"Una monaca col
gelato, una santa coi pattini a rotelle, un volto da regina in esilio, da fondatrice di
ordine religioso, da giudice di un tribunale metafisico, che all'improvviso ti strizza
l'occhio col suo volto aristocratico, tenero e crudele, misterioso e familiare, chiuso in
un'enigmatica immobilità." Così la descriveva, dopo il loro primo incontro nei
camerini alla fine dello spettacolo "1980", un eccitato e euforico Federico
Fellini, che finalmente aveva trovato il volto che cercava per la principessa cieca del
suo film "E la nave va".
Pina Bausch è una delle più grandi coreografe di tutti i tempi, tanto
da aver cambiato per sempre le regole dello spettacolo dal vivo, creando un nuovo
"genere" in cui si possono ritrovare elementi di tutti gli altri generi: il
TeatroDanza. Ha creato spettacoli, astratti ma anche molto concreti, di una potenza
suggestiva mitica e attuale allo stesso tempo, utilizzando sulla scena ogni sorta di
materiale, l'acqua, la terra, le foglie secche, migliaia di garofani, i detriti di un muro
che crolla sul palco, persino un ippopotamo.
Lavora con eccellenti danzatori provenienti da più di venti nazioni,
coi quali rielabora non soltanto gli elementi tecnici delle diverse scuole di danza, ma
anche i gesti antichi e i gesti quotidiani che cattura nei suoi viaggi per il mondo. Come
già accadeva per Fellini, orde di persone farebbero qualunque follia pur di studiare o
lavorare con lei, in virtù del Mito che circonda il suo nome: Pina Bausch.
Commissionato e coprodotto dal Teatro di Roma in occasione del Giubileo
del 2000, il Tanztheater Wuppertal di Pina Bausch ha debuttato in questi giorni al Teatro
Argentina in prima mondiale con lo spettacolo da lei dedicato alla Città Eterna: "O
Dido". Lo spettacolo nasce dall'idea di Luca Ronconi, allora direttore del Teatro di
Roma, di produrre per quella celebrazione una serie di eventi ispirati all'Eneide di
Virgilio, mito fondatore dell'urbe. Unico episodio del progetto iniziale che abbia preso
concretezza, ereditato e portato avanti con entusiasmo dal neo direttore dell'Argentina
Mario Martone, "O Dido" prende spunti e materiali da rielaborare da un
articolato e divertito soggiorno dell'intera compagnia l'anno scorso a Roma.
Schivando luoghi comuni di suggestione turistica o storica, la Bausch
si è fatta affascinare "...più per le rovine che per i restauri, dalla
emarginazione più che dalla centralità, dalla notte più che dalla mondanità."
Infatti, nel suo girovagare, si è soffermata in luoghi insospettabili, come racconta il
giornalista tedesco Thomas Radigk nel suo diario: "...un viaggio nella pancia di
Roma, spinti dalla curiosità alla ricerca di storie, Storia, immagini, voci e rumori. Per
mettersi a confronto...Sembra che non ci siano luoghi fuori luogo per Pina
Bausch"...Riconosciuta in un locale "la circondano, la mettono in mezzo,
chiedono, raccontano" e lei per niente sopraffatta, rimane "tranquilla in questa
tempesta di sensazioni e emozioni...I viaggi toccano stazioni, fermate nel flusso, attimi
di tregua, momenti di divertimento, come verso le due del mattino, ballare il tango a San
Lorenzo o in un capannone al Quadraro...Nel Grande Raccordo Anulare, la periferia romana,
affascinante miscuglio di maggese, abbandono, selvaggia creatività. In un campo nomadi a
festeggiare il compleanno di Zelko, patriarca e capoclan".
