"Ho sognato che i popoli d'Europa
mettevano al sicuro i loro beni più sacri di fronte al pericolo liberale". Ci sono
voluti 90 anni, due guerre mondiali e la fine delle ideologie, perchè la bruciante e
paradossale provocazione di Karl Kraus diventasse realistica e pronta a esplodere proprio
nella sua Austria.
Nell'allucinata toponomastica della politica attuale, liberali sono i seguaci dell'Fpo
di Joerg Haider, il leader populista della Carinzia la cui ombra, nel tramonto dei partiti
tradizionali, si allunga a dismisura sul voto di domenica per il cancellierato austriaco e
si estende oltre confine sull'intera mappa dei destini intrecciati dei Paesi d'Europa. Se
domenica gli austriaci confermeranno i sondaggi, i liberali di Haider saranno il secondo
partito austriaco: una lama sul cordone che da 13 anni tiene insieme al governo
socialdemocratici e popolari, apologi della società del consenso, ma anche sugli
equilibri delle cancellerie europee aggrappati alla beneducata convenzione delle decisioni
unanimi a Bruxelles.
Che cosa spinge quasi un austriaco su tre a votare un uomo che ha elogiato "la
corretta politica del lavoro di Hitler" e "la coerenza delle SS
austriache", che considera "un aborto" la repubblica del dopoguerra, che
vuole ricacciare indietro gli immigrati stranieri e chiede classi separate per gli
studenti non austriaci? Che cosa sfugge all'osservatore straniero che vede il virus della
stanchezza della democrazia estendersi col pantografo su tutta Europa e i cui dubbi sono
accolti da una scrollata di spalle dagli austriaci, professionisti del Weltuntergang,
acrobati della sopravvivenza a ogni fine del mondo?
Non è nazista, Haider. E' nazionalista, è socialista ed è liberale. Non è niente
perchè è il contrario del tutto: il contrario di tutti gli altri partiti. Propone ogni
diritto e pochi doveri: più spesa sociale ma un'unica tassa del 23% sui redditi. Difende
famiglie e figli dell'Austria e chiude ogni varco ai poveri dell'Est, cavalca l'odio per i
partiti nel nome della nazione degli individui. Pesca nei vuoti d'identità e aggancia
l'illusione di un passato, nel silenzio uniforme delle valli contrapposto al disordine di
Vienna che Musil riconosceva a occhi chiusi "dal suono diverso, come è diverso è il
passo di ogni persona".
Ma di persona, chi cerca Mr. Haider incontra Dr. Jekyll. Gentile, appassionato,
eclettico, questo 48enne espone solo l'artificio dell'abbronzatura. E' l'immagine
speculare del signor Puntila che Brecht descriveva schiavista da sobrio e dolce da
ubriaco. Nelle birrerie di villaggio che, unico politico, si cura di visitare, libera dai
freni gli animi di provincia infuocati contro il potere di "quelli là sopra".
In privato o nei contatti coi media emerge il politico esperto, il leader austriaco da
più tempo sul proscenio, privo di ingenuità, disposto a comprare e a rivendere, non
minaccioso, consapevole di cavalcare un'onda il cui fragore è principalmente aria scossa.
Poi riagguanta il microfono sul Viktor-Adler-Platz urla contro l'alluvione straniera e la
contaminazione europea, mentre Leon Zelman, il rappresentante degli ebrei austriaci, sta
lì a capo chino e con gli occhi chiusi rivede la stessa scena vissuta nel 1938:
"abbiamo tutti fallito - dice - dopo tanti decenni abbiamo tutti fallito".
L'Fpo raccoglie la maggioranza dei consensi dai giovani che votano per la prima volta,
ma anche dal 41% dei salariati, è il primo partito per chi ha un lavoro autonomo e
perfino tra le famiglie con bambini. "Non vorrà dirmi che sono tutti nazisti?"
chiede il portavoce di Haider. Certo no. Ma intanto la logica del "nemico dentro e
fuori i confini" si apre un varco tra i focolari. L'afasia dei nuovi e dei perdenti,
degli impauriti e dei distanti, di chi dalle cime dei monti sente l'alito di un mondo
infetto, trova voce nell'uomo che urla più forte, che getta al vento il tabù del passato
e che fa leva sull'imbarazzo difensivo che lega le mani agli altri partiti. E' la
"vecchia politica dei soliti partiti" che dopo la caduta del Muro ha perso la
fedeltà convenzionata degli elettori e che in Austria è attaccata al cuore dall'urlo di
Haider.
