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Il rivoluzionario Piano Marshall

Vittorio Foa con Giancarlo Bosetti

 


A chi gli chiede bilanci di fine secolo e magari di tornare sulle consuete controversie storiche – comunismo, nazismo, Olocausto, Resistenza, cause e concatenazioni di eventi – alle quali non si è mai sottratto, Vittorio Foa risponde rimandando a discussioni gia’ fatte e a libri, suoi, gia’ scritti. In questo momento non lo attrae l’idea di ripetere cose gia’ dette o di ri-subire contestazioni gia’ subite. Da un po’ di tempo questo collaudato e amato leader della sinistra italiana risponde alle curiosita’ di chi vorrebbe guardare il secolo con i suoi occhi - occhi di intellettuale disincantato e libero che il secolo lo ha sentito bene, sulla propria pelle, per quasi tutta la sua lunghezza – parlando delle "belle invenzioni" sociali che questi cento anni ci hanno dato, accanto alle "brutte", e di quella che tra tutte gli sembra la piu’ nuova, rivoluzionaria, sconcertante rispetto alla mentalita’ dei secoli precedenti: il piano Marshall.

 

È da molto tempo, Foa, che ha pensato a questa come alla migliore invenzione sociale del secolo?

No, non da molto tempo. Sono le vicende balcaniche che mi ci hanno fatto pensare, nel tentativo che tutti sentiamo necessario di guardare al di la’ della guerra e di rispondere a domande piu’ generali sui conflitti tra i popoli. Per molto tempo mi è parso che questo secolo cosi’ straordinario sul piano tecnologico fosse manchevole sul piano delle invenzioni politico sociali. Nel secolo scorso è stato inventato il socialismo. In questo mi pareva che non ci fossero invenzioni altrettanto importanti. Sono stati cento anni dominati dal motore a scoppio e, per l’ultimo terzo, dal computer.

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Ma il Novecento delle invenzioni sociali non è il secolo del welfare state?

Certo che in Europa è il secolo dello stato sociale, di uno straordinario congegno che trasforma l’azione a favore della poverta’ e dei bisogni elementari in un diritto. Ma in questi mesi ho pensato soprattutto all’originalita’ del piano Marshall che ha messo fine a una pratica millenaria, quella secondo la quale le guerre si fanno per sottomettere i vinti e farne poi pagare loro il prezzo. Nella mia infanzia sentivo raccontare della guerra franco prussiana, al termine della quale Bismarck impose ai francesi l’obbligo di versare cinque miliardi di franchi. E poi penso anche alla pace di Versailles, che fu un tentativo di piegare la Germania sconfitta, imponendole condizioni terribili, con i risultati poi avuti, cioe’ l’ascesa del nazismo.

Alla fine della seconda guerra mondiale questa logica viene rovesciata dalla proposta del generale George Catlett Marshall e dal suo discorso del 5 giugno 1947 ad Harvard: cambia il modo in cui finiscono le guerre e si prepara la pace, si aiutano i vinti a risorgere, e da questo straordinario programma nasce la Repubblica federale tedesca. Nessuno avrebbe pensato allora che sarebbero stati possibili cinquant’anni di pace nella democrazia. Eppure quello è stato il risultato del Piano Marshall.

 

E quali erano le chiavi del suo successo?

Aveva due caratteristiche fondamentali: la prima che i soldi dovevano essere spesi in funzione della ricostruzione dei paesi sconfitti. L’erogazione dei fondi era mirata e condizionata dagli adempimenti; la seconda caratteristica era che il paese beneficiato doveva collaborare e partecipare alla creazione di un clima internazionale di cooperazione. Il denaro arrivava in cambio della cooperazione. Questi due punti hanno segnato il successo del piano Marshall.

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Il quale era utile anche all’economia americana.

Sappiamo benissimo che con la caduta della domanda interna i finanziamenti all’Europa creavano una domanda esterna e che questo corrispondeva in primo luogo a un interesse degli Stati Uniti, ma cio' non toglie alcun valore all’esperienza del Piano Marshall, anzi conferma che una iniziativa di sostegno economico esterno puo’ essere anche la soluzione dei problemi interni. Il che vale anche per i Balcani, o per la Russia di oggi, mentre in Europa la domanda interna è molto bassa. Un equivalente odierno del Piano Marshall potrebbe essere uno dei mezzi decisivi per riavviare l’economia. Che i Piani Marshall non siano atti di generosita’ unilaterale ma corrispondano all’interesse del donatore conferma la validita’ dell’invenzione.

