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Lafontaine: il mio no a una sinistra senza cuore

Klaus Boelling e Peter Gauweiler

 


Questo articolo è stato pubblicato su la Repubblica (www.repubblica.it) del 27 settembre

Oskar Lafontaine, uno dei più noti politici tedeschi, primo presidente del massimo e più antico partito della Germania, la Spd, abbandona da un momento all'altro tutti gli incarichi politici e scrive un libro su quello che gli è stato fatto. "Sfogarsi serve anche a guarire", diceva Freud. Possiamo sapere in che modo si è abbandonato allo sfogo e alla stesura della sua storia?

"Non si tratta di memorie. È innanzi tutto una relazione sul periodo in cui ero presidente del partito. È un confronto fra la politica attuale e il tentativo di delineare un progetto socialdemocratico per il futuro. Il libro parla del passato, del presente e del futuro. Naturalmente mi sono un po' sfogato. Qualcuno definirà polemica la critica che c'è nel mio libro "Il cuore batte a sinistra". Ma io ho dovuto dire chiaramente quello che ritengo giusto e quello che ritengo sbagliato".

 

Non pochi socialdemocratici sono dell'opinione che la presidenza del più vecchio partito tedesco non vada accantonata come "un vecchio abito dismesso".

"Negli anni passati tre presidenti Spd si sono ritirati: Brandt, Engholm e io. Io mi sono dimesso dai miei incarichi, perché non concordo, in linea di principio, con lo stile e i contenuti politici di Gerhard Schroeder e perché la Costituzione dice: il Cancelliere federale decide le direttive politiche".

 

Quello che ha colpito è stata la mancanza di tattica in questo comportamento sorprendente. L' assenza di finzione, il che per un politico di professione è effettivamente del tutto atipico.

"La ringrazio per il complimento che non si trattava di una finzione. Infatti è possibile inscenare una tale rinuncia, dandole delle motivazioni, che si adattano bene, ma non sono vere. D'altro canto ritengo che anche le immagini televisive dell'assedio, durato giorni, della mia casa, abbiano dato un'impressione sbagliata, come se qui fosse avvenuto qualcosa di completamente insolito. Ritengo che ritirarsi dalla scena politica sia un patrimonio democratico. Improvvisamente era però sorta l'impressione che le dimissioni fossero qualcosa da rinfacciare, mentre noi in passato abbiamo sempre letto che le dimissioni sono auspicate in democrazia".

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Si è avuta naturalmente un po' l'impressione di un'uscita di scena fatta sbattendo la porta...

"Chiunque si ritiri, sbatte la porta. Naturalmente questa decisione è stata molto pesante per me. E naturalmente vengo preso anche da dubbi quando vedo le gravi sconfitte della Spd. Continuo sempre a pormi la domanda se la decisione sia stata giusta. Ma ritengo di aver avuto forti motivi per comportarmi così".

 

La Spd sta vivendo in questi giorni e in queste settimane quello che si può chiamare, senza esagerazione, una discesa all'inferno. Questa clamorosa perdita di fiducia avrebbe potuto essere evitata? Come? Con lei ancora presidente del partito?

"Nel libro ho trattato diffusamente questa evoluzione. È cominciata subito dopo le mie dimissioni. Dal mio punto di vista, era inevitabile, quando si prendono decisioni politiche come quelle prese. Naturalmente si sarebbe potuto evitare la sconfitta elettorale".

 

Con una politica completamente diversa?

"Non con una politica completamente diversa, ma proseguendo nell'impostazione politica che avevamo adottato nei primi mesi. Poi, tuttavia, è stata presa una serie di decisioni che ho ritenuto errate e che non volevo condividere. La politica che viene erroneamente esaltata da alcuni ambienti giornalistici come modernizzazione, è stata praticata ora da sei mesi. La reazione degli elettori è stata chiara e inequivocabile".

 

Un bel titolo: "Il cuore batte a sinistra". Ma a destra lavora la mente. A destra o a sinistra, l'obiettivo è, comunque, il benessere comune. Si può seriamente sostenere alla fine del XX secolo che questo obiettivo venga raggiunto mediante la creazione di valore aggiunto e non attraverso la redistribuzione?

