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Vecchio Cile, quanto somigli a noi


Marco Calamai

 

Sorprendente: smentendo i sondaggi il candidato della destra cilena, Joaquin Lavin (ex collaboratore di Pinochet durante la dittatura e ora leader del partito più reazionario del Cile, l’Unione Democratica Indipendente), ha quasi raggiunto i voti di Ricardo Lagos, candidato socialista della Concertaciòn - la coalizione di centro-sinistra, formata da democristiani, socialisti, altri gruppi minori come i radicali – al governo del Cile da ormai dieci anni.

Circa 30 mila voti separano i due candidati, che hanno raggiunto il 48% (Lagos) e il 47,5% (Lavin) e che il prossimo 16 gennaio si presenteranno al ballottaggio (in Cile il sistema elettorale è come quello francese) non avendo raggiunto nessuno dei due il 50% dei voti . Un risultato davvero incredibile, se si pensa che la destra cilena non aveva mai superato il 30-35% dei voti.

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Cosa è successo? Va notato, in primo luogo, che era la prima volta, dopo la fine della dittatura, che la Concertacion presentava un candidato socialista e non democristiano. Con il risultato che una parte del tradizionale elettorato moderato della DC cilena ha preferito il populista di destra Lavin al socialista Lagos il quale ha sì raccolto un pezzo significativo del voto comunista (sceso al 3%, ovvero il risultato più basso della sua storia) ma ha perso una parte dell’elettorato centrista storicamente fedele alla DC.

Eppure il messaggio di Lagos è stato come non mai prudente e moderato (ha parlato poco del caso Pinochet e ha preso in modo netto le distanze dai comunisti). Un discorso, quello di Lagos, molto simile a quello tipico della socialdemocrazia europea e lontano mille miglia da quello massimalista del vecchio partito socialista dei tempi di Allende.

Non sta qui, quindi, la spiegazione del risultato elettorale del 12 dicembre anche se è probabile che un settore democristiano abbia volutamente votato per Lavin allo scopo di aprire la strada ad un candidato democristiano nelle prossime elezioni presidenziali.

In realtà, come emerge dalle prime dichiarazioni dei leader politici nonché dalla stampa cilena (si consiglia di "leggere" on line il giornale "La Tercera": www.latercera.cl) le ragioni del terremoto vanno cercate altrove.

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1. Il Cile resta un paese profondamente diviso. Se è vero infatti che i cileni, a grande maggioranza, non sembrano coinvolti dal problema di Pinochet (è assai significativo che anche Lavin, e non solo Lagos, abbia evitato di parlare del generale durante la campagna) è comunque probabile che un settore della popolazione cilena continua a temere il rischio di una involuzione autoritaria come conseguenza di uno spostamento a sinistra dell’asse politico. La candidatura Lagos potrebbe aver preoccupato questa parte dell’elettorato che, pur democristiano, si è spostato verso Lavin il quale ha sostenuto la vecchia tesi dei socialisti=comunisti.

2. La situazione economica non ha favorito il governo e ha danneggiato Lagos. E’ molto probabile che, anche a livello popolare, settori minoritari ma comunque significativi abbiano "punito" il candidato socialista per il peggioramento della situazione sociale (la disoccupazione è raddoppiata negli ultimi anni) provocata da fattori esogeni (in particolare il contagio della crisi finanziaria asiatica) che il centro-sinistra non ha potuto modificare in meglio prima delle elezioni. Non va sottovalutato, a questo proposito, il messaggio di Lavin che ha demagogicamente promesso un milione di nuovi posti di lavoro e misure economiche per i ceti più poveri.

3. L’analisi del voto dimostra che lo spostamento del voto dal centro-sinistra al centro-destra (il 50% delle donne hanno votato per Lavin contro un 45% per Lagos) è stato soprattutto provocato dalle donne (in Cile uomini e donne votano in seggi anche fisicamente separati per cui è possibile subito verificare il tipo di voto a seconda del sesso). Nelle due elezioni presidenziali precedenti ciò non si era verificato. E’ certamente difficile capire il perché. Fatto sta che Lagos ha subito riconosciuto questo dato e ha nominato il leader più amato dell’attuale governo, la democristiana Soledad Alvear (Ministro di Giustizia nonché moglie dell’attuale Presidente della DC), responsabile della campagna elettorale femminile fino al ballottaggio del prossimo 16 gennaio.

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Conclusioni. Il centro-sinistra non nasconde le sue forti preoccupazioni per il successo di Lavin. A questo punto diventa davvero importante, forse decisivo, quel 3% di voti comunisti del primo turno, che non è chiaro dove andranno a finire.

Ancora una volta emerge la davvero incredibile somiglianza tra la situazione politica cilena e quella europea, soprattutto spagnola e italiana.

In Spagna il Psoe di Felipe Gonzalez ha perso le ultime elezioni a causa di una minoranza comunista che vedeva nel leader socialista il principale nemico. In Italia Berlusconi punta a vincere le prossime elezioni conquistando, in nome dell’anticomunismo più tradizionale, il settore più moderato dell’elettorato di centro-sinistra, in particolare quello di estrazione democristiana. In Cile Lagos deve tentare la non facile operazione di conquistare il voto comunista pur mantenendo le distanze dal PC cileno evitando così il rischio di un nuovo smottamento verso destra del voto centrista e democristiano.

Il fatto davvero significativo, su cui vale la pena di riflettere, è che queste somiglianze riguardino un paese latinoamericano e tuttora arretrato malgrado la modernizzazione provocata dall’apertura del paese ai mercati mondiali e dalla svolta neo-liberista che furono avviate proprio da Augusto Pinochet durante gli anni della dittatura e mai seriamente rimesse in discussione dai successivi governi democratici di centro-sinistra

 

 

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