 

Ma all’epoca del vero e originale Piano Marshall, come fu giudcata l’iniziativa dai dirigenti della sinistra italiana, e da lei personalmente?

Personalmente speravo che l’Unione sovietica e altri paesi dell’Est, la Polonia, la Cecoslovacchia e l’Ungheria, avessero il coraggio di acccettarlo. Avrebbero potuto almeno discuterlo, ma da Mosca venne il veto. Fu la perdita di una occasione straordinaria per il mondo intero. Quando scoppio’ la guerra fredda ero dentro un mondo che si opponeva al piano Marshall. Non c’erano le condizioni per una battaglia attiva in sua difesa. E io comunque non la feci.

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Togliatti e il Pci non lasciavano nessuno spazio in quella direzione?

Togliatti era decisamente negativo perche’ la volonta’ sovietica dettava legge. Non ho mai parlato con lui di questo problema ne’ mai ho avuto con lui un rapporto confidenziale,ma in verita’ sono convinto che se ci fosse stata almeno l’apertura di una discussione, lui ne sarebbe stato lieto. Nel 1947, il Pci e il Pcf erano sottoposti a critiche durissime da parte di jugoslavi e sovietici. Durante la riunione costitutiva del Cominform Kardely e Suslov attaccarono sia gli italiani che i francesi accusandoli di connivenze con la destra dei loro paesi. Le "democrazie popolari" dell’Est mostravano in effetti una disponibilita’ al Piano Marshall e se ci fosse stato il coraggio di suggerire ai sovietici un atteggiamento diverso dalla pura contrapposizione in quel momento la storia del mondo avrebbe potuto cambiare.

 

Perche’ non ci fu da nessuna parte quel coraggio?

La costruzione del piano Marshall anche da parte americana fu accompagnata da una polemica ideologica cosi’ dura, che era ben difficile pensare a qualche passo favorevole da parte sovietica. A volte pero’ nella vita politica si riesce anche a superare il contrasto tra atteggiamenti provocatori contrapposti.

 

Sta rimproverando qualcosa a se stesso?

Non so bene come avrei potuto fare per mostrare allora qualche disponibilita’ verso gli Stati Uniti rimanendo con il movimento operaio italiano. Se non me lo rimprovero, dico in ogni caso che mi dispiace che le cose siano andate cosi’.

 

E la Dc al governo come gesti’ in Italia il Piano Marshall?

I tecnici americani incaricati di seguirne la realizzazione in Italia avevano una certa disponibilita’ verso le idee della sinistra che rendeva difficile alla stessa Dc una politica puramente provocatoria. Bisogna ricordare che De Gasperi ed Einaudi avevano una politica economica deflazionistica e recessiva, mentre l’impostazione del Piano Marshall era espansiva, keynesiana, in qualche modo si collegava alla sinistra. Questa situazione freno’ l’idea di poterlo usare strumentalmente.

 

Ma oggi è applicabile ai Balcani e alla Russia lo schema del Piano Marshall?

Si capisce che sorgono qui problemi molto complicati: non è piu’ possibile una politica basata puramente su rapporti interstatali come alla fine della seconda guerra mondiale; nei Balcani una pace stabile non c’è mai stata e ci troviamo a contrastare un destino di guerra che sembra inestirpabile. Quanto alla Russia, che è questione cruciale per l’Europa, vediamo un paese in condizioni tragiche, come se avesse perso una guerra pur senza averla combattuta con la conseguenza di una generale frustrazione. Inoltre l’Europa sta vivendo difficolta’ serie di crescita ed è continuamente sfidata dall’economia americana. La stessa guerra del Kosovo conferma che chi comanda oggi è l’America. A questa difficolta’ si aggiunge la natura specifica dei genocidi e delle turbolenze etniche in corso, che possono coinvolgere la Russia ma anche varie parti d’Europa. Il cammino di un piano Marshall europeo non sara’ dunque affatto semplice.

 

La Serbia dovrebbe percorrere un cammino analogo a quello seguito dalla Repubblica federale tedesca. Possibile?

La nascita della Repubblica federale tedesca e la sua ascesa sono state rese possibili dal fatto che i tedeschi hanno dovuto accettare l’idea di essere stati sconfitti. Per poter collaborare, e beneficiare dello schema Marshall, bisogna riconoscere di essere stati sconfitti, bisogna riconoscere il male fatto all’avversario. Perche’ sia possibile nei Balcani qualcosa del genere bisogna fare in modo che i serbi riconoscano il loro errore e che attraverso questo riconoscimento sia possibile, se non la riconciliazione, almeno la convivenza.

 

 

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