Questo articolo è
apparso su la Repubblica (www.repubblica.it) del 17
dicembre
Una delle pratiche più collaudate del maggioritario all'italiana, la
compravendita di parlamentari, ha ricevuto ieri un duro colpo dalle rivelazioni del
deputato ex sostiene di aver rifiutato l'offerta di 200 milioni da parte del collega Luca
Bagliani, fuoriuscito dalla Lega per approdare all'Udeur, in cambio dell'adesione al
progetto del D'Alema bis, di per sé forse non abbastanza seducente. La proposta sarebbe
stata avanzata in forma di Opas, offerta pubblica d'acquisto e di scambio, alla presenza
di tre testimoni, errore grave a parere degli specialisti. Sconvolto dallo scandalo, il
senatore Francesco Cossiga ha annunciato le solite, periodiche dimissioni da capo del
Trifoglio.
Cossiga ha annunciato le dimissioni per "evitare di dover porre la
questione morale", obbligo al quale si è felicemente sottratto nell'ultimo mezzo
secolo. Clemente Mastella, che in questi giorni s'aggira come l'eroe di Gogol in cerca d'
anime morte da iscrivere al D'Alema bis, gli ha ricordato quando andavano insieme a
raccolta di trasfughi dal Polo e dalla Lega per dar vita all'Udeur, nato appena l'anno
scorso e oggi forte in Parlamento come i Democratici. A precipitare definitivamente la
faccenda in farsa è arrivato il monito di Silvio Berlusconi, già titolare di
un'indimenticabile e sfortunata Opa ai danni di Bossi ai tempi del suo governo. Anche qui
è arrivata la precisazione dell'esperto Clemente Mastella, che all'epoca forniva la sua
opera al centrodestra e conserva ricordi diretti circa le operazioni Tremonti, Grillo e
Maroni. Nell'indignazione del Cavaliere, di minimo pathos etico, colpisce piuttosto
l'iterazione della metafora pallonara, nel bene come nel male. Ieri la discesa in campo e
Forza Italia, la squadra di governo e gli azzurri, oggi la "campagna acquisti",
"Montecitorio come il Gallia" e il famigerato "scene che non vorremmo mai
vedere". Sempre per restare in tema, va ricordato che dal principio della legislatura
sono duecento i parlamentari che hanno "cambiato casacca", passando
dall'opposizione alla maggioranza e viceversa, naturalmente gratis.
Il quadro di restaurazione della prima repubblica è quasi del tutto
compiuto. Dopo i vertici di partiti e partitini, il gioco dei veti, la rosa dei nomi, i
rimpasti, la rivendicazione dell'impunità parlamentare e la riabilitazione dei
tangentisti, all'appello mancava la compravendita di voti. La lacuna è stata forse
colmata e ora si può procedere. Verso dove? Lo sforzo di Massimo D'Alema è, al solito,
far dimenticare il se stesso di prima. Alla luce dell' alacre lavorio per la riconferma a
Palazzo Chigi, non sembra credibile che il premier l'altro giorno volesse sul serio
dimettersi, denunciando con un fermo "non ci sto" il clima di ricatto e degrado
raggiunto dalla vita politica. Pare viceversa che D'Alema intenda rimanere dov'è a tutti
i costi, usando gli stessi mezzi con i quali è salito alla carica e rinviando a data da
destinarsi l'ingarbugliata questione della premiership. La minaccia di dimissioni ha
ottenuto l'effetto sperato, sollevando un coro di stabilità che abbraccia sindacati e
confindustria, governo europeo e governi locali, sinistra e Vaticano. Nessuno vuole una
crisi vera e tantomeno un voto anticipato che consegnerebbe un'immagine grottesca
dell'Italia all'Europa, dove Boselli e il Trifoglio sono opportunamente ancora poco
conosciuti.
Più misterioso è l'atteggiamento di Silvio Berlusconi. Il Cavaliere
gioca una partita mortale da qui alle scadenze elettorali e soprattutto giudiziarie di
primavera. A meno di insurrezioni di massa, una condanna in primo grado per corruzione di
giudici nell'affare Squillante significherebbe la fine di ogni speranza di tornare a
Palazzo Chigi. Ragion per cui, sui moralismi dell'ultimo minuto, sono molti a domandarsi
perchè Berlusconi, invece di deplorare le campagne acquisti altrui, non ne lanci una in
proprio, dati i mezzi. La risposta è forse nei sondaggi d'opinione che testimoniano come
la "gente" non voglia elezioni anticipate e come D'Alema sia ancora il migliore
avversario possibile per il Cavaliere. Nel senso di più debole, incapace di attrarre i
voti moderati e di mantenere quelli di una parte della sinistra disillusa e forse anche un
po' nauseata. A patto di lasciare il premier ancora un po' a bagnomaria, con una
maggioranza volatile, lanciandogli ogni tanto fra i piedi scandali come quello
dell'incorruttibile Bampo.