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Duke, Miles e i cercatori dell'anima

Stefano Bollani con Paola Casella

 


Stefano Bollani, classe 1972, è pianista jazz e compositore fra i più quotati dell'ultima generazione - nel '98 la rivista Musica Jazz l'ha eletto nuovo talento dell'anno. Ha suonato , fra gli altri, con Gato Barbieri e Richard Galliano, collabora assiduamente con Enrico Rava e Roberto Gatto, guida il suo quintetto jazz - L'orchestra del Titanic - ma non disdegna le collaborazioni con le star della musica pop, come Jovanotti e Laura Pausini, fino a Elio e le storie tese.

"Il jazz è un linguaggio molto importante nella musica del nostro secolo perchè ha saputo dare uno scossone a tutto il resto e ha fatto sì che la musica tornasse a fare i conti con l'improvvisazione. Non tutti sanno che i grandi compositori e strumentisti, da Bach a Chopin, da Liszt a Paganini, improvvisavano quotidianamente sullo strumento: alcune modifiche poi venivano fissate su carta e altre rimanevano nell'aria per il beneficio degli ascoltatori. Nel '900 invece la figura del compositore e quella dell'esecutore sono diventate nettamente separate: c'è una persona che scrive e un'altra che suona. Il concetto di musica classica è diventato rigido e i oonservatori - che non a caso si chiamano così - hanno ritenuto necessario ergersi a baluardo della tradizione classica in contrapposizione a tutto il resto, ritenuto troppo leggero, troppo morbido. In realtà molti compositori sono più avanti di ciò che succede nei conservatori, che hanno ancora i programmi del fascismo".

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"Il jazz ha recuperato l'improvvisazione, ha fatto sì che la figura del compositore e dell'esecutore tornassero a coincidere: 9 volte su 10 sono passate alla storia del jazz quegli artisti che hanno dato un'impronta personalissima alla loro esecuzione grazie al loro modo di improvvisare e di porsi di fronte alla musica. Nel jazz è fondamentale poter rconoscere il suono di un musicista dall'altro, mentre la sonata di Chopin somiglia a se stessa e per cogliere le differenze ci vuole un ascoltatore molto attento. Per questo ritengo che il musicista jazz sia quello con la m maiuscola: perchè sa essere tutto insieme, compositore, esecutore, improvvisatore -- c'è tutto".

"Il problema del jazz rispetto alla musica colta, un termine che non sopporto perchè presume che il resto della musica sia incolta, è che in un secolo ha bruciato molte più cose. .Questo secolo è più veloce, le correnti si sono susseguite in modo più rapido. Il jazz contiene in sè talmente tante istanze che mi riuscirebbe difficile definirlo con un unico aggettivo. Dentro ci sono persone che avevano studiato musica, e altre che invece erano interessate a improvvisare senza spartito la sera nei locali: da un lato i colti, dall'altro il famoso nero che suona battendo il piede e non sa leggere la musica. A fine millennio le due cose si vanno fondendo, e ci si rende conto che sono necessarie entrambe le componenti per far sopravvivere la musica: non basta solo studiare, o solo avere un grandissimo talento".

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Forse è caratteristica del jazz è proprio quella di non perdere mordente anche quando raggiunge la notorietà, al contrario del rock che diventa meno trasgressivo.

Il punto forse è che il rock ha una valenza eversiva, soprattutto sociale, che spesso è più forte della qualità musicale. Con il successo, quella valenza viene meno e i gruppi vengono inghiottiti dal commercio, dall'industria. Dopo Woodstock le cose sono decisamente cambiate. Io sono piuttosto nostalgico: adoro Jimi Hendrix, Sly and the Family, King Crimson, ma oggi anche il cantante rock che si spoglia e dà fuoco alla chitarra ha dietro un contratto discografico forte. Il jazz invece ha avuto nel corso del secolo una forza eversiva che si è espressa solo a tratti: in Italia, ad esempio, è stato osteggiato dal fascismo e non solo perchè era americano, ma anche perchè ci vedevano un pericolo dentro.

Negli anni '50 era osannato dagli scrittori Beat, nei '70 voleva dire libertà per i neri. Ma di volta in volta si è trattato spesso di valenze diverse attribuite al jazz da osservatori esterni più che dai musicisti stessi, o dalla musica: nel jazz i testi non sono mai stati fondamentali, e le dichiarazioni dei musicisti raramente hanno coinciso con quello che volevano i loro fan. Non credo che Charlie Parker leggesse i libri di Kerouac, nè Miles Davis leggeva quelli di Sartre, anche se lo frequentava: al contrario, Sartre ascoltava la musica di Miles Davis. Proprio per la sua universalità, sono stati attribuiti al jazz dei significati che non riguardavano direttamente i musicisti, ai quali interessava prima di tutto la qualità della musica: questo ha fatto sì che il jazz sopravvivesse alle mode. La popolarità del jazz cala e cresce a seconda del significato politico che gli viene di volta in volta attribuito - ora ad esempio è un po' in calo - ma in generale il gruppo rock fa più fatica a sopravvivere perchè spesso la sua forza è legata principalmente a un movimento sociale o politico ben definito.

 

C'è chi dice che il jazz sia la nuova musica classica, proprio perchè è impermeabile alla moda.

Molto jazz di sicuro. La differenza fondamentale è che i documenti del jazz invece che essere spartiti sono dischi, e questa è una trasformazione dovuta al nuovo secolo. Non è questione di eseguire i brani di Louis Armstrong, li possiamo ascoltare direttamente nella sua esecuzione, mentre non possediamo dischi di Chopin. Se esistesse un ottimo disco del compositore, rischerebbe di avere molto poco senso che Pollini ce lo eseguisse. L'unica possibilità sarebbe quello di ricreare il brano, di inventare qualcosa di personale, come succede appunto con il jazz. Per questo è rarissimo che nel jazz vengano prodotti dischi di pura esecuzione di un brano del passato, perchè gli originali sono sempre vivi nel nostro giradischi. Il bello del jazz è che ti costringe a essere originale.

