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L'"anima" internazionale del centrosinistra

Anthony Giddens con Giancarlo Bosetti


Anthony Giddens, il direttore della London School of Economics, è l'uomo chiave della Terza via e di Tony Blair. Il nostro incontro, avvenuto nel corso del convegno Politica in cerca d'anima che ha avuto luogo a Firenze il mese scorso, costituisce il seguito del dossier che "Reset" ha pubblicato recentemente e che toccava, con contributi inglesi, francesi e italiani, la questione della crisi del rapporto tra opinioni pubbliche e leader politici in Europa.

 

A lei, professor Giddens, che alla Terza via ha dedicato un libro molto noto anche in Italia, chiediamo che effetto le fa il tema dell’"anima della politica". I governi del centrosinistra sembrano soffrire di una certa poverta’ di ispirazione. Non le sembra che questo sia un problema per esempio di Schroeder, D’Alema, Blair o Jospin?

Penso che quello che sta accadendo è una convergenza di ideali nelle politiche dei governi che stanno tra centro e sinistra. Diversi paesi giungono a questa convergenza partendo da diverse basi storiche e con diversi bisogni, ma c’è una spinta piuttosto forte verso idee comuni. Fondamentalmente, se cerchiamo una identita’ del centrosinistra, si tratta di un processo di applicazione di valori del centro e della sinistra a un mondo che sta trasformandosi a causa del mercato globale e della rivoluzione della information technology. Che altro sono i centrosinistra se non questo: forze che cercano di ricostruire una politica all’altezza delle domande dell’epoca? Penso che faranno un bel po’ di strada. Ed io con loro.

 

Si parla molto di valori per dare forza alle politiche di centrosinistra. I vecchi partiti di sinistra e socialisti ne parlavano di meno, forse perche’ li avevano piu’ chiari, li trovavano piu’ "naturalmente" nel loro stesso essere. Oggi è tutto piu’ complicato e meno "naturale".

No, non penso questo. I valori sono piu’ o meno gli stessi, ma la ragione per cui ne parliamo di piu’ è perche’ le politiche devono essere diverse dal passato. I valori della sinistra sono piuttosto chiari: la solidarieta’, il controllo dell’ineguaglianza, la protezione dei settori piu’ deboli della societa’ e la convinzione che un governo attivo è necessario per perseguire quei fini. La differenza con il passato sta nel fatto che le vecchie politiche non funzionano in questo nuovo mondo e che dobbiamo guardare alle conseguenze contraddittorie dei sistemi di welfare. Stiamo cercando di riaffermare quei valori dopo un periodo di governi neoliberali in cui si pensava che non fossero cosi’ importanti. Percio’ non è sorprendente che si discuta di valori, perche’ la questione chiave è come esprimerli con nuove politiche. Il Nuovo Labour un contributo lo ha dato.

 

Ne stiamo discutendo anche perche’ proprio lei ha parlato, su "Reset", della crisi delle "shell institutions", delle istituzioni-conchiglia (il posto fisso, la famiglia, la parrocchia, il partito di massa), una crisi che lascia gli individui piu’ soli e carichi di responsabilita’, percio’ piu’ esigenti nei confronti della politica.

Nel mondo contemporaneo, al contrario di quanto dicevano i neoliberali, c’è bisogno di piu’ e non di meno governo, ma non del governo nel senso tradizionale e burocratico. Di quello non abbiamo bisogno. Quello che cerchiamo è un nuovo contratto sociale che riconosca l’importanza dell’individualismo nella vita della gente. Ma dobbiamo combinare questo con la responsabilita’. Il punto è che ci si aspetta qualche cosa di piu’ da parte degli individui: non si possono erogare benefici senza averne qualche cosa di ritorno. Un nuovo sistema di welfare dovra’ aiutare la gente a entrare nel mercato del lavoro e risolvere il problema europeo della disoccupazione.

 

Il fatto è che individui a cui si chiede molto di piu’ in termini di responsabilita’, a loro volta chiedono molto di piu’ alle leadership politiche. Qualcuno parla di "rimoralizzazione" della vita politica, di esigenze addirittura "spirituali" coinvolte nel discorso pubblico di oggi.

C’è qualcosa di vero in questo, vale a dire che oggi ci aspettiamo che i leader politici contribuiscano a dare un senso generale di direzione del cammino. Ma non mi pare il caso di pensare a una leadership politica che tracci la via per la moralita’, perche’ sappiamo dove questo conduce. E neppure a leaders che insistano troppo fortemente sul fatto che solo certi valori hanno il diritto di essere proposti. Qui c’è da tracciare un confine. Certamente non vogliamo un mondo dominato dal mercato o dal darwinismo sociale. La gente desidera una vita che abbia qualche significato e la liberta’ di scegliere quale; il governo deve aiutarli perche’ la realizzino da se stessi. Rispetto alla socialdemocrazia ideale di vent’anni fa abbiamo se mai a che fare con societa’ molto piu’ pluralistiche e diversificate, per cui non è piu’ possibile lo stesso genere di rapporti che la politica aveva allora con una societa’ piu’ omogenea.

 

Perche’ allora il "moral Manifesto" di Tony Blair. Che cosa significa un progetto politico cosi’ intitolato?

Questo è un genere di iniziative che si puo’ prendere solo in misura limitata (per esempio a proposito del fenomeno delle gravidanze tra le giovanissime, Ndr), perche’ certamente vogliamo una societa’ che abbia un senso di unita’ e dei politici che abbiano qualche senso etico, ma non possiamo pensare a un sistema che imponga semplicemente dei valori morali alla gente. Qui si apre effettivamente una nuova area di discussione, ma il governo non puo’ andare troppo in la’ nel dettare regole morali. Se lo facesse, credo che si spingerebbe verso una specie di fondamentalismo di destra, che non piacerebbe a nessuno di noi.

 

Nei gruppi dirigenti di centrosinistra vede diversi gradi di capacita’ di rispondere a queste esigenze di chiarezza di visione e di ispirazione della politica?

Ci sono grandi differenze per due ragioni. Una sta nelle differenze storiche: diverse le organizzazioni politiche, diversi i bisogni della societa’. Per esempio in Gran Bretagna stiamo cercando di recuperare circa vent’anni di politica neoliberale che ha degradato le istituzioni pubbliche; in Germania non hanno avuto lo stesso arretramento e sono alle prese con cambiamenti necessari ma diversi da quelli inglesi. La seconda ragione è che i cambiamenti che i politici possono sostenere dipendono molto dai limiti istituzionali che hanno di fronte. Per questo Tony Blair ha molto piu’ potere nel mio paese di quello che D’Alema o Schroeder hanno nel loro. È un problema di differenze tra istituzioni nazionali e politica. E ne vengono fuori naturalmente dei risultati diversi.

 

Con gli incontri di Firenze, fara’ qualche passo avanti la Terza via, ora che ne parla esplicitamente anche Clinton?

Mettiamo in chiaro che quando parlo di Terza via io non intendo altro che una socialdemocrazia aggiornata che ha a che fare con il mondo nuovo di cui ho parlato prima. Importante è che i leaders politici del centrosinistra abbiano questi dialoghi pubblici non solo perche’ abbiamo bisogno di sviluppare programmi per la sinistra, ma anche di imparare a collaborare sulle questioni globali. E credo che questo non lo si possa fare attraverso le vecchie istituzioni burocratiche, per quanto anche queste possano essere utili. Spero che ne venga fuori qualcosa di buono nel senso di un accordo generale tra loro, qualcosa che punti alla costruzione di forme piu’ efficaci di governo globale al di sopra dei livelli nazionali.

 

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