Ma risulta inutile cercare sulla scena "quadretti" romani. La
Bausch, come è nel suo stile, trasforma, rielabora, mescola, raccoglie solo l'eco
personale che gli stimoli provocano in lei e riporta le associazioni poetiche e le
immagini che ne scaturiscono. "Quando comincio un lavoro non so mai cosa ne verrà
fuori, dato che all'inizio non ci sono scene, non c'è testo, non c'è musica, non c'è
niente, c'è solo la mia compagnia, le persone con cui lavoro."
Confermando la tendenza degli ultimi spettacoli, c'è in "O
Dido" molta danza, di quell'ottima e sorprendente qualità sia tecnica che emotiva a
cui la coreografa tedesca ci ha abituato, soprattutto nei numerosi assoli di cui è quasi
esclusivamente composto lo spettacolo, salvo qualche scena di gruppo a carattere
fortemente teatrale, come quella ambientata nelle Terme, dove scorrono allegramente
secchiate d'acqua, vino e nudità. "Riguardo a questo spettacolo sono un po'
spaventata, perchè sull'anno 2000 c'è una incredibile aspettativa, ma gli esseri umani
sono così piccoli, e Roma è così incredibile. Si potrebbero realizzare 50 o forse più
spettacoli su Roma e comunque si mostrerebbero soltanto alcuni dei possibili punti di
vista, sempre parziali. Io ho potuto mostrare solo qualche aspetto, ma con tutto il mio
cuore e il mio amore per il vostro paese. E' un lavoro molto astratto, un lavoro su
diversi linguaggi, e quindi molto difficile da spiegare a parole."
Sulla comprensibilità razionale dei suoi spettacoli, la Bausch non
teme perplessità: "Credo che esista nella vita qualcosa che appartiene a tutti e che
continuamente cerco. Per me è molto importante che ognuno abbia fiducia nelle proprie
senzazioni, non importa quali siano, senza forzare nulla...Amo le cose "aperte"
che lasciano allo spettatore il tempo di esserci e di interpretare liberamente...Per me
sarebbe terribile dover dire quello che lo spettatore dovrebbe pensare e sentire
assistendo ad un mio spettacolo. In fondo credo che ciascuno di noi lo sappia già, lo
sappia da sempre, da qualche parte...forse non a parole. Ma è bello anche non sapere: è
magnifico. Tutte le cose che conosco non m'interessano più, perchè sono già fatte, già
viste. Trovo sia meraviglioso non sapere."
Un nuovo spettacolo di Pina Bausch è sempre un evento culturale, come
lo erano l'uscita di un nuovo film di Fellini o di Bergman, ma, così come non sempre i
film di questi maestri sono stati dei capolavori, così non ogni spettacolo della Bausch
lo è. Infatti, prendendo un po' di coraggio e nel obbligo dell'onestà, bisogna ammettere
che purtroppo "O Dido" non è un capolavoro. E' molto probabile che abbia
risentito della fretta e del poco tempo a disposizione per realizzarlo, come già la
Bausch, a Taormina per ricevere il premio Europa per il Teatro '99, ci avvertiva:
"Non c'era molto tempo, ma l'idea di tornare a Roma, l'idea di provare ancora in
questa città era così bella che non riuscivo a rifiutare. C'è così tanto da raccontare
in ogni luogo!".
Se ogni assolo per sè stesso è un momento indimenticabile di grande
emozione e varrebbe da solo il vedere lo spettacolo, nell'insieme "O Dido"
risulta incontrollatamente frammentario, con una regia teatrale approssimativa e
ripetitiva, che si fa forza di un fiume di bellissime canzoni, troppe e forse troppo
belle, e di una scenografia che per la prima volta sembrerebbe quasi inutile, rischiando
di diventare così un po' superficiale e futile, come la Roma che lei sembra velatamente
quanto ironicamente dipingere in alcuni momenti dello spettacolo. Comunque, il tutto di un
livello, dagli ottimi e intensi interpreti alla raffinatezza ed eleganza delle
coreografie, che ci si augurerebbe di trovare più spesso sulle scene italiane.