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Quali sono i migliori jazzisti del secolo?

Viene da citare i morti, perchè lì si va sul sicuro: sono già diventati dei classici. E poichè quest'anno è il centenario della nascita di Duke Ellington, è lui il primo che mi viene in mente. Duke era grandissimo come compositore ma anche come esecutore e direttore d'orchestra. Ellington ha portato fuori il jazz dai bordelli e dai nightclub e a fine carriera suonava alla Scala: in questo riassume la storia del jazz, che ha fatto una gran fatica a uscire dal ghetto ma alla fine è riuscito ad arrivare persino nei teatri classici, e tuttavia a rimanere anche nei locali malfamati. Dopo Duke, penso che Charles Mingus e Thelonious Monk siano fondamentali perchè riassumono l'idea del musicista completo, in quanto compositore-interprete-autore.

Poi Miles Davis, che è uno dei suoni più riconoscibili del '900 e che come persona e come artista si è sempre mosso, non è mai stato fermo, da quando ha iniziato con Charlie Parker a quando è arrivato a suonare con Zucchero o Prince: un percorso enorme che l'ha messo a contatto con tutti, da Gil Evans a Chick Corea a John Coltrane. Coltrane, come Miles, è partito da una cosa ed è arrivato a tutt'altro, negando con ogni disco tutto quello che aveva fatto precedentemente, e tuttava mantenendo una continuità e una fluidità palpabile, delle coordinate talmente potenti da farne un gigante sempre uguale a se stesso, con un suo suono ben riconoscibile.

Soprattutto, Coltrane ha continuato a cercare anche al di fuori della musica. La sua sincera spiritualità è diventata un simbolo per i musicisti di un certo tipo: in una chiesa americana l'hanno addirittura fatto santo. Nel jazz c'era bisogno anche di uno così, uno che della ricerca della scintilla creativa fa una questione anche di anima, di ricerca di sè. In qusto senso Coltrane rappresenta il lato più meditativo del jazz, che spesso viene lasciato un po' in ombra: si tende a identificare il jazz on il nero che batte il piede, non con il nero che guarda il cielo.

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Quali altri jazzisti hanno lasciato il segno?

Molti hanno reso il jazz famoso anche se non sono stati musicalmente i più importanti. Penso a Glenn Miller e Benny Goodman, ma anche a Tommy Dorsey e Artie Shaw, che hanno sdoganato il jazz, perchè ne hanno dato una versione bianca. Al conrario Duke Ellington e Count Basie ci hanno messo molto più tempo a venir fuori, ma anche lo stesso Louis Armstrong, che pure a lungo è stato odiato dai musicisti neri perchè secondo loro aveva fatto il pagliaccio per i bianchi. Musicalmente però le cose interessanti dei bianchi vengono dopo Parker e Gillespie, cioè negli anni '50: da Gil Evans a Gerry Mulligan, da Bill Evans a Chet Baker a Lennie Tristano, che non a caso lavoravano a stretto contatto con i neri dell'epoca -- Miles Davis, John Coltrane, Sonny Rollins, Art Blakey.

Parker e Gillespie hanno tuttavia effettuato un giro di boa tecnico: parlo di innovazioni armoniche e di semplificazione della struttura del pensiero musicale. Erano molto più avanti in alcune idee dell'armonia e nel fraseggio, nel modo di improvvisare sui pezzi. Da lì in poi si è tornati a prediligere un aspetto piuttosto che l'altro: l'improvvisazione piuttosto che la composizione: ad esempio il cool jazz prevalentemente bianco dava molto spazio alla composizione e alla struttura, il free jazz improvvisava liberamente talvolta senza alcuna forma prestabilita. Negli ultimi vent'anni invece i musicisti saltano liberamente da una parte all'altra, non è più così caratterizzante.

 

Chi è il meglio del secolo fra i tuoi contemporanei?

Attualmente il jazz é diventato un linguaggio universale, cosa che non si può dire per tutte le musiche, e ci sono jazzisti importanti in tutto il mondo. La vera novità di fine secolo è proprio il fatto che ci stiamo staccando dalla pura imitazione degli americani, cosa che per anni è stato impossibile, perchè il jazz l'avevano inventato loro, ed erano molto più avanti di noi. Oggi ci stiamo affrancando dai modelli iniziali, riuscendo a spingerci oltre. Bisognerebbe citare almeno un musicista per nazione, ad esempio Egberto Gismonti, che è un pianista brasiliano che non appartiene necessariamente alla tradizione jazzistica, però fa cose interessanti, o Caetano Veloso, i mostri come Keith Jarrett, Martial Solal, che è un pianista francese, Bill Frisell.

 

E fra gli italiani?

Mi viene subito in mente Enrico Rava, con il quale lavoro, anche come figura carismatica, perchè è un musicista di 60 anni famoso nel mondo, ma che nel suono della tromba e nelle composizioni si porta dentro ancora l'Italia. Pur vivendo a New York negli anni '70 e lavorando a contatto con gli americani ha mantenuto una sua italianità, mentre ci sono musicisti molto più bravi strumentalmente che però sembrano americani. Per un italiano che comincia a suonare vedere che c'è qualcuno che è riuscito a interpretare il jazz americano mettenendogli dentro anche Nino Rota e Domenico Modugno è comunque un bell'esempio. Ma ci sono anche D'Andrea, Pieranunzi, Salis.... ce ne sarebbero tanti.

 

 

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