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Pina Bausch e la citta di Roma

Josè Luis Sànchez-Martìn


"Una monaca col gelato, una santa coi pattini a rotelle, un volto da regina in esilio, da fondatrice di ordine religioso, da giudice di un tribunale metafisico, che all'improvviso ti strizza l'occhio col suo volto aristocratico, tenero e crudele, misterioso e familiare, chiuso in un'enigmatica immobilità." Così la descriveva, dopo il loro primo incontro nei camerini alla fine dello spettacolo "1980", un eccitato e euforico Federico Fellini, che finalmente aveva trovato il volto che cercava per la principessa cieca del suo film "E la nave va".

Pina Bausch è una delle più grandi coreografe di tutti i tempi, tanto da aver cambiato per sempre le regole dello spettacolo dal vivo, creando un nuovo "genere" in cui si possono ritrovare elementi di tutti gli altri generi: il TeatroDanza. Ha creato spettacoli, astratti ma anche molto concreti, di una potenza suggestiva mitica e attuale allo stesso tempo, utilizzando sulla scena ogni sorta di materiale, l'acqua, la terra, le foglie secche, migliaia di garofani, i detriti di un muro che crolla sul palco, persino un ippopotamo.

Lavora con eccellenti danzatori provenienti da più di venti nazioni, coi quali rielabora non soltanto gli elementi tecnici delle diverse scuole di danza, ma anche i gesti antichi e i gesti quotidiani che cattura nei suoi viaggi per il mondo. Come già accadeva per Fellini, orde di persone farebbero qualunque follia pur di studiare o lavorare con lei, in virtù del Mito che circonda il suo nome: Pina Bausch.

Commissionato e coprodotto dal Teatro di Roma in occasione del Giubileo del 2000, il Tanztheater Wuppertal di Pina Bausch ha debuttato in questi giorni al Teatro Argentina in prima mondiale con lo spettacolo da lei dedicato alla Città Eterna: "O Dido". Lo spettacolo nasce dall'idea di Luca Ronconi, allora direttore del Teatro di Roma, di produrre per quella celebrazione una serie di eventi ispirati all'Eneide di Virgilio, mito fondatore dell'urbe. Unico episodio del progetto iniziale che abbia preso concretezza, ereditato e portato avanti con entusiasmo dal neo direttore dell'Argentina Mario Martone, "O Dido" prende spunti e materiali da rielaborare da un articolato e divertito soggiorno dell'intera compagnia l'anno scorso a Roma.

Schivando luoghi comuni di suggestione turistica o storica, la Bausch si è fatta affascinare "...più per le rovine che per i restauri, dalla emarginazione più che dalla centralità, dalla notte più che dalla mondanità." Infatti, nel suo girovagare, si è soffermata in luoghi insospettabili, come racconta il giornalista tedesco Thomas Radigk nel suo diario: "...un viaggio nella pancia di Roma, spinti dalla curiosità alla ricerca di storie, Storia, immagini, voci e rumori. Per mettersi a confronto...Sembra che non ci siano luoghi fuori luogo per Pina Bausch"...Riconosciuta in un locale "la circondano, la mettono in mezzo, chiedono, raccontano" e lei per niente sopraffatta, rimane "tranquilla in questa tempesta di sensazioni e emozioni...I viaggi toccano stazioni, fermate nel flusso, attimi di tregua, momenti di divertimento, come verso le due del mattino, ballare il tango a San Lorenzo o in un capannone al Quadraro...Nel Grande Raccordo Anulare, la periferia romana, affascinante miscuglio di maggese, abbandono, selvaggia creatività. In un campo nomadi a festeggiare il compleanno di Zelko, patriarca e capoclan".

Ma risulta inutile cercare sulla scena "quadretti" romani. La Bausch, come è nel suo stile, trasforma, rielabora, mescola, raccoglie solo l'eco personale che gli stimoli provocano in lei e riporta le associazioni poetiche e le immagini che ne scaturiscono. "Quando comincio un lavoro non so mai cosa ne verrà fuori, dato che all'inizio non ci sono scene, non c'è testo, non c'è musica, non c'è niente, c'è solo la mia compagnia, le persone con cui lavoro."

Confermando la tendenza degli ultimi spettacoli, c'è in "O Dido" molta danza, di quell'ottima e sorprendente qualità sia tecnica che emotiva a cui la coreografa tedesca ci ha abituato, soprattutto nei numerosi assoli di cui è quasi esclusivamente composto lo spettacolo, salvo qualche scena di gruppo a carattere fortemente teatrale, come quella ambientata nelle Terme, dove scorrono allegramente secchiate d'acqua, vino e nudità. "Riguardo a questo spettacolo sono un po' spaventata, perchè sull'anno 2000 c'è una incredibile aspettativa, ma gli esseri umani sono così piccoli, e Roma è così incredibile. Si potrebbero realizzare 50 o forse più spettacoli su Roma e comunque si mostrerebbero soltanto alcuni dei possibili punti di vista, sempre parziali. Io ho potuto mostrare solo qualche aspetto, ma con tutto il mio cuore e il mio amore per il vostro paese. E' un lavoro molto astratto, un lavoro su diversi linguaggi, e quindi molto difficile da spiegare a parole."

Sulla comprensibilità razionale dei suoi spettacoli, la Bausch non teme perplessità: "Credo che esista nella vita qualcosa che appartiene a tutti e che continuamente cerco. Per me è molto importante che ognuno abbia fiducia nelle proprie senzazioni, non importa quali siano, senza forzare nulla...Amo le cose "aperte" che lasciano allo spettatore il tempo di esserci e di interpretare liberamente...Per me sarebbe terribile dover dire quello che lo spettatore dovrebbe pensare e sentire assistendo ad un mio spettacolo. In fondo credo che ciascuno di noi lo sappia già, lo sappia da sempre, da qualche parte...forse non a parole. Ma è bello anche non sapere: è magnifico. Tutte le cose che conosco non m'interessano più, perchè sono già fatte, già viste. Trovo sia meraviglioso non sapere."

Un nuovo spettacolo di Pina Bausch è sempre un evento culturale, come lo erano l'uscita di un nuovo film di Fellini o di Bergman, ma, così come non sempre i film di questi maestri sono stati dei capolavori, così non ogni spettacolo della Bausch lo è. Infatti, prendendo un po' di coraggio e nel obbligo dell'onestà, bisogna ammettere che purtroppo "O Dido" non è un capolavoro. E' molto probabile che abbia risentito della fretta e del poco tempo a disposizione per realizzarlo, come già la Bausch, a Taormina per ricevere il premio Europa per il Teatro '99, ci avvertiva: "Non c'era molto tempo, ma l'idea di tornare a Roma, l'idea di provare ancora in questa città era così bella che non riuscivo a rifiutare. C'è così tanto da raccontare in ogni luogo!".

Se ogni assolo per sè stesso è un momento indimenticabile di grande emozione e varrebbe da solo il vedere lo spettacolo, nell'insieme "O Dido" risulta incontrollatamente frammentario, con una regia teatrale approssimativa e ripetitiva, che si fa forza di un fiume di bellissime canzoni, troppe e forse troppo belle, e di una scenografia che per la prima volta sembrerebbe quasi inutile, rischiando di diventare così un po' superficiale e futile, come la Roma che lei sembra velatamente quanto ironicamente dipingere in alcuni momenti dello spettacolo. Comunque, il tutto di un livello, dagli ottimi e intensi interpreti alla raffinatezza ed eleganza delle coreografie, che ci si augurerebbe di trovare più spesso sulle scene italiane.

 

 

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