupo cattivo, tanto più pericoloso perché travestito da agnello.

Proprio "Al lupo, al lupo", per una curiosa combinazione, s'intitola un film di Carlo Verdone andato in onda su Telemontecarlo lo scorso 14 dicembre. Un film nel quale, per malandrina coincidenza, l'ecstasy viene presentata in una luce ben diversa.

I protagonisti della storia sono tre fratelli: un maturo ma effervescente disc-jockey (Verdone), un'affascinante giovane signora (Francesca Neri), un pianista complessato e nevrotico (Sergio Rubini). I due maschi, per inciso, si detestano tra loro. Senza dilungarci sulla trama, limitiamoci alla parte che c'interessa.

A un certo punto Rubini e la Neri si recano nella discoteca dove Verdone, conciato da mago Merlino, fa impazzire torme di ragazzi al ritmo della sua musica. La sorella vorrebbe trascinare il fratello pianista nelle danze, ma questo nicchia. Come scusa dice di avere un forte mal di testa. E la Neri si offre di dargli una pillola per far passare il malessere. Stacco.

Pochi minuti dopo, ritroviamo Rubini scatenato e scamiciato in pista da ballo. Verdone, che nel frattempo si è accorto della presenza dei fratelli, gli si avvicina e si rende conto che ha ingerito una sostanza eccitante. Poiché la pasticca era nera, conclude che si trattava del "black", cioè, intuisce lo spettatore, uno stupefacente di notevole potenza.

Eppure Rubini non sta affatto male. Anzi è più reattivo, si è liberato della sua patologica timidezza, entra finalmente in confidenza con il fratello, non esita più a manifestare i propri desideri sessuali. Grazie ai buoni uffici di Verdone, finisce per accoppiarsi con la bellona di turno, che esce dall'amplesso sgomenta per la foga dimostrata dall'occasionale partner. Una vera e propria catarsi

Il messaggio non potrebbe essere più chiaro: l'ecstasy è buona e fa bene. Aiuta a sciogliersi, a superare inibizioni e problemi caratteriali, ha perfino un benefico effetto Viagra. Che magnifico spot gratuito, nemmeno troppo subliminale, per tutti gli spacciatori di pastiglie colorate. E dagli stessi schermi televisivi che per settimane hanno dipinto l'ecstasy come il demonio.

Qui non si vuole affatto montare uno scandalo contro il bravo Verdone, o accusarlo di predicare la cultura dello sballo. Ma solo mettere in rilievo alcuni punti che emergono con estrema nitidezza.

In primo luogo l'emergenza ecstasy è una scoperta dell'acqua calda, visto che già nel 1992 (anno di uscita del film) il fenomeno veniva messo in scena come scontato e risaputo in una commedia di costume.

Viene poi da domandarsi perché all'epoca nessuno abbia trovato niente da ridire su una pellicola che quasi incitava all'uso di pasticche da discoteca. Distrazione e negligenza allora? Oppure eccesso di allarmismo oggi?

Certo è comunque che la percezione dell'ecstasy come una trasgressione veniale non ha riguardato solo i giovani. E che cosa deve pensare un ragazzo cui giungono dalla televisione messaggi così platealmente in contraddizione tra loro?

Forse sarebbe il caso che tutti gli operatori della comunicazione, cineasti, giornalisti e affini, si sforzassero di affrontare temi così delicati con minore superficialità. Se un pericolo è stato a lungo sottovalutato, il sensazionalismo a giorni alterni non è davvero un buon rimedio. Anche le droghe informative nuocciono. Forse non meno di quelle chimiche.


 

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