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Incontro con Sami Naïr

Sami Naïr con Giancarlo Bosetti


"La sinistra europea deve alzare lo sguardo, vedere il pericolo che gli entusiasmi neoliberali vecchi e nuovi per una globalizzazione incontrollata dell’economia ci portino verso una esplosione. La sinistra non puo’ limitarsi a fare l’imitazione della destra". E' la linea di Sami Naïr, una figura di rilievo della cultura politica francese ed europea.

Autore di saggi sull'immigrazione e il Mediterraneo, collaboratore di "Le Monde", di "Libération" e del "Pais", Naïr è uno che ragiona di globalizzazione sapendo che tra dieci anni la popolazione del Nord-Africa sara’ uguale a quella dell’intera Europa e immaginando che l’avvenire del nostro continente non potra’ essere disegnato solo dai poteri dell’area nord-atlantica. In piu’ è anche un dichiarato avversario del partito che definisce spregiativamente del TINA (da: There Is No Alternative).

Ha pubblicato con Edgar Morin un libro a quattro mani: "Une politique de civilisation", ora tradotto in italiano (Asterios editore). Sia lui che Morin cercano un'alternativa e, sulle tracce di Habermas, i fondamenti di una nuova politica per questa fine secolo, ma sostengono tesi diverse sul ruolo della globalizzazione, verso il quale Sami Naïr è piu’ decisamente critico. Contrario alla "terza via" blairiana, vicino a Jean-Pierre Chevènement, Naïr si colloca alla sinistra del Partito Socialista, per il quale è deputato europeo.

 

L’atteggiamento verso la cosiddetta globalizzazione è oggi forse l’elemento che di piu’ distingue tra i vari tipi di sinistra e di centrosinistra. I sostenitori della terza via la considerano soprattutto un’opportunita’ da cavalcare, altri ci vedono molti pericoli per il modello sociale europeo. Lei come si colloca?

Ritengo che la globalizzazione sia una sfida storica ineluttabile e che di conseguenza non sia possibile elaborare oggi una posizione politica che non ne tenga conto. Quindi non si tratta di un'opportunità, bensì di una realtà. D'altro canto, ritengo che la globalizzazione contenga in sé due aspetti contraddittori: da un lato un elemento di unificazione e di integrazione che è positivo, in quanto consente alle società che vi sono coinvolte di accedere al sistema mondiale; esiste tuttavia un aspetto assolutamente negativo, che è quello della frammentazione e della disintegrazione dei sistemi sociali esistenti.

 

Che cosa intende quando parla di processo di frammentazione? Si riferisce al processo di individualizzazione della società?

No, si tratta di un processo che tende a trasformare le società in micro-società, in modo tale che non abbiano la capacità di contrapporsi alle politiche che vengono decise dai protagonisti della mondializzazione odierna, che sono le multinazionali e il mercato dei capitali. La frammentazione consiste nell'indebolire gli Stati, vale a dire indebolire la volontà dei cittadini organizzati nelle istituzioni politiche. E anche nel provocare l'esclusione dei ceti sociali che non sono integrati nel sistema mondializzato. Consiste nell'aumentare l'arricchimento delle categorie sociali integrate in questo sistema, ma accrescere anche la povertà nel mondo.

 

Ma non è possibile resistere al processo di globalizzazione. Lei stesso ritiene che sia ineluttabile. Questo non significa che tutti debbono accettare che la nostra economia, dell'Est, dell'Ovest, in tutto il mondo, abbia bisogno di piu’ liberalismo e meno socialdemocrazia?

Non sono d'accordo con questa idea, in primo luogo perché ritengo che nella realtà la globalizzazione non sia un'astrazione. Si tratta di protagonisti economici che si muovono su scala internazionale, a loro volta sostenuti dal politiche statali che si esplicano su scala internazionale. E da questo punto di vista il ruolo degli Stati Uniti, dell'insieme europeo o del Giappone non è secondario. Quindi, che lo si voglia o no, si tratta di meccanismi in cui la politica è strettamente vincolata all'economia. In secondo luogo, è evidente che in questa globalizzazione vi sono dei buchi neri.

 

Che cosa sono i buchi neri?

