Questo articolo è
apparso su La Stampa (www.lastampa.it) del 15
settembre
Cè qualcosa di irresistibile - ma anche dinespresso - nel
fatto che diversi esponenti post-comunisti di rilievo, tutti ex giovani e ora sulla
cinquantina, scrivano libri su Enrico Berlinguer. Uno lo ha scritto DAlema (con lo
storico Paul Ginbsborg); un altro Walter Veltroni; questo Frequentare il futuro. Le sfide
di Berlinguer e la sinistra di domani, con bella e malinconica foto del leader di tre
quarti in copertina, è opera del nuovo presidente dei senatori ds, Gavino Angius, che è
sardo come Berlinguer e che con Berlinguer si può dire che ha mosso i primi passi come
dirigente nazionale.
Ora, a parte forse il titolo, che suona terribilmente craxiano, o
craxoide (Governare il futuro: così Bettino si presentò in libreria appena eletto
segretario del psi), ecco, il libro si costruisce per una prima metà su Berlinguer. Ed è
tutto sommato un lavoro onesto e perfino interessante, tanto più originale quando pare di
cogliere spunti autobiografici (il ricordo del leader prima di decidere
lostruzionismo sulla scala mobile, il triste ritorno ritorno in aereo con la salma).
Mentre per la seconda metà - ahi! - limpressione è che Angius, come fanno del
resto tanti altri politici (ma questa è unaggravante) abbia assemblato materiale di
routine: relazioni, interventi, discorsi parlamentari. Tra le due parti il salto è
brusco, e pazienza.
Il punto paradossale - e anche un po provocatorio - è che
[Image] Berlinguer non lavrebbe mai fatto. Craxi, su cui Angius scrive tante cose
giuste, sì; Craxi era più "moderno" e infatti pubblicava a tutto spiano,
minimo un libro allanno. Berlinguer era allantica. Basta intendersi
sullespressione. Anche a costo di forzare, Angius rilegge Berlinguer sulla base di
categorie del presente: bipolarismo maggioritario, globalizzazione, personalizzazione
della leadership, progresso tecnologico. Ma Berlinguer, come disse una volta proprio
Craxi, non aveva la tv a colori.
Si riteneva eminentemente un dirigente politico e come tale non
scriveva libri. O meglio, o forse: nella mistica comunista, indipendentemente dalla sua
persona, egli rappresentava la Razionalità della Storia. Un paio di volte consentì a che
la casa editrice del pci pubblicasse raccolte di suoi scritti e interventi - i due volumi
intitolati La questione comunista nel 1975, per dire - e anche allora si trattava di testi
difficili, in altre parole di "mattonate". Erano altri tempi, certo. Ma sono
proprio rigori del genere, rinunce presenzialistiche di questo tipo a confermare
leccezionalità di un capo e di un uomo come Enrico Berlinguer. Di cui restano le
elaborazioni teoriche e lesempio concreto, ma anche lo stile e, in definitiva, quel
che Angius qualifica più volte "tensione etica", "respiro ideale",
"concezione alta della politica".
È qui che si comprende linconfessata, forse
linconfessabile ragione che spinge tanti post-comunisti a occuparsi di questa
figura. Fede, passione, intransigenza, sobrietà di costumi: Berlinguer è
lincarnazione di tutto ciò che i cinquantenni che oggi guidano lex pci hanno
accettato di perdere per sempre. Per nessuno più che per loro Berlinguer è un
"addio giovinezza", è dubbio sulle proprie scelte, è rimorso o magari è anche
unultima strada per salvarsi lanima. Chissà.