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Pirla si nasce e io lo nacqui Ivan Della Mea
Questo articolo è apparso per la prima volta su il
manifesto
C'era una volta un pirla.
Piccolissimo, nel brefotrofio, scoprì il valore dell'uguaglianza: se ambiente e
condizioni di vita fanno classe, lì la classe era unica: tutti pirla, uniti dalla guerra
seconda e mondiale e dalla fame. Pisciava nel letto e lo costringevano ad andare in
refettorio con le mutande pisciose calzate sulla testa: il che fa molto pirla e lui così
si viveva.
Amava le bestie: tentò di
accarezzare un gallo sulla testa e si prese una beccata da pirla. Amava le piante. Ci si
arrampicava. Ci cascava. Si fratturò il braccio sinistro due volte: come un pirla. Amava
cantare, ma sull'arpa d'or de' fatidici vati lui gli dava dentro in modo tale che tutti
copriva e allora la suora lo cacciava in fondo al coro e oltre, da solo, a urlare come un
ossesso, o meglio, come un pirla.
La frequentazione
successiva di collegi, religiosi o laici che fossero, lo convinsero che la classe dei
pirla aveva una consistenza non indifferente. Letture partigiane lo indussero alla sua
prima e vera espressione politica: "Pirla di tutto il mondo unitevi". Andò in
casino, leggi confusione, nel Sessantotto: tra i pirla c'era sempre un pirla più pirla di
tutti i pirla: un pirlone, futuro giornalista, opinionista di fama, anchor-man,
video-bucatore, direttore di giornali, martellante consulente di politici, eccetera
eccetera eccetera.
La sua protesta nei
confronti delle nuove burocrazie che si autoeleggevano a oligarchie vere e proprie
ancorché "sinistre" e "rivoluzionarie" lo indussero a coniare due
nuove parole d'ordine in controtendenza: "Il pejote dev'essere operaio" e, a
seguire, "Il popolo è bue e armato perderà". Suoi canti preferiti divennero:
"Avanti Foppolo / con la ricotta / bandiera rotta / trionferà!" e
"Compagni dai prati e dalle piscine / prendete la felce portate il mirtillo /
scendete giù in piazza con bocce e birillo / scendete giù in piazza insieme a
D'Alema".
Invecchiando il nostro
pirla mise assieme una quantità inverosimile di rughe e per qualche tempo si propose come
organetto diatonico per il folk-revival dell'etnico. Poi, comiciarono gli acciacchi e gli
insulti dovuti a una vita tanto disordinata quanto pirla. Paranoico e ipocondriaco,
bulimico anche, con quaranta chili sovrappeso, la circolazione del sangue sputtanata,
bronchi e polmoni enfisematici, miopia e presbiopia e astigmatismo ensemble, ipossemia, il
nostro pirla si ritrovò mezzo: mezzo pirla e con un depressione bipolare.
Cercò di farsene una
ragione dandosi a letture esoteriche: i ching (come cacchio si scrive?) con l'jin e lo
jang, tarocchi egiziani, cip e ciop, gianni e pinotto e quant'altro compreso il basic e il
turbopascal e philip kappa dick e ballard. Tutto, tutto, tutto fu conferma di quanto già
sapeva, come a dire di quanto già viveva e come: come un pirla dimezzato bisognoso di
prozac. Si disse: fosse mai che ho perso la mia parte sinistra e che possa così
finalmente aspirare a divenire un coglione rampante? 'gnornò, anche perché un pirla di
questa fatta è proprio pirla del tutto, non c'è scampo.
Profittando
dell'ospitalità del "Manifesto", lanciò appelli, propose agorà, s'inventò
rave su monti, cercò la Titina e fors'anche la tettina d'una sinistra sparsa e diffusa e
soffusa e confusa a shaffusa e libertaria e incasinata e disperata ridotta alla frutta e
alla cioccolata ma disponibile, io credo ancora, sia ad accendere in allegria ottomila
torce per scrivere nella notte, e diffondere via internet, "Milano fa male", sia
a faticare la costruzione milanese di una Casa dei popoli e delle culture, sia a giocarsi
la propria con l'altrui differenza in un Portofranco. Toscana: terra dei popoli e delle
culture: non è la rivoluzione, ma dà speranza anche a un pirla, anzi, a un pirla
dimezzato.
Come me. Come me.
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