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Nuovo schiavismo, un business da stroncare

Stella Bianchi

 


200 milioni di persone: questa è la stima dei "nuovi schiavi", vittime della più grande violazione dei diritti umani a livello mondiale, che fa Pino Arlacchi, vicesegretario generale delle Nazioni Unite e direttore dell'ufficio per la prevenzione del crimine e il traffico di droga. A tanto si arriva sommando forme di schiavitù sessuale, lavoro forzato minorile e riduzione in schiavitù per debito.

Di traffico di esseri umani, dello sfruttamento feroce cui sono sottoposti, e delle necessarie misure di adeguamento degli strumenti normativi e investigativi a livello nazionale e internazionale si è parlato in un incontro promosso dal Ministro delle Pari Opportunità Laura Balbo e coordinato da Tana de Zulueta, al quale hanno partecipato, tra gli altri, il procuratore nazionale antimafia Pier Luigi Vigna e i sottosegretari agli Interni e alla Giustizia Alberto Maritati e Giuseppe Ayala.

Quello del traffico e dello sfruttamento di esseri umani è ormai un mercato estremamente pericoloso perché, anche se non ancora di dimensioni assolute paragonabili a quello della droga, delle armi o della corruzione, ha tassi di crescita enormi, sia perché non esistono ancora adeguate misure di contrasto, e quindi le organizzazioni criminali ottengono profitti ingenti a fronte di rischi pressoché nulli, sia perché sono gli stessi gruppi criminali che fin qui hanno gestito il traffico di droga o di armi a lanciarsi nel business, investendo in esso tutte le competenze e le reti logistico-organizzative già consolidate - e questo vale sempre di più per la mafia cinese, per quella turca, per i clan albanesi.

Per combattere il fenomeno bisogna fare uno sforzo di conoscenza, inserire la discussione del problema nell'agenda delle istituzioni internazionali, come è successo durante il G8 di Birmingham dello scorso anno, e rendere consapevole l'opinione pubblica. Due casi speculari: la Russia, dove questo mercato è cresciuto a dismisura sia per l'apertura delle frontiere sia per la totale assenza di consapevolezza del fenomeno da parte delle istituzioni, e il Brasile, dove i milioni di persone costrette ai lavori forzati nel taglio della canna da zucchero sono diventati poche centinaia di migliaia grazie a un'azione di contrasto promossa dal governo dopo le denunce delle associazioni locali.

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Lo stesso può essere fatto in altri paesi e l'Italia può giocare un ruolo importante se istituzioni e società civile si mobilitano. A livello nazionale, è in discussione alla Commissione Giustizia della Camera un disegno di legge di iniziativa del governo sul traffico di esseri umani, e altri spazi per un'azione di contrasto più incisiva potrebbero aprirsi estendendo l'applicazione delle norme contro l'associazione a delinquere di stampo mafioso: è in cantiere uno studio della Procura Nazionale Antimafia, guidata da Pier Luigi Vigna, per verificare le analogie fra le modalità con cui si realizzano gli atti criminosi riconducibili alle criminalità organizzata "tradizionale" e quelle proprie del traffico di esseri umani, e quindi l'estendibilità alle seconde delle misure di contrasto e repressione e delle procedure di cooperazione internazionale, più o meno formali, che si applicano alle prime.

Sul piano internazionale, il traffico di esseri umani è oggetto di un protocollo addizionale alla Convenzione contro il crimine transnazionale, atteso per la firma nel 2000 a Vienna, previsto nello statuto della Corte Penale Internazionale, che dovrebbe collocarsi alla base di accordi bilaterali con i paesi di origine e di transito del fenomeno. Le Nazioni Unite hanno poi lanciato un programma generale di contrasto la cui prima fase, quella di monitoraggio, è già partita con rilevazioni nelle Filippine e, tra breve, in Polonia e nella Repubblica Ceca.

L'azione di contrasto non deve comunque essere disgiunta dalla tutela delle vittime e anzi dovrebbe essere ispirata alla stessa filosofia dell'art. 18 del testo unico sull'immigrazione. Le persone oggetto del traffico non vanno tutelate perché collaborano, come nella cosiddetta legislazione premiale, ma perché sono state colpite nei loro diritti fondamentali e affinché possano superare il terrore di quanto hanno subito, aiutando la giustizia in modo più responsabile. Dall'incontro emergono la proposta per un tavolo di coordinamento dei ministeri competenti e un appello del ministro Balbo perché i cittadini italiani, osservatori involontari o a volte persino clienti, decidano di non ignorare più il fenomeno.

 

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