"E' un'ingiustizia - scriveva Kraus - parlar male di Vienna sempre per i suoi
difetti, mentre anche dei suoi pregi val la pena di parlar male". Mai infatti
l'Austria ha avuto tanti pregi. In 30 anni è diventata da uno dei Paesi più poveri
d'Europa a uno dei tre più ricchi, la disoccupazione è al 4,3%, l'inflazione nulla, la
mano d'opera è molto qualificata, gli scioperi inesistenti, la produttività aumenta dal
'95 del 5% ogni anno, oltre mille società straniere vi hanno posto la sede per operare in
tutta la Mitteleuropa, i capitali esteri abbondano, le tasse sulle imprese sono tra le
più basse d'Europa. E il governo è stabile. Tanto stabile da apparire immobile. Da 28
anni i socialdemocratici sono al governo, da 13 anni insieme ai popolari in una
"Grande coalizione" che tutto avvolge e assorbe.
Ogni posto di responsabilità nel Paese è accuratamente spartito tra i membri della
coalizione, ogni banca, ogni associazione di agricoltori, ogni cooperativa, ogni teatro è
in mano ai delegati dei partiti. In un Paese in cui un lavoratore su otto è un dipendente
pubblico e in cui l'80% dei laureati comincia a lavorare nel settore statale, il sistema
degli intrecci "interessi-politica" è diventato una statua di Laocoonte con
milioni di teste e, come una statua, immobile. In una città come Vienna di 1,6 milioni di
abitanti, si contano circa 220mila iscritti al partito socialdemocratico e 55mila
popolari.
"Ogni appartamento, ogni deroga - scrive il giornalista Armin Thurnier - è frutto
di raccomandazione". Il vecchio saluto "Amicizia" che si scambiano i membri
dell'Spo ha qui un sapore tutto particolare. Ogni anno solo nella capitale si stimano
300mila "interventi" politici a favore dei loro clienti, più di mille ogni
giorno lavorativo: impieghi, autorizzazioni, multe, condoni. Perfino gli scandali sono
equamente distribuiti, dal miserabile caso Lucona al riciclaggio, dall'evasione fiscale
alle bugie di Kurt Waldheim.
Scuole, ospedali, industrie, esercito e funzionari pubblici sono infiltrati da un
clientelismo oscuro. Le camere del lavoro a cui è obbligatorio iscriversi sono fuori
dalla giurisdizione civile, come le cooperative agricole. Il Paese funziona bene, ma la
partitocrazia toglie credibilità alla richiesta di sacrifici per il bene comune e
distanzia i più semplici dalla politica.
Dal '95, dopo l'ingresso nell'Unione europea, il governo Vranitzky e poi quello guidato
da Viktor Klima hanno fatto passi avanti nel ridurre i dipendenti pubblici e nel
destatalizzare l'economia, ma l'abitudine al compromesso è rimasto lo stato mentale:
anche se molte banche sono state privatizzate e il mercato liberalizzato, la Commissione
europea ha scoperto che ogni mese i banchieri più importanti si incontrano nel ristorante
dell'Hotel Bristol per addomesticare la competizione. Quando il mercato dell'energia è
stato aperto alla concorrenza, gli stranieri si sono trovati davanti a una piramide di
fornitori che finiva per fare capo sempre e comunque all'ente federale.
In questa palude consociativa è esplosa la bomba Haider con i suoi liberali che
mettono in pericolo i "sacri beni" della società del consenso. Un'improvvisa
allergia da benestanti contro lo status quo e contro il suo contrario, contro la paralisi
interna e la mobilità esterna. Contro Vienna e contro l'Europa. Una paura del futuro che
azzera le paure del passato: un perfetto paradigma europeo.