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Husserl e Wittgenstein, idee che lasciano il segno

Diego Marconi e Carlo Sini con Alessandro Lanni e Susanna Marietti


Che ne è della filosofia nel Novecento? Come già accadde nel secolo scorso, più volte e da più versanti ne è stata annunciata la morte. Gli ultimi maîtres à penser dichiarano la sua inutilità, l’incapacità essenziale di corrispondere alla propria vocazione metafisica. La crisi dei fondamenti e delle ideologie, sostengono, ne ha decretato l’impossibilità di principio. Prendete la filosofia per quello che è, una forma di letteratura, consiglia l’ultima leva di postmodernisti, neopragmatisti, poststrutturalisti. Su entrambe le sponde dell’oceano sembra non esserci più spazio per chi ritiene ancora che l’interrogazione filosofica possegga un proprio status, che vi sia qualcosa da domandare attorno all’essere e alla conoscenza, al bene ed al linguaggio.

Ma, ci chiediamo, è davvero il nostro secolo quello nel quale si conclude il cammino della filosofia intera? L’esperienza teoretica, quell’‘esperienza della verità’ iniziata nel mondo greco oltre duemilacinquecento anni fa, è giunta effettivamente alla propria fine? Ci troveremo un giorno a sorridere della filosofia, così come oggi accade con l’alchimia e col suo sapere ormai lontano e vuoto?

Su questo, Caffè Europa ha deciso di sentire due voci significative, e per molti aspetti contrapposte, del panorama della filosofia italiana contemporanea. Tradendo così la consuetudine di questa rubrica sul ‘meglio del secolo’, che ascolta usualmente un testimone alla volta, abbiamo chiesto a Diego Marconi e a Carlo Sini - che insegnano, rispettivamente, Filosofia del linguaggio all’Università del Piemonte Orientale e Filosofia teoretica alla Statale di Milano - di gettare uno sguardo sugli ultimi cento anni della filosofia. Rappresentanti delle due correnti principali del pensiero filosofico di fine millennio, la scuola analitica e quella continentale, hanno risposto come segue.

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Quale indicherebbe come l’opera filosofica maggiormente significativa del ’ 900?

"Indicherei La crisi delle scienze europee e la filosofia trascendentale di Husserl per vari motivi" risponde Sini. "Anzitutto quest’opera incompiuta suggella il cammino della fenomenologia, che è l’impresa filosofica più ampia, più profonda e durevole del nostro secolo. In essa poi si compendia e si decanta il cammino personale di Husserl, attingendo alcuni esiti decisivi che ritengo acquisiti per sempre dalla filosofia (come la rivoluzione copernicana di Kant o la dialettica di Hegel). Infine la Krisis, e in generale tutto il progetto della fenomenologia, raccolto nel corpus sterminato dei manoscritti di Husserl, la cui conoscenza è ancora in fieri, costituiscono l’unica proposta e risposta schiettamente ‘positiva’ al generale nichilismo che ha invaso la vita e la cultura europee".

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E secondo lei, professor Marconi, qual è l’opera filosofica più significativa del secolo che si sta chiudendo?

"Bisogna intendersi: il libro maggiormente significativo per la filosofia del ’900 o per noi oggi? Ci sono libri oggi assai poco letti la cui influenza sulla filosofia del ’900 è stata immensa, come il Saggio sui dati immediati della coscienza di Bergson o i Principi di psicologia di William James. Ci sono libri che sono stati molto noti e molto letti, come l’Estetica di Croce, Il tramonto dell’Occidente di Spengler o L’essere e il nulla di Sartre, che oggi vengono ricordati con distacco, o addirittura con qualche imbarazzo. Stando al Philosopher’s Index, il filosofo contemporaneo più citato nella letteratura professionale (almeno nella seconda metà del secolo) è Heidegger (3529), subito seguito da Wittgenstein (3285) e poi da Husserl (2299), da Russell (1694) e da Quine, primo dei viventi (1485). Facendo una specie di media, del tutto soggettiva, tra influenza culturale, pregi intrinseci e durata prevedibile nel prossimo futuro, nominerei quattro libri: Essere e tempo di Heidegger, le Ricerche filosofiche di Wittgenstein, Parola e oggetto di Quine e Nome e necessità di Kripke. Scelgo di parlare delle Ricerche filosofiche perché è quello che conosco meglio, perché il suo rilievo mi sembra fuori discussione, e per affinità personale."

 

In che modo la Krisis di Husserl e le Ricerche wittgensteiniane segnano una discontinuità rispetto alla filosofia precedente?

"Con le Ricerche" continua Marconi "Wittgenstein ha fatto molte cose: ha inventato (e praticato) una nuova concezione della filosofia, che comporta tra l’altro un tipo di scrittura filosofica del tutto nuovo; ha criticato a fondo la metafisica, cioè la confusione tra ricerche fattuali (sul mondo) e ricerche concettuali (su come parliamo del mondo); ha mostrato che tra una comunità umana e il suo sapere c’è un rapporto di fondazione reciproca; ha ricondotto il pensiero al linguaggio."

