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Il mercato globale visto da sinistra

Sergio Cofferati con Gianni Riotta


Questo articolo è apparso su La Stampa (www.lastampa.it) del 15 settembre

Il segretario della Cgil non ritiene "scontato" che Silvio Berlusconi ritorni a Palazzo Chigi, teme che le sortite del ministro Giuliano Amato sulle pensioni possano, "involontariamente", scoraggiare "il pilastro pubblico del sistema pensionistico". Sergio Cofferati prova anche, in un colloquio che lo porta a parlare di globalizzazione ("evitiamo l’errore dei tempi del miracolo economico 1960, considerandola un’opportunità, non solo un rischio"), a immaginare le pensioni italiane del 2050, la scuola del 2010 e il futuro dei ragazzi. Di chi va in fabbrica a 14 anni come di chi si specializza in informatica all’estero.Cofferati sa che le notizie non sono buone per la sinistra, ha letto i bollettini di sconfitta per i socialdemocratici tedeschi. Non è che la destra, in Europa come negli Usa, sia più a suo agio a gestire la rivoluzione economica che non la sinistra?

"In Germania la sinistra perde perché sembra deludere la speranza del cambiamento dopo Kohl. Ma in Inghilterra Blair, e in Francia Jospin, reggono. Non c’è una malattia europea della sinistra. Ragioniamo sull’Italia. La sinistra è da anni in difficoltà a Milano, e ha perduto a Bologna. Non si tratta però di uno spostamento di consensi a destra. Temo piuttosto l’astensionismo attivo, vale a dire l’atteggiamento di chi non vota perché si disaffeziona alla sinistra. Non diamo più valori e in tanti restano a casa".

Spesso si parla di lei come sindaco futuro di Milano, proprio la metropoli in cui la sinistra è incapace, da un decennio, di far trionfare la Politica sull’Economia. Come si rimette insieme una coalizione vincente, se i tradizionali mestieri, operai, impiegati, intellettuali cedono il passo agli zingari di Internet, oggi qua, domani là, niente sindacato? Cofferati immagina "la sinistra come un albero. Che deve espandere le proprie radici, la tradizione, ma allargare la chioma, allargandosi a soggetti finora non garantiti. In tanti parlano di un lavoro purchessia. Il governatore Fazio, per esempio. Meglio un lavoro qualunque della disoccupazione. Ecco: se ci accontentiamo di queste posizioni finiremo sconfitti, alla tedesca. Noi dobbiamo essere il partito della qualità del lavoro. L’alternativa tra mobilità e lavoro fisso è artificiosa".

Ma è stato il premier Massimo D’Alema a ricordarci che il lavoro fisso è finito, no? Cofferati non raccoglie: "Altro che lavoro qualunque: noi vinciamo la sfida della globalità se sappiamo dire ai giovani, il lavoro deve essere di qualità. Vi deve realizzare, deve diventare parte della vostra vita. Io sono per la flessibilità. Ma intesa in senso creativo. Con la scuola capace di dare i saperi che permettano ai ragazzi di gestirsi la vita come desiderano, pur innestati nella produzione. Sono contrario invece alla flessibilità del ragazzino del Nord-Est che arriva in fabbrica a quattordici anni, con poca scuola e niente formazione e rischia, a trent’anni di essere obsoleto".

E’ quello che gli economisti americani, alla Barry Bluestone, chiamano "l’effetto clessidra". Una società divisa dalla nuova economia in due, come una clessidra. In alto chi ha il sapere dell’informatica e delle tecnologia, in basso che deve accontentarsi di lavori generici. "Se lasciamo che le società occidentali si plasmino da sole, la nuova economia produrrà questi effetti. Chi è escluso avrà dei problemi, i partiti non saranno più in grado di rappresentarlo, il sindacato faticherà a dargli voce e arriveremo a società radicalmente divise".