Sono costituiti da tutta l'economia "para-statalista", o se preferite "parallela" che funziona oggi attraverso la mafia, la droga, tutto quel sistema economico che svolge un ruolo estremamente importante, come i centri off-shore e i paradisi fiscali. Penso che tutto questo debba essere controllato. E l’unico modo per farlo è la restaurazione, o forse dovremmo dire l'instaurazione, di una grande politica su scala regionale e, perché no?, mondiale. Credo che oggi sia necessario ripristinare la volontà politica per poter controllare il processo di globalizzazione.

 

E da che parte si puo’ cominciare?

Con un’azione che si muova su tre assi. Il primo, che chiamerei economico-ambientale-finanziario, un secondo asse politico e un asse culturale. Se non siamo capaci di intervenire su questi tre livelli, penso che nel tempo la globalizzazione provocherà la sua stessa esplosione, e il rifiorire dei nazionalismi, degli integralismi e dei ripiegamenti che già fanno capolino nella maggior parte dei paesi europei, per non parlare dei paesi dei terzo mondo.

Dal punto di vista economico la regolazione può assumere la forma di un impegno delle grandi strutture regionali (a cominciare dall'Europa) a ripristinare la trasparenza nel sistema finanziario internazionale. Si tratta di un elemento assolutamente essenziale, e questo può avvenire specificatamente con l'adozione di regole di prudenza da parte delle grandi istituzioni internazionali, il Fondo monetario internazionale, l'organizzazione mondiale per il commercio, la Banca mondiale, e lottando contro gli effetti destabilizzanti della troppo rapida circolazione dei capitali.

 

Qualche progetto piu’ preciso per l’Europa?

Penso che oggi sia necessario ridare vita a una bellissima idea portata avanti dagli italiani alla fine degli anni '80: quella di un Consiglio di sicurezza economico, capace di prendere posizione di fronte alle multinazionali, di fronte alle borse, e di fronte all'insieme dei protagonisti che oggi agiscono senza controllo.

 

E gli obiettivi politici?

Bisogna proporsi un obiettivo almeno su scala europea: la piena occupazione. Si deve lottare contro la precarietà. Non può accadere che, con il pretesto di adattare l'economia al sistema economico mondiale - come affermano tra l'altro i sostenitori della terza via – si attui una nuova forma di sfruttamento che faccia del XXI secolo il secolo della precarietà. Rischiamo di arrivare a questo attraverso il concetto della flessibilità.

Non sono d'accordo con chi sostiene che esiste una concezione di destra e una di sinistra della flessibilità, perché non penso che esista un capitalismo di sinistra e un capitalismo di destra. Penso che ci sia un solo capitalismo, che il mercato esista, che lo Stato debba essere un elemento di regolazione, a livello nazionale e a livello europeo.

Si tratta di difendere il modello sociale europeo, la civiltà europea fondata sull'uguaglianza e la giustizia di fronte ad un sistema che è invece fondato sull'individualismo, la precarietà e, in fin dei conti, su un'idea molto semplice, e cioè che l'occupazione sia una variabile d'aggiustamento dei profitti del capitale. La tradizione socialista, la tradizione di sinistra, sta nel fare in modo che il lavoro sia invece una variabile dell'integrazione sociale.

 

Nessuna concessione al modello americano, allora?

Credo che la grande battaglia del futuro sia tra il grande modello ugualitario europeo, che si è sviluppato in Germania, in Francia, in Italia, in Spagna, in tutti i paesi di tradizione, se così posso dire, egualitaria, in contrapposizione al modello non ugualitario, individualista, sostenuto dalla cultura anglosassone e americana.

In campo politico questo richiede che il ruolo dello Stato sia riportato al centro, e per un'unica ragione: lo Stato può fare previsioni a medio termine nel contesto sociale, mentre il mercato non può farle.

 

Ma lo Stato nazionale non era in via di estinzione?

No, solo lo Stato è in grado di rispondere alle esigenze di tempo sociale nella vita della gente, il mercato, dal canto suo, risponde solo alle esigenze di tempo commerciale; lo Stato è in grado di rispondere alle esigenze di integrazione sociale, il mercato non è in grado di farlo; lo Stato è in grado di rispondere al bisogno di una reale cittadinanza, di una cittadinanza sociale, di una politica della cittadinanza, il mercato vuole degli individui, ma non vuole cittadini.

