Ancor più fosco si
presenta il futuro di Al Gore. Per mesi e mesi, in tutti i sondaggi pre-elettorali, il
vicepresidente è rimasto dietro a Bush di diverse lunghezze. Naturalmente, i repubblicani
cominciavano a leccarsi i baffi: Gore era l'unica carta che i democratici avevano in mano
come candidato alla successione di Clinton. Ma in seguito l'irresistibile ascesa di Bill
Bradley ha sorpreso tutti quanti: per i repubblicani è stata una doccia fredda, e
nell'accampamento di Gore ha cominciato a serpeggiare il timore della sconfitta.
Bill Bradley, ex senatore del New Jersey, è il primo candidato
presidenziale della storia americana ad avere alle spalle un anno trascorso
all'università di Oxford con una prestigiosa borsa Rhodes, più un fulgido passato di
campione di pallacanestro nei New York Knicks, all'epoca in cui la squadra era ai vertici
del campionato professionisti. Oggi, secondo i sondaggi nazionali, Bradley è alla pari
con Gore fra gli elettori democratici che voteranno alle primarie. E mentre nei sondaggi
Bush ha distanziato Gore di ben 17 punti, Bradley ha già ridotto il divario di metà e
continua a guadagnare terreno.
Per giunta, Bradley sembra avere le carte in regola per sconfiggere
Gore alle primarie dello Stato di New York. Ultimamente, le sue probabilità sono
aumentate, quando il vecchio senatore Moynihan gli ha assicurato il suo appoggio. A chi
gli chiedeva di spiegare questo gesto inatteso, Moynihan ha risposto: "Non si può
eleggere un Gore presidente degli Stati Uniti!" Se questo suo giudizio prende piede
fra gli elettori democratici, l'attuale vicepresidente è destinato a fare un bel tonfo.
Se ciò accadesse, molti darebbero la colpa allo stesso Gore, incapace
di suscitare l'interesse degli elettori. Ma la sua mancanza di carisma, e la sua ormai
leggendaria capacità di annoiare chi lo ascolta, sarebbero responsabili del suo
fallimento soltanto per metà. Dai focus group che i "sondaggisti" usano per
leggere in trasparenza le intenzioni degli elettori emergono altri due fattori che giocano
contro di lui. Il primo è che il vicepresidente (e questo non è certo un fatto che
stupisce), essendo ancora molto legato a Bill Clinton, è destinato a fare da capro
espiatorio dei molti peccati dell'attuale presidente. C'è poi chi attribuisce il calo di
Gore nei sondaggi dello Stato di New York al fatto di aver dato il suo appoggio a Hillary
Clinton quando questa ha intrapreso la scalata al seggio di senatore di quello Stato.
Ma per alcuni il secondo motivo del declino di Al Gore - e qui sì che
ci sarebbe da stupirsi, se la cosa si rivelasse vera - è che Bradley, con le sue
posizioni apertamente liberal, si è conquistato un credito inatteso presso gli elettori.
Bradley è infatti il primo democratico da anni a questa parte ad aver messo in dubbio che
la crescita economica ininterrotta, di cui l'America gode in questi anni come mai prima
d'ora, sia andata a vantaggio di tutti i suoi cittadini.
L'ex cestista ha dichiarato apertamente che la riforma del welfare --
ideata dai repubblicani e fatta propria, per mancanza di coraggio, da Clinton -- è stata
nè più nè meno che un errore, e nei suoi discorsi ha esortato il Paese a fare più
attenzione al modo in cui la sua ricchezza viene distribuita. Infine, a differenza di Gore
- che su questo piano è fatto della stessa pasta di Clinton - Bradley non è certo fra
coloro per i quali liberal è una parolaccia. Anzi, si professa apertamente tale, anche se
resta da vedere fino a che punto terrà fede a questa linea.
Dunque i pronostici sull'esito delle presidenziali hanno subito un
inatteso rivolgimento, in cui è implicito un paradosso sottile ma gustoso. Bush rischia
di essere sconfitto dai suoi, perchè la destra "dura" lo giudica troppo di
sinistra. Gore rischia di venire sorpassato da Bradley, perchè agli occhi di un numero
sempre maggiore di democratici anche lui, come Clinton, si è spostato troppo a destra,
discostandosi eccessivamente dalla tradizione liberal del suo partito.
(Traduzione di Marina Astrologo)