E’ la faccia triste della globalizzazione. Ma non c’è il rischio che, fra una generazione, i leader di sinistra ripetano l’autocritica di Vittorio Foa rispetto agli anni del boom "non riuscimmo a vedere che per milioni di lavoratori vacanze e utilitaria furono l’emancipazione". "Assolutamente sì". Cofferati non ha dubbi: "La globalizzazione è un processo che può dare evoluzione e libertà a milioni di persone". Un anatema per Bertinotti e i suoi, ma il segretario della Cgil è persuaso dell’analisi: "Certo c’è il rischio che la competizione globale osteggi il progresso dei lavoratori. La sinistra deve battersi non per fermarla, ma per favorirne gli aspetti liberatori. E’ quella che io chiamo la qualità del lavoro e della società. Capire che, nel mercato globale, la protezione sociale non è un freno, ma la garanzia della coesione sociale e dello sviluppo".

Se lei ha ragione, se scuola e formazione sono la risorsa del futuro, come risponde a chi accusa proprio il sindacato, e soprattutto la Cgil, di frenare le novità nella scuola? "Ci sono già delle novità nella nostra scuola che prevedono questo nuovo modello. Troppo spesso dibattiamo di questioni quotidiane, delle agenzie, dei titoli di giornali e ci dimentichiamo dei valori. La sinistra aveva prima l’occhio alla strategia e magari non riusciva ad articolarla. Perfino un vecchio riformista come me non può negare oggi che, invece, siamo attentissimi al giorno per giorno e ci dimentichiamo della prospettiva. Faccio eccezione in questa intervista: la scuola e la formazione devono investire tutta la vita, accettare l’idea che un mestiere ormai deve reimpararsi ogni giorno. Con nuovi linguaggi, nuovi saperi.

La scuola deve andare fuori dalla scuola, raggiungere i quartieri poveri, il carcere, gli ospedali. E naturalmente l’insegnante che accetta la fatica, gli aggiornamenti, la cultura per questi esperimenti deve avere un trattamento professionale adeguato". Inseguito dai cronisti e dai titoli "Prodi dice: i pensionati del 2050 sono già tra di noi", "Amato: tetti per le pensioni, chi non vuole riformarle è un imbecille", "Salvi: 35 ore", Sergio Cofferati sembra riluttante a lasciare la riflessione per la battuta. "Vogliamo parlare di flessibilità? Va bene. Perché sempre di flessibilità all’ingresso e all’uscita dal lavoro e mai, dico mai, di flessibilità durante la vita di lavoro? Lei opera nell’informazione. Il mondo dove si vede con più chiarezza come la risorsa del futuro sia il costante arricchimento professionale, e, dico da sindacalista, sia dell’individuo che del gruppo di lavoro. Lo ripeto sempre alle imprese: se abbiamo creato occupazione con la crescita all’1%, non vedete come la questione non sia lavoro fisso o no, ma lavoro di qualità o no, lavoro che arricchisce la personalità della gente come la società?".

Così vede il futuro del lavoro Sergio Cofferati. Che però conosce gli obblighi del cronista, Prodi? Amato? Salvi? e non si sottrae alle risposte di giornata. Pensioni: "Non ci sarà l’Ora X, il cambio epocale, il giorno in cui cambieremo era geologica delle pensioni. Se lei mi chiede di immaginare le pensioni del 2050, evocate da Romano Prodi al debutto europeo, le dico, due pilastri, uno centrale pubblico e uno, anch’esso fondamentale, di previdenza integrativa. Nessuna rivoluzione".

E i tetti di Amato? "Quando ho letto sull’Espresso le pensioni miliardarie non mi hanno colpito solo le cifre altissime, ma soprattutto che spesso sono pensioni baby, accumulate in pochi anni. Il ministro del Tesoro rischia però di scoraggiare la difesa del sistema pubblico con certi toni. Solo un rischio, ripeto, ma c’è. Se invece il ministro del Tesoro vuol porre rimedio a uno stato di cose sbagliato, quello delle pensioni d’oro baby, allora il suo ragionamento è condivisibile".

Siamo tornati al punto di partenza: i dolori della sinistra davanti al futuro. A Roma tanti stanno già distribuendo gli incarichi del gabinetto Berlusconi II, dando per certa la prossima vittoria del Polo alle politiche. D’accordo? "No. Il dibattito a sinistra è utile. Parlo da elettore progressista: vinceremo le elezioni recuperando la capacità di presentare le nostre idee al Paese. Non sono affatto pessimista". Si vince ragionando di valori, di globalizzazione e di quello che i talk show trovano noioso. Si perde parlando d’altro. Così la pensa Cofferati.

 

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