Caffe' Europa
Attualita'



Sul mercato, chi innova vince


Marco Vitale

 

Quello che segue è il testo di un intervento sul tema "I giovani imprenditori e le imprese innovative" pronunciato lo scorso 29 novembre in occasione di un convegno organizzato dai giovani della Confinustria di Udine.

 Lo stimolante argomento della mia relazione solleva subito una domanda. Ma quali sono le imprese innovative? La risposta è: tutte. Tutte quelle che sono veramente imprese.

Così, almeno, avrebbe risposto Schumpeter, se è vero che dobbiamo a lui la seguente incisiva definizione di impresa: "Designiamo con il termine impresa le attività consistenti nella realizzazione di innovazioni; chiamiamo imprenditori coloro che le realizzano. La realizzazione di innovazione è l'unica funzione fondamentale nella storia ed essenziale nella teoria di quel tipo di fenomeni che si indicano con il termine di impresa e imprenditore".

Dunque. Produrre innovazioni è la funzione propria e tipica dell'impresa, il suo compito, il suo mandato, la sua missione sociale, la sua peculiarità. Chi non produce innovazione non è più un'impresa. Ha solo l'apparenza di impresa.

Naturalmente, in questa accezione, il termine innovazione non viene inteso nel significato, pur importantissimo ma ristretto, di innovazione tecnologica, ma in quello più ampio, più onnicomprensivo, più proprio all'impresa, di innovazione in senso economico ed organizzativo.

Ancora Schumpeter ci dice: "Ogni volta che una data quantità di prodotto ha, oggi, un costo di produzione inferiore a quello che aveva o che avrebbe potuto avere ieri la medesima o una minore quantità di prodotto si può essere sicuri che, se il prezzo dei fattori non è diminuito, in una qualche parte del sistema vi è stata un'innovazione".

Il che vuol dire che per l'impresa è innovazione rilevante solo ciò che si traduce in aumento di produttività, che aumenta il volume o la qualità dell'output a parità di imput; che crea maggiore valore aggiunto (non solo in senso quantitativo ma qualitativo = maggiore soddisfazione del cliente) a parità di risorse.

Ma, per completare il cerchio dobbiamo dire che è ben difficile che si crei in un'impresa una reale, duratura, sistematica capacità di innovazione in senso tecnologico ed in senso economico e organizzativo, senza un clima interno dove domini il valore della professionalità contro il valore di affiliazione (familista o di clan), dove non dominino, quindi, elevati standard di moralità imprenditoriale e manageriale.

Spesso, dunque, la prima innovazione consiste nel creare all'interno, questo clima intellettualmente e moralmente favorevole all'innovazione. Henry Ford, certamente il più grande imprenditore di tutti i tempi, il vero creatore dell'impresa moderna, innovatore geniale e sistematico, nel pieno della maturità scriveva: "La tentazione di fermarsi e di tenersi a quello che si possiede è del tutto naturale: io penso che un uomo il quale si metta a riposo dovrebbe uscire dall'impresa. C'è invece la tendenza a ritirarsi e a mantenere nel tempo stesso la direzione delle cose. Non era in alcun modo nei miei piani il fare qualche cosa di simile. Io consideravo i nostri progressi unicamente come un invito a fare di più".

Ma poi, quando invecchiò, a partire da metà degli anni '30, si chiuse in sue vecchie e superate visioni; si spense ad ogni pensiero innovatore; si arroccò in un nevrotico potere senile ormai privo di funzione e di autorevolezza, si circondò di servi sciocchi e pericolosi. Impedì così alla Ford di adattarsi alle nuove sfide, di produrre innovazione. Conseguentemente egli stava portando la Ford al fallimento. Sicché alla fine, disperato per un gesto che non avrebbe mai voluto compiere, ma con la benedizione della vecchia nonna, il nipote Henry Ford II dovette estrometterlo, con la forza, dall'azienda che lui aveva creato, ma che stava portando alla rovina, per esaurimento della capacita di fare ed accettare l'innovazione.

ig.jpg (24277 byte)

Vorrei completare queste riflessioni con l'aiuto di un mio schema che ha ormai quindici anni, ma del quale sono molto orgoglioso, perché con il passare degli anni mostra una crescente validità e perché posso osservare che le imprese che hanno seguito coerentemente questo modo di vedere le cose ne hanno tratto beneficio. In esso illustro come il sano progredire dell'impresa è legato allo sviluppo armonico e collegato di tre processi di accumulazione (accumulazione della conoscenza tecnologica, accumulazione della conoscenza organizzativa, accumulazione del capitale) e come la capacità di colloquio e di ascolto con la comunità sia il lubrificante di questi fondamentali processi dell'impresa.

Da una parte l'impresa e la sua necessità di fare innovazione; dall'altra i giovani imprenditori. Esiste una relazione particolare tra i giovani imprenditori e l'impresa innovativa come il tema da voi scelto, per il vostro convegno, sembra suggerire? In termini generali non credo che questa relazione sia così stretta e necessaria. Ma mi sembra che, in questa fase storica, tale relazione ci sia o sia molto più marcata del solito.

Infatti l'effetto globale dell'ondata di innovazioni tecnologiche nella quale ci troviamo immersi è tale, per intensità e natura, che richiede intelletto, cuore ed energie giovani. Alla guida di Hewlett Packard, che sino all'inizio degli anni '90 era considerata impresa di punta nella pattuglia delle aziende innovative, e che oggi è considerata burocratica ed incapace di produrre innovazione, è stata da poco insediata una giovane signora di 44 anni, laureata in filosofia. Mi è sembrato un fatto simbolico di una tendenza generale.

