Certo se la bellezza della
città dovesse consistere nel suo "arredo" - garbate pavimentazioni stradali,
belle panchine, aiuole distensive, lampioni gradevoli - questa opinione non sarebbe poi
del tutto fuori luogo, ma in realtà in Europa lestetica della città è forse
il problema sociale fondamentale.
Le città europee che si formano verso l'anno Mille sono, proprio come
oggi, delle civitas democratiche, dove ciascuno può ascendere fino ai vertici la
scala sociale in forza solo della sua capacità nel lavoro - artigiano o giurista,
mercante o architetto - a prescindere dalla sua condizione di nascita.
Poiché però, secondo la tradizione franca, le istituzioni e le
persone esistono socialmente solo in quanto accettino i diritti e i doveri della loro
condizione e siano titolari del possesso di una terra, la città ha giurisdizione sul
proprio territorio e a loro volta i cittadini sono tali soltanto purché giurino di
rispettare lo statuto della civitas e possiedano una casa nella città. Le medesime
condizioni vengono richieste anche oggi: quando trasferiamo la residenza in un nuovo
Comune è implicita ladesione allo Statuto cittadino e ci viene chiesto quale sia
lindirizzo della nostra nuova casa.
Sicché la civitas, linsieme morale dei cittadini, è
strettamente connessa allurbs, linsieme materiale delle loro case, che
sono per questo unite come il palmo e il dorso della mano.
Poiché le case sono la cittadinanza, le loro facciate e il loro
sito rispecchiano lo status - di ricchezza, di cultura - dei cittadini che le
abitano. Alla metà dellXI secolo i terreni edificabili nel centro di Milano
costavano tre volte tanto quelli della periferia, più o meno il rapporto di oggi: divari
troppo superiori rispecchierebbero differenze di ceto tra i cittadini eccessive,
incompatibili con lo sfondo egualitario della democrazia cittadina. La spesa per decorare
le facciate è a sua volta spesso nel mirino dei predicatori - di Alessandro Neckam o di
Bernardino da Siena - che considerano quei denari buttati e meglio spesi
nellelemosina ai poveri.
La città è poi punteggiata da temi collettivi dove la civitas
- proprio come il singolo cittadino nella propria casa - in quanto soggetto olistico
esprime la propria consapevolezza di sé rispetto ai suoi propri cittadini, che vi
vedono simbolicamente rappresentata la loro identità collettiva, e rispetto alle altre
città in un serrato confronto di rango.
I temi collettivi, che costituiscono il pegno di uno scambio simbolico
della civitas con i suoi cittadini e di una città con tutte le altre, non sono
regolati dalla razionalità dei fini e dei mezzi ma da quel vistoso e visibile spreco che
caratterizza la sfera del dono. Cattedrali, palazzi municipali, archi trionfali, strade
monumentali, teatri, parchi, stadi sono spese gigantesche per unutilizzazione
pratica in genere molto ridotta, e devono inoltre ostentare unarchitettura
monumentale che a sua volta ne aumenta ulteriormente il costo.

La loro realizzazione è preceduta dal maturare in Europa, nel corso di
un paio di secoli, della consapevolezza del rilievo sociale di un determinato
comportamento o sentimento, finché le città non sono dovunque pronte a confrontarsi tra
loro costruendo un manufatto fisico che lo rappresenti. Così per molte generazioni
lassemblea civica veniva tenuta in un prato fuori porta, le riunioni del Consiglio
nella chiesa, quella della Giunta in casa, e infine gli archivi in un campanile o in una
torre.
Dopo la pace di Costanza, con la quale nel 1183 limperatore
riconosceva i Comuni come soggetti politici, tutte le città costruiscono invece il loro
palazzo municipale e inventano la piazza - le piazze non esistevano ancora - per
lassemblea. Così il primo sostenitore moderno del mens sana in corpore sano,
Jahn, inventa la ginnastica verso il 1810, mentre le palestre cominceranno a diffondersi
cinquantanni dopo, le Olimpiadi e gli sport a fine Ottocento, gli stadi nel corso
del nostro secolo.