"La prima domanda è: come avviene la creazione ottimale di valore aggiunto? Questo è motivo di dissensi. E la seconda domanda: come viene distribuito quello che è stato guadagnato lavorando insieme? E, a questo riguardo, la nostra risposta è, in linea generale, chiara. La creazione di valore aggiunto deve essere ottimizzata, ma la redistribuzione deve essere equa. Molti conservatori dicono: la creazione di valore aggiunto va ottimizzata soltanto quando la redistribuzione non è equa; una levitazione di stipendi e salari è la premessa per la crescita economica. Io invece ritengo insostenibile che un manager guadagni parecchi milioni l'anno, mentre i dipendenti devono vedersela con perdite reali di salario. Questa è una società che io non voglio".

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Di recente, a Berlino, lei ha detto di considerare come modello Helmut Schmidt. Cosa che ha meravigliato molte persone, visto che Schmidt ha dichiarato: "Oskar Lafontaine aveva in effetti un programma, ma sbagliato"...

"A Berlino, avevo esposto come modello le opinioni economiche di Schmidt, che continua a possedere, riguardo lo sviluppo dell'economia mondiale, una valutazione più puntuale di quella espressa da molti. In merito al programma: una errata interpretazione, solidamente radicata, è ridurre la teoria di Keynes a esborsi di denaro pubblico. La politica keynesiana è la giusta combinazione di politica salariale, finanziaria e fiscale. Non si può contemporaneamente frenare tutti e tre i settori. La combinazione di blocchi salariali, di risparmio pubblico e di elevati interessi reali determina disoccupazione".

 

Quale modello economico praticato corrisponde più da vicino ai desideri di Oskar Lafontaine?

"È ben noto. Ho letto, su un importante quotidiano tedesco, che nel nostro Paese confinante, la Francia, viene adottata la politica che io ritengo giusta. Con mia soddisfazione, la Francia ha il più alto tasso di sviluppo dei principali Stati europei. Poiché lì, la necessaria disponibilità alla riforma è legata a un modo di procedere cauto, soppesato a livello economico, nonché al consolidamento delle finanze dello Stato".

 

In sostanza, un contributo del suo amico Strauss-Kahn, il ministro francese dell'Economia...

"In sostanza, sì. A questo va aggiunto che il capo del governo, Jospin, ha idee chiare riguardo la politica economica".

 

Quindi lei condivide anche la critica del primo ministro Jospin al documento Schroeder-Blair?

"Sì. Il teorico della "terza via" del New Labour è Anthony Giddens. Purtroppo gli autori del documento Schroeder-Blair non hanno letto Anthony Giddens".

 

Ha ancora un programma per la vita pubblica? Nella veste di ispiratore di un movimento collettivo della sinistra tedesca, di un raggruppamento, come quello messo in atto da De Gaulle fra le destre e la borghesia, quando egli, per protesta, abbandonò la capitale?

"Ho preso sempre con molta serietà il servizio della comunità. Perciò, ho ricoperto per trent' anni importanti mansioni politiche. Ma ora, in una situazione concreta, ho preso una decisione anche per la mia famiglia. E questa non è una giustificazione della mia decisione. Anche nel libro tratto questo argomento, perché ritengo che si sia sempre parlato troppo poco di politica e famiglia".

 

Tutta la giornata dedicata soltanto alla famiglia?

"Naturalmente, interverrò nel dibattito pubblico e mi batterò per la politica che ritengo giusta".

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Riesce difficile immaginare che un uomo della sua età abbia dato le dimissioni da protagonista politico. Può esserci un rientro?

"Ho fatto cenno ai trent'anni per far comprendere da quanto tempo mi sono occupato di politica. Ritengo che molti possano accettare che io continui a occuparmi di una politica che ritengo giusta prendendo parte ai dibattiti ed esprimendomi con scritti e dichiarazioni. Ma dopo tutto quello che è avvenuto, penso che si debba anche comprendere se qualcuno, come me oggi, ha bisogno un po' più di tempo per sé e la famiglia".

 

Ma il fuoco arde ancora dentro di lei.