Ma anche l’Europa è una opportunità, perché a livello europeo è possibile elaborare politiche macro-economiche comuni, grazie al coordinamento tra i governi, la Banca centrale, e anche grazie all'inserimento delle organizzazioni sindacali nel futuro dibattito economico. Penso anche che sia necessario riflettere molto seriamente sulla protezione degli eco-sistemi di fronte agli effetti destabilizzanti del mercato. Per non parlare ovviamente della necessità europea di sviluppare oggi una strategia autonoma di difesa.

 

Nella sua visione c’è anche un fronte di lotta culturale.

Bisogna capire che la cosiddetta "eccezione culturale" europea non è un atteggiamento schizofrenico: si tratta semplicemente del rispetto di un principio, il rispetto della diversità del mondo. E tra le diversita’ da rispettare c’è anche un principio secondo il quale le opere dello spirito non debbono

La mercificazione dello spirito è una cosa che non appartiene alla civiltà europea; il che significa che dobbiamo essere capaci di lottare contro l'industria culturale che tende a mercificare tutte le attività dello spirito. Per questo l'Europa deve sostenere l'attività dei talenti creativi europei e deve sostenere la necessità delle quote di fronte alle multinazionali dell'industria culturale che sono anch'esse europee, non sono necessariamente anglosassoni o americane. Ritengo che si tratti di una questione di civiltà.

Intorno a questi tre assi strategici è possibile far vivere il modello europeo e offrire al XXI secolo un modello di civiltà fondato sulla giustizia e l'umanità, molto semplicemente.

 

Come contrastare i processi di ripiegamento nazionalistico?

Favorendo la nascita di meccanismi di cittadinanza democratica, ad esempio su scala europea, affinché i popoli possano identificarsi con il processo di costruzione europea. Allo stesso modo, è necessario favorire dei meccanismi di cittadinanza mondiale, per evitare che questa globalizzazione porti ai fenomeni di cui vediamo sintomi un po' dovunque in Europa. In Francia abbiamo un movimento nazionalistico molto forte, anche in Italia sapete di che cosa si tratta, guardate che cosa accade oggi in Austria e in Svizzera, e nel terzo mondo.

 

So quale è l'obiezione di Blair, o che potrebbe essere anche l'obiezione di Clinton, alla sua linea sulla globalizzazione: l'alternativa, secondo loro, non è tra la loro posizione e una linea di maggiore controllo dei processi economici; l'alternativa è tra la loro posizione e i conservatori che vogliono un processo economico ancora piu’ sregolato.

Capisco questa obiezione solo perche’ viene da un'ottica di gestione "politicante" della globalizzazione. Io non credo che esista una unica alternativa rappresentata dalla terza via di fronte ai conservatori. Io vedo che quando i conservatori sono al potere praticano esattamente la stessa politica, con alcune piccole differenze, di quella che pratica Blair oggi.

Quale è la differenza strutturale tra la politica praticata oggi da Clinton e quella che è stata concretamente (e non dico ideologicamente) messa in pratica anche da Reagan nel corso degli ultimi anni della sua presidenza? Il vero problema non è tra loro, intendo tra Blair e la sinistra: il vero problema è tra Blair e i conservatori, perché sono appunto sulla stessa linea economica, anche se il blairismo non può essere ridotto ad un semplice conservatorismo.

Qui bisogna inventare qualcosa di nuovo e la grande sfida di oggi consiste nel pensare a quale potrebbe essere una vera e propria alternativa alla politica del "tutto è mercato", alla politica della deregulation, ad una politica che, in fin dei conti consiste nel sottomettere la società alle regole del mercato. La terza via non è una alternativa.

 

Esiste effettivamente una certa divergenza le posizioni di Jospin e i sostenitori della terza via. Lei non si sente rappresentato dalle posizioni di Jospin, di Martine Aubry, di Strauss-Kahn?

Lionel Jospin ha una posizione buona e pragmatica, che consiste nel porre il problema della regolazione del sistema economico internazionale. E' anche una posizione realistica sul piano europeo, vale a dire che intende avanzare seriamente ma progressivamente, non fare ideologia.

Penso che attraverso l'esperienza di Jospin si stia definendo un modello, che considera l'integrazione sociale un elemento centrale della propria politica, che considera la difesa del modello repubblicano egualitario francese un elemento importante. I nostri amici europei dovranno tenerne conto.


 

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