La nuova impresa che sta nascendo è veramente un soggetto profondamente diverso da quella nella quale siamo cresciuti; e non mi rivolgo solo alle persone della mia generazione ma anche ai quarantenni. Sono d'accordo con Davis e Mayer che, in un bel libro dal titolo "Blur, le zone indistinte dell'economia interconnesse" identificano i nuovi fattori che stanno ridisegnando l'economia e l'impresa in: velocità, interconnessione, immateralità.

Oggi l'impresa vincente è quella che opera in "real time" in tutti i momenti della sua giornata, che è permanentemente interconnessa con il resto del mondo come parte di una rete viva ed in continua evoluzione e nella quale i valori immateriali piuttosto che quelli del potere, della gerarchia, dell'affiliazione, dell'hardware, sono dominanti.

Davanti a questo scenario i giovani imprenditori hanno innanzi tutto un grande dovere. Affrontare le nuove sfide con coraggio, determinazione e fantasia. Come non mai il compito tocca a loro, perché il cambio di marcia necessario è così grande che solo dei giovani possono realizzarlo.

Il mondo che abbiamo dinanzi a noi non è minaccioso; è sfidante. Le nuove tecnologie non sono oscure, sono "friendly", gioiose, liberatorie. Sono nel fondo, se mi è consentita una certa forzatura, potenzialmente democratiche o ispiratrici di democrazia e di libertà personale. Tendono ad allargare, a diffondere le "chances" di tutti.

Per fare un esempio concreto. Per pure ragioni di natura sostanzialmente politica noi abbiamo, in pochi anni, realizzato la più grande e mostruosa concentrazione di potere bancario del mondo (circa l'80% degli attivi bancari è concentrato nei maggiori 10 istituti). Ciò apre una opportunità straordinaria per le banche minori, se sapranno diventare diverse, facendo propri i fattori della Velocità, Interconnessione, Immaterialità.

Le grandi banche sono mostruosamente lente e, per il modo con cui hanno fatto le concentrazioni, lo diverranno ancora di più. Ed allora la piccola banca deve imparare (le attuali tecnologie glielo permettono) ad essere effettivamente in "real time". Sempre. Per tutti.

Le grandi banche pensano solo in termini di filiali territoriali. Ed allora le piccole banche devono capire che le filiali con i marmi, gli stucchi, le bandiere ed i quadri da museo stanno diventando un grande peso e che quello che conta è l'interconnessione permanente ed effettiva con il cliente e con i suoi professionisti. La nuova sfida non consiste nell'avere più filiali, ma nel liberare il cliente dall'onere di andare in filiale.

Le grandi banche, nate ed immerse nella cultura del potere, non si interessano del cliente. Ed allora le piccole banche devono, non a parole, ma in tutti i momenti organizzativi, in tutti i comportamenti, porre al centro il cliente, avere un grande rispetto per lui, avere nei suoi riguardi non un atteggiamento burocratico, ma professionale ed amico, devono essere "complici" del cliente.

Le grandi banche si giocano tutti i rapporti interni in chiave di potere. Allora le piccole banche devono saper attrarre i migliori talenti professionali, aprendo loro la partecipazione al capitale, trasformandosi da intermediarie di denaro in autentiche strutture professionali di consulenti ad alto livello dell'impresa e dei risparmiatori, che intermediano anche denaro.

Tutto questo è reso possibile dalle nuove tecnologie. Ma non è facile. Ci vuole molto intelletto, molta moralità, molta fantasia, molta competenza, molta determinazione. Ci vuole una vera e propria visione. Nel nuovo mondo che sta prendendo corpo non basta essere efficienti in questa o quella attività, bisogna essere molto, molto bravi. In senso integrale.

E, dunque, per i giovani imprenditori non si tratta solo di un dovere, ma anche di una straordinaria opportunità. Poche generazioni hanno avuto di fronte a sé le opportunità che si offrono a voi. Stimolati dal rapido evolvere delle tecnologie e dei costumi, ma sorretti anche dall'evoluzione straordinaria che ha avuto il mondo del capitale di rischio. E qui parlo come presidente di A.I.F.I.

Dopo trent'anni di lavoro vedo realizzato il sogno che tanti anni fa formulai con queste parole: in un'economia imprenditoriale, ogni progetto imprenditoriale valido deve trovare, in uno o nell'altro canale, il capitale di cui necessita. Oggi siamo arrivati a questo punto. La rete internazionale del capitale di rischio, in tutte le sue forme, è talmente forte, interconnessa, continuamente alimentata dai nuovi risparmi prevalentemente accumulati nei fondi pensione ed inserita in un mercato finanziario di tale profondità e spessore che ogni progetto imprenditorialmente valido, proposto da un imprenditore serio e competente e presentato ed organizzato nelle forme professionali appropriate, trova sempre il capitale di cui ha bisogno.

Questo grande obiettivo, che è obiettivo proprio e centrale della democrazia economica è, oggi, realizzato.

Non rappresenta più, quindi, solo un auspicio ma una realtà la raccomandazione di Michael Albert: "Il capitale è una cosa da vecchi che deve andare verso i giovani".

 

 

Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti da fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui

Archivio Attualita'

 


homearchivio sezionearchivio
Copyright © Caffe' Europa 1999

Home | Rassegna italiana | Rassegna estera | Editoriale | Attualita' | Dossier | Reset Online | Libri | Cinema | Costume | Posta del cuore | Immagini | Nuovi media | Archivi | A domicilio | Scriveteci | Chi siamo