Non tutti i cittadini sono daccordo sulla realizzazione di un
determinato tema collettivo, perché ogni gruppo vorrebbe quello che gli sta a cuore - chi
un parco, chi uno stadio, chi una biblioteca - e lascerebbe perdere quelli degli altri,
sicché la loro costruzione inizia spesso con molto ritardo rispetto ad altre città (i
milanesi inizieranno il Duomo trecento anni dopo i pisani) o non inizia mai (Bari non ha
mai avuto un giardino pubblico in centro) e prosegue, come quella del nuovo Piccolo Teatro
a Milano, tra feroci polemiche.
I temi collettivi non vanno confusi con i servizi, che concernono
prestazioni comunali cui il cittadino ha diritto in forza soltanto della solidarietà
della civitas, che sono connaturate alla sua fondazione mille anni fa e la cui
gamma non può venire arricchita: sono poi la scuola pubblica sine latino
che si vede a Siena al centro del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti, e lassistenza
sanitaria materializzata nellospedale (e naturalmente anche il sussidio di povertà,
che darà luogo agli Hotel Dieu o agli immensi Alberghi dei poveri di Palermo, di Napoli,
di Genova). Questi, essendo edifici obbligatori, non pretendono spreco. Sulla loro
realizzazione, al contrario che per i temi collettivi, non cè contrasto tra i
cittadini, perché nessuno potrebbe dichiarare che un cittadino non abbia diritto alla
scuola o al presidio sanitario.
La presenza dei temi collettivi testimonia ai cittadini la loro
appartenenza a una civitas democratica della quale condividono il destino, e che è
per loro come un organismo olistico - "un padre", dirà Brunetto Latini - con un
proprio destino e una propria volontà di ordine, superiore a quella dei cittadini che la
compongono.
E allora chiaro perché la città sia in Europa, per sua
intrinseca natura, lespressione di una volontà estetica espressa nelle facciate
delle case e nei temi collettivi, e come quindi la bellezza non sia affatto una ciliegina
ma sia al contrario lanima del suo modo di esistere; resta da vedere in che modo
costituisca un problema.
La sottolineature simbolica dellappartenenza del cittadino alla
città che i temi collettivi procurano è in Europa essenziale perché, mentre in tutte le
altre società gli uomini appartengono prima di tutto a una gens, a un clan, a una
tribù, a unetnia, a una fede, soltanto in Europa essi appartengono - nella forma
della cellula familiare che noi conosciamo benissimo - prima di tutto a una città.
Prometeo fu incatenato a una rupe per aver dato agli uomini -
altrimenti incapaci di sollevare la mente dal pensiero ossessivo della propria morte - la
speranza e il fuoco, la capacità di fare progetti tecnicamente realizzabili dove si
annida lirragionevole speranza dellimmortalità. Ma questa speranza ha un
senso solo purché gli uomini appartengano a una società che duri più della loro vita
individuale, una società che, venendo da un tempo immemorabile, prometta di durare senza
fine, una società sentimentalmente percepita come immortale nella quale noi stessi saremo
immortali.
Per questo i selvaggi mangiano ritualmente i corpi dei trapassati, per
questo la gens tramandava i lari, per questo è necessario il culto degli antenati
- la dimensione antica dello storicismo positivista -, per questo la nostra città
devessere immortale e immortali sono i suoi temi collettivi, la cui presenza ci
assicura sentimentalmente e materialmente che le apparteniamo. Ed essa appare immortale
perché è intrisa della volontà estetica dei suoi cittadini come individui e come civitas,
e nella tradizione occidentale la bellezza dellopera darte è eterna.
Lespressione simbolica dellappartenenza di ogni cittadino
alla città, assicurata dai temi collettivi, dovrebbe, nella prospettiva democratica della
civitas, essere egualitaria, ma il fatto è che alcune case - quelle più costose
sui terreni centrali - sono più vicine alla cattedrale, mentre quelle della periferia
sono spesso in un deserto del senso.

Il problema dellurbanistica da mille anni a questa parte è
precisamente questo: come sia possibile far convivere limmagine di una civitas
democratica ed egualitaria, che regola la nostra percezione del mondo, con il fatto
evidente che lurbs, nella cui consistenza fisica si specchia la gerarchia
sociale, denuncia visivamente lo scarto tra lorizzonte immaginario e la realtà.
