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Cerco il dialogo, ma Pechino non risponde

Intervista al Dalai Lama di Tommaso Debenedetti


"Se la Cina riconoscesse l'autonomia del Tibet, avrebbe grandi vantaggi. Non solo vantaggi d'immagine, ma anche politici: un gesto simile, infatti, aiuterebbe, ad esempio, a risolvere la questione di Taiwan".

Parla e sorride, il XIV Dalai Lama. Ha nello sguardo, nei toni, una saggezza felice, che ha saputo mantenere nonostante quarant'anni di esilio. Lo incontriamo a Roma, dove per qualche giorno è ospite dei Ds. Garbato ma fermissimo quando la conversazione tocca temi politici, il leader tibetano, considerato la reincarnazione del Buddha, ci risponde con modi insieme gentili e distanti, come un'imperturbabile divinità delle montagne.

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Che cosa sta succedendo del suo Tibet?

Ricordo un Tibet felice. Oggi, invece, la mia terra è povera, martoriata da decenni di violenze a causa dell'occupazione cinese.

 

Molti tibetani in esilio chiedono l'indipendenza dalla Cina.

Io non sono d'accordo. Penso che occorra seguire una via più moderata. Per il momento, sarebbe opportuno che il Tibet ottenesse lo status di provincia autonoma. Come si vede, non chiedo troppo, e la prima ad avvantaggiarsi di un tale gesto sarebbe proprio la Cina.

 

Ma Pechino non ne vuole sapere...

Infatti. Qualunque cosa io faccia, credono che stia fomentando chissà quale complotto controrivoluzionario, e invece cerco solo il dialogo. Ho tentato di parlare con i governanti di Pechino, ho scritto lettere. Nessuno mi ha risposto.

 

E allora?

Allora resta la speranza che i governanti cinesi capiscano, che le cose cambino.

 

Pensa che l'attuale leadership cinese si ravvederà?

Lo spero. Ma vedo anche segnali diversi, che per la causa tibetana sono incoraggianti.

 

Quali?

In Cina, posso dirlo con certezza, cresce l'insofferenza verso il regime, e cresce soprattutto l'esigenza di una religiosità, di una spiritualità che decenni di comunismo hanno represso e umiliato.

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Lei si considera anticomunista?

No. Il marxismo, in sé stesso, è un'ottima teoria, ma è stato tradito dai totalitarismi. Le dico di più. Ho conosciuto bene Mao Zedong. Prima di instaurare un regime crudele e dittatoriale, egli era un ottimo leader. Se avesse applicato davvero le teorie che professava fino agli anni '50, oggi la Cina sarebbe un paese diverso, prospero e felice.

 

Vorrebbe tornare in Tibet come capo politico-religioso?

Vorrei l'autonomia del Tibet e vorrei ritornarci. Se da capo religioso, politico o da semplice cittadino, dovrà essere il mio popolo a deciderlo.

 

Che cosa pensa della grande diffusione del buddismo in Occidente?

Penso che ognuno debba seguire la religione dei propri padri, quella in cui è nato, più che andar dietro agli entusiasmi per le novità. Parlando, ad esempio, dell'Italia, non faccio mistero di preferire un buon cattolico, aperto e tollerante, a un buddista impreparato che crede che lo yoga sia un esercizio ginnico rilassante...

 

La sento molto critico.

Non mi piacciono i miscugli religiosi come quelli attuati dai seguaci della cosiddetta New Age, nè l'abitudine di appassionarsi alle religioni per moda o per sentito dire. Detto questo, aggiungo che il male maggiore, in ogni caso, è comunque l'assenza di una fede, il non credere in nulla di trascendente.

 

 

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