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Il fascino della storia ritrovata

Paolo Marcesini

 

Come un sospiro che arriva da lontano, il passato remoto torna a bussare alla porta della modernità, risale dalle viscere della terra, emerge dal mare e, come un antico guerriero, ci offre orgoglioso tutto il suo antico splendore. Ci fa sentire piccoli, modernamente e stupidamente inutili di fronte alla grandezza di ciò che siamo stati, di ciò che in fondo non siamo più riusciti a essere.

Noi, di fronte a così tanto tempo che è passato, ci mettiamo in fila. Vogliamo vedere, lasciarci trasportare da quello che è il più grande mito che resiste all’usura del tempo, il mito dell’antichità che torna a raccontarci sempre la stessa storia. Non è una passione avventurosa, non ci sentiamo degli Indiana Jones o personaggi dei romanzi di Christian Jacques e non pretendiamo nemmeno di essere come Schliemann che si era messo in testa di trovare la città di Troia, di recuperare il tesoro di Priamo e a Micene la maschera di Agamennone.

La nostra è una ricerca più intima, consapevole del battere insesorabile del tempo interiore. In un’epoca che ha travolto il tempo e lo ha trasformato in frenesia, non vogliamo più camminare senza sapere dove andare, incapaci di vedere la direzione del nostro destino. La postmodernità è questo, ci obbliga a volgere indietro lo sguardo, vogliamo vedere il punto di partenza, sapere qualcosa delle nostre orgini, riscrivere il codice dei nostri valori.

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Il nostro passato più remoto e oscuro ha il volto bendato di una mummia. Il regno dei morti che sfida l’immaterialità è il grande collettore delle nostre paure più profonde, ma anche della curiosità, della voglia di sfidare l’ignoto. La mummia è un simbolo, il sogno dell’uomo di rimanere integro, in attesa di un evento, uno qualsiasi (filosofie e religioni si sono sprecate) in grado di offrire nuova linfa vitale. I misteri del regno dei morti ci parlano attraverso duecentocinquanta mummie egiziane perfettamente conservate (ma ce ne sono altre migliaia) trovate scavando nel deserto del Sahara, nell’oasi di Baharya a 400 chilometri a sud ovest del Cairo. Una necropoli scoperta già quattro anni fa, tenuta gelosamente segreta per evitare il saccheggio dei corredi funerari da parte dei profanatori di tombe. In quella che oggi è l’oasi dei morti c’erano i vigneti, si faceva del buon vino, passavano le carovane dirette verso il Nilo. Prima dell’arrivo della sabbia del deserto che avrebbe coperto ogni cosa, quella era una terra fiorente, densa di buone promesse.

Oggi gli occhi delle mummie ti fissano, sembrano vivi, ti invitano a riflettere con calma sul destino di tutta l’umanità. Ti guardano e le domade sono sempre le stesse: chi siamo, da dove veniamo, dove andremo. Alcune, le più povere, sono vestite di lino, altre sono coperte d’oro, sontuosamente truccate; alle pareti delle loro tombe ci sono dipinti di scene religiose, i riti funerari del grande libro che insegna le regole per tornare alla nuova vita. Le tombe sono grandi, in alcune ci sono più di cento corpi, uomini, donne e bambini. Chi c’è entrato, ha raccontato di aver sentito ancora l’odore di resina usato dagli antichi egizi.

I corpi, i tanti corpi, di Baharya raccontano storie di vita, di malattia, di gioia, di dolore. Una donna sdraiata accanto al marito ha la testa delicatamente appoggiata a quella di lui. Un’altra sorride, ha una maschera d’oro, sembra guardare dietro di sé, per vedere chi arriva. Il volto imbalsamato di una donna guarda chi la guarda con occhi spalancati e dolcissimi, accanto a lei giace il corpo di un uomo, il marito, e quello di un bambino, il figlio di pochi anni. Non c’è alcuna traccia di dolore sul loro viso. Zahi Hawass, direttore delle antichità del Cairo, di fronte alle mummie di due amanti, ha detto: "Sono l’uno di fronte all’altro. Sembra che si guardino. L’emozione mi paralizza. Ma ecco un’altra porta. Vado avanti e sono stordito dalla meraviglia".

E intanto pensi che tutti gli uomini, in tutte le epoche, hanno fatto i conti con la morte, hanno cercato di superare la paura, di credere all’esistenza di un’altra vita o di una vita di riserva. Gli dei devono proteggere i morti, aiutare il passaggio dalla terra allo spirito e assicurare il viaggio di ritorno. Dio ti da una mano, ti protegge con le sue ali, non devi aver paura, se saprai onorarlo e aspettare, potrai un giorno tornare alla luce. Le mummie ti raccontano questa storie e tu le ascolti, il cobra che sorregge il disco del sole, il falco di Horus e lo scarabeo sono lì, seduti accanto all’anima dei morti che aspettano la rinascita, e sorridono. Anche le tombe sono fatte di camere e anticamere, non ci sono porte, è tutto aperto, il giorno del passaggio non ci devono essere ostacoli. L’archeologo guarda l’oasi con stupore e cammina in silenzio, non vuole disturbare, rispetta l’attesa. E noi con lui dobbiamo solo guardare e imparare.

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Il caso aiuta le scoperte. Nell’oasi di Baharya il caso è stato aiutato dallo zoccolo di un asino che è inciampato affondando in un avvallamento del terreno. Il proprietario dell’asino ha capito subito che lì sotto, da almeno venti secoli, c’era sepolto un tesoro. E ha iniziato a scavare...

Intanto a Luxor l’archeologo americano Weeks sta scavando le tombe dei figli di Ramses II. Lì accanto c’è la tomba di Tutankhamon, il più famoso faraone d’Egitto morto a soli diciannove anni, la tomba più famosa del mondo "trovata" nel 1922 da Howard Carter e Lord Carnarvon. Scavando lì vicino Weeks ha trovato resti delle bottiglie di champagne usate per il brindisi del ritrovamento. Erano felici i due archeologi, la tomba era intatta con tutti gli arredi funerari, i suoi tesori.

L’antichità insomma è di moda. I turisti si mettono in coda per vedere a Roma la Domus Aurea, la casa dorata di Nerone, oppure in Libia, a Leptis, per l’arco di Settimio Severo, il tempio Flavio, le terme, o a Lemno, in Grecia, dove a pochi chilometri di distanza Schliemann trovò i primi resti della città di Troia. O a Bosra, in Siria, o ad Aleppo, che i siriani considerano la città più antica del mondo. Oppure, ancora, in Iraq ad Hatra e nella valle dell’Indo, ad Harappa dove sono stati scoperti esempi di scrittura che risalgono al 3200 a.C. E ancora, nel complesso architettonico di Khajuraho in India o alla ricerca dei segreti di Babilonia e del suo grande re Nabucodonosor. E ancora, ancora, ancora.. tutti in fila a vedera la storia ritrovata.

 

 

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