Per intanto i lotti edificabili saranno stretti, in modo da consentire
a ciascuno di affacciarsi su una strada e poter mostrare pubblicamente la propria
identità attraverso la facciata della casa. Se è poi ovvio che i maggiorenti abbiano
casa nella piazza principale, bisognerà fare in modo che le strade secondarie abbiano
almeno uno sbocco sulla piazza, e se la strada principale gode della veduta della porta
della città, le strade secondarie abbiano almeno la veduta di una torre: questo è
lespediente adottato da Arnolfo di Cambio a San Giovanni Valdarno, anche se così le
torri dallesterno non apparivano equidistanti.
Quando nel Quattrocento la popolazione delle città ricominciò ad
aumentare - una sensazione piuttosto che un riscontro statistico - divenne evidente che lo
stock dei temi collettivi disponibile era relativamente scarso rispetto alle loro nuove
dimensioni (la cattedrale o il palazzo municipale non possono evidentemente venire
duplicati), sicché le strade dritte con il fondale della porta o di una torre, progettate
tra il Duecento e il Trecento, nelle città nuove verranno riprese su una scala molto più
ampia. In questo modo sembrarono una soluzione ragionevole, anche se non esaustiva. Nel
progetto della sua città ideale, la Sforzinda, Filarete disegna strade lunghe, dalla
piazza centrale alla porta corrispondente, addirittura tre chilometri, e la prime
realizzazioni, a Ferrara la Giovecca e a Roma la via Alessandrina e la via della Lungara,
sono dellordine dei mille metri.
Lo schema di sfruttare al massimo lefficacia simbolica dei temi
collettivi, collocandoli al termine di lunghe prospettive, avrà una rapida e duratura
diffusione - tutti conoscono gli Champs-Elysées a Parigi, il viale della Libertà a
Palermo, la via di Toledo a Napoli, il viale Carducci a Livorno, il viale della Vittoria a
Ancona - e sarà fino a cinquantanni fa lartificio più corrente per
assicurare anche ai cittadini delle periferie più nuove e lontane il sentimento della
loro dignità di cittadini.
Sarà lurbanistica moderna, con il suo principio funzionalista,
ad incrinare questa tradizione, ad immaginare che la città sia linsieme di
quartieri o di edifici isolati tra loro che potrebbero appartenere a qualsiasi città e
forsanche a nessuna, e mentre nella parte ottocentesca di una grande città come
Milano o Parigi il senso dellappartenenza è mantenuto vivo da temi collettivi di
architettura consapevolmente cospicua situati al termine di lunghe prospettive, che
coinvolgono tutte le zone intermedie, nella periferia moderna di città molto meno grandi
le nuove case sono sorte senza affacciarsi sulle strade che testimoniavano la continuità
del loro legame fisico attraverso i secoli, dove anche i temi collettivi hanno perso il
loro risvolto simbolico, le chiese sembrano capannoni e le delegazioni municipali, invece
dessere le grandiose mairie degli arrondissement di Parigi o di
Bruxelles, sembrano palazzine.
Le città nuove, ovviamente, non funzionano gran che meglio delle
antiche, perché la funzionalità è connessa a una razionalità tecnico-economica i cui
termini, legati al progresso, cambiano per loro natura più rapidamente dei muri delle
città, legati alla stabilità nel tempo di una immagine simbolica, sicché sono piene di
scuole derelitte, di campi di gioco in disuso, di case popolari fatiscenti. Nella città
antica, quando la regola aggregativa degli edifici era prima di tutto estetica, vecchi
conventi diventavano caserme e poi scuole e oggi forse musei, mentre una città fatta di
funzioni rigide diventa rapidamente obsoleta.
In tutto questo intravediamo linconsapevole disprezzo delle
élite per i ceti meno privilegiati, di architetti - di sinistra - che si guardano bene
dallandare ad abitare nelle periferie da loro stessi progettate e che trattano gli
uomini come mezzi per i loro esercizi formali, anziché vivere con rispetto il problema
della dignità di ogni uomo.
E tecnicamente del tutto possibile stendere un progetto che
riprenda il filo interrotto dei progetti ottocenteschi - io stesso ne ho steso uno per
Moderna - ma lostacolo più serio è la riconversione delle mentalità: come diceva
Maxwell parlando delle teorie scientifiche, "una nuova teoria non si impone per la
sua verità ma solo perché muoiono i sostenitori della vecchia".