"Certamente il fuoco arde. Ma vi sono molti che sono impegnati, pur non avendo alcuna funzione ufficiale. Sono dell'opinione che si possa dare un contributo politico valido, pur non rivestendo alcuna carica. In una determinata situazione, dopo una lunga lotta con me stesso, ho preso una decisione. Già nella prima dichiarazione dopo le dimissioni, e anche nel libro, ho motivato il mio passo con l'attentato del 1990 e con l'atteggiamento nei confronti della vita che ne è derivato".

 

Vale a dire che l'attentato dopo cui lei è stato fra la vita e la morte ha influito su di lei e l'ha cambiata molto più profondamente di quanto lei stesso fino ad oggi abbia ammesso di fronte all'opinione pubblica.

"Sull'argomento non ho detto molto all'opinione pubblica. In effetti, ne parlo per la prima volta nel mio libro. Poiché negli anni scorsi mi sono occupato a fondo anche del lato psicologico, volevo, prima di esprimermi al riguardo, lasciar trascorrere un certo periodo. Naturalmente ho richiesto anche il parere di altri. In sostanza, l'attentato è un grave trauma psichico, che necessita di un lungo periodo di elaborazione".

 

Fino ad oggi?

"Sì. Questo episodio ha avuto bisogno di essere elaborato fino a oggi, e ha, e ha avuto, un ruolo che mi ha lasciato un segno molto evidente. Oppure, per meglio dire: ha modificato il mio atteggiamento nei confronti della vita. Alla resa dei conti, sono riuscito a venirne fuori bene".

 

Helmut Schmidt ha dichiarato che la classe politica dei giorni nostri agisce in modo così poco energico anche perché è priva delle amare esperienze di vita della sua generazione. Lei è ora uno dei pochissimi politici, contrariamente alla generazione attuale di politici, ad aver visto la morte negli occhi. Questo costituisce soltanto uno svantaggio?

"L'elaborazione di una tale esperienza deve essere produttiva. Spetta anche agli altri dire se sono riuscito nel mio intento. Io ritengo di sì. Quando si riesce a elaborare in modo produttivo una tale esperienza, se ne esce rafforzati. Quanto ai politici, nel libro mi sono posto la domanda: perché la politica è così com'è, oggi, e perché i politici sono così come sono, oggi? Ritengo che l'epoca della comunicazione comporti un cambiamento decisivo. Viviamo nell'epoca dei media, e quest'epoca dei media ha modificato profondamente la politica".

 

Purtroppo.

"La politica è cambiata. Quando molte notizie sono ridotte a poche righe, ai titoli a caratteri cubitali del giorno successivo, ne vengono a soffrire l'ideazione di programmi politici a lunga scadenza e la loro validità nel tempo. Ho letto con interesse che anche in autorevoli o accreditati quotidiani tedeschi gli autori sono arrivati alla conclusione che una caratteristica dell'odierna politica è il compiacimento per la modernità e per una stesura improntata all'ammirazione. Ammetto che io non ho niente da guadagnare da questa tendenza. Per me fare politica significa avere un'idea di come dovrebbe essere la società e perseguire quest'idea fermamente, passo dopo passo. Senza un progetto, senza un programma, per me la politica è semplicemente inimmaginabile. Naturalmente, si deve anche credere alle proprie convinzioni, altrimenti tutto questo diventa banale o piatto carrierismo, oppure...".

 

...mestiere...

"Sì".

 

Lei crede ciecamente in una politica che si occupi di giustizia sociale. A cos'altro crede ancora?

"Sono cresciuto in un convitto episcopale. Perciò, ovviamente, la religione che mi ha plasmato è quella cattolica. Ma molto presto, già da ragazzo, ho detto ai miei insegnanti, quando mi volevano trasmettere il sapere assoluto: "Se foste vissuti in Arabia avreste un altro credo. Se foste vissuti in India ne avreste un altro ancora. Se foste vissuti in Cina un altro ancora".

 

Ma parlerebbero tutti di Dio...

"Sì. Voglio soltanto dire che io, molto presto, ho richiamato l'attenzione sull'argomento. Anche se il cattolicesimo è profondamente radicato dentro di me, non condivido pienamente la pretesa di assolutezza beatificante del cattolicesimo".

 

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