Sini - che fu allievo di Enzo Paci, grande interprete di Husserl in Italia - ritiene che "la discontinuità è da cogliersi nell’atteggiamento anti-intellettualistico di Husserl, così radicato da rimettere in questione e in gioco l’intero arco dei saperi tradizionali. In tal modo, la fenomenologia, e la Krisis in particolare, rivivono nel modo più genuino l’intenzionalità filosofica delle origini, l’abito socratico, ovvero ciò che io chiamo l’‘etica del pensiero’. Ma per altro verso la fenomenologia disegna un nuovo modo di esercitare la teoria, di fare cioè del pensiero un esercizio, una ‘prassi teorica’, fornendo un modello costruttivo non alla filosofia soltanto, ma a tutte le scienze."

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Ma in che modo hanno effettivamente influenzato il modo di fare filosofia del ’900?

Per Sini, "basterebbe ricordare che la fenomenologia ha influenzato da un lato le ricerche logiche di tendenza neopositivistica e dall’altro ha determinato, o partorito dal suo seno, l’esistenzialismo e l’ermeneutica. Ma bisogna poi aggiungere l’influenza vasta e perdurante sulla psicologia, la psichiatria, la sociologia, l’antropologia, l’estetica e la pratica artistica. In particolare la Krisis ha poi imposto alla filosofia il metodo della ricostruzione genetica e la consapevolezza delle operazioni fondanti come terreno ultimo di senso del fare filosofico."

Tra i molti temi che si potrebbero affrontare, Marconi sceglie di sottolinearne uno. "Le Ricerche colpiscono a morte la tradizione agostiniano-cartesiana, secondo cui la verità abita in interiore homine. Wittgenstein ha fatto vedere che l’introspezione non è una via d’accesso privilegiata alla conoscenza, nemmeno alla conoscenza di sé (perché i presunti ‘oggetti interni’, privati, a cui soltanto noi avremmo accesso, non sono affatto oggetti di conoscenza); verità e falsità sono proprietà delle espressioni di un linguaggio intrinsecamente pubblico, le cui espressioni ricevono significato dal fatto di essere usate (secondo regole) all’interno della comunità a cui apparteniamo, e non dalla loro connessione con i nostri pensieri, idee, immagini o altri enti depositati all’interno della nostra mente. Facendo vedere che l’interiorità non è un luogo privilegiato di conoscenza, Wittgenstein ha tolto di mezzo l’Io cartesiano, il concetto di evidenza, la distinzione tradizionale tra conoscenza intuitiva e conoscenza discorsiva, e ha reso meno plausibile la contrapposizione tra ‘comprendere’ e ‘spiegare’, e quindi tra scienze dello spirito e scienze della natura."

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Un’ultima domanda. Sembra proprio, da quanto è stato qui detto, che la filosofia non sia destinata a morire con il chiudersi del millennio. Come ci si può aspettare, allora, che i testi dei quali abbiamo parlato continueranno a venir recepiti nel secolo futuro?

"Una parte notevole della filosofia che si fa oggi, almeno in ambito analitico" dice Marconi "è dominata o dalla metafisica, o dal naturalismo (la disgiunzione non è necessariamente esclusiva). Molti sono tornati a pensare, soprattutto per influenza di Kripke, che la ricerca dei caratteri necessari della realtà sia del tutto legittima, e non nasca affatto - come invece pensava Wittgenstein- dall’equivoco di imputare alla realtà quelli che sono tratti del nostro sistema di rappresentazione, cioè del linguaggio o dei linguaggi in cui parliamo della realtà. D’altra parte, molti altri sono stati indotti da Quine a concepire vari problemi filosofici come problemi di scienza naturale, e la filosofia come continua con la scienza. Secondo costoro, Wittgenstein sbagliava a separare nettamente ricerche fattuali (scientifiche) e ricerche concettuali (filosofiche). Dunque in questo momento il pensiero di Wittgenstein non è particolarmente popolare, anche se molti suoi temi (ad esempio, che cosa sia una regola e in che cosa consista seguire una regola) continuano a essere al centro dell’attenzione. Ci sono segnali di un’oscillazione del pendolo nel senso opposto (Mente e mondo di McDowell è uno di questi segnali), ma è sempre futile cercar di prevedere, a questo livello di generalità, come andranno le cose in futuro."

Di tono diverso la risposta di Sini. "Husserl nella Krisis ha prefigurato un ‘pensiero di nuovo genere’, una nuova ‘prassi filosofica’, attribuendole il compito di un ‘mutamento degli interessi’ e di una radicale ‘conversione’ non soltanto nella cultura ma anche nella vita dell’umanità europea; una rinascita capace di coinvolgere anche l’umanità di tutte le altre culture. Credo che il secolo che ora si apre non potrà ignorare la grande eredità husserliana per affrontare i suoi problemi."

 

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