Saint Simon/Requiem per una fondazione Massimo Panarari
"Cera una volta", al numero 91 bis di rue du
Cherche-Midi, sixième arrondissement parigino, la potente Fondation Saint-Simon. Ed ora
non cè più, lasciando inequivocabilmente un vuoto nel panorama della cultura
francese. Sulla Une, la prestigiosissima prima pagina di le Monde, compariva un articolo
di Pierre Rosanvallon, intitolato La Fondation Saint-Simon, une histoire accomplie,
secondo il quale il tramonto della celebre istituzione segnava la "fine di
unepoca". Larticolo pubblicato sul primo quotidiano di Francia
corrispondeva al testo con cui il noto sociologo e storico delle idee, segretario generale
della Fondazione, annunciava ai membri dellassociazione la proposta unanime del
consiglio di amministrazione composto, insieme al presidente Roger Fauroux, da
Jean-Claude Casanova, Alain Minc e Jean Peyrelevade di procedere allo scioglimento
di Saint-Simon.
Le ragioni della chiusura? Rosanvallon, a dire il vero, non le espone
con molta chiarezza, indicando, sostanzialmente, che non si può essere uomini o
fondazioni "per tutte le stagioni", rivendicando orgogliosamente e senza
esitazioni il fatto che "di fronte a coloro i quali ci accusavano per pigrizia di
pensiero unico, noi abbiamo concretamente tentato piuttosto di pensare liberamente ed
apertamente, restando completamente indipendenti da tutti i poteri. Questo compito di
riflessione e di pubblicazione resta certamente da continuare. Ma per questo occorrerebbe
ora un altro quadro ed ulteriori utensili, per produrre di nuovo un effetto di rottura e
di invenzione in tempi che sono mutati".

Dopo essersi scagliato contro la "rendita mediatica" e
l"esposizione pubblicitaria" derivante ai detrattori della Fondazione
dalla loro opposizione alla "poderosa macchina nemica", il directeur
détudes de lÉcole des hautes études en sciences sociales soggiunge:
"Se tutte queste ragioni intellettuali e pratiche invitano ad avere il coraggio di
saper chiudere una storia, altri motivi, maggiormente personali, alfine, vanno presi in
considerazione. Molto semplicemente, in primo luogo, perché il cambiamento risulta la
condizione obbligata della vitalità intellettuale. Dopo diciassette anni passati ad
animare la Fondation Saint-Simon, è tempo anche per me di pensare a nuove avventure. Ma
pure, non posso nasconderlo, perché la scomparsa di François Furet nel 1997 ha tolto
gusto ad una di quelle imprese che non traggono un senso se non dal piacere
dellamicizia e delliniziativa condivisa" (le Monde, 23 giugno 1999).
Difatti, fu proprio lo storico della "sovversiva" lettura
liberale della "gloriosa" Rivoluzione francese, assurto al ruolo di nemico
giurato della storiografia e della vulgata marxiste sullevento (dominate da Albert
Soboul) il nume tutelare della Fondation Saint-Simon, divenendone il primo presidente e
lanima, insieme al copresidente Roger Fauroux, allepoca PDG
(président-directeur général) della fondazione Saint Gobain e, successivamente, nel
1988, ministro dellIndustria nel governo presieduto da Michel Rocard).
La Fondation Saint Simon, contenitore e produttore di pensiero non
facilmente inquadrabile nel contesto del paese di Marianne, costituì una autentica
novità, metà think tank allamericana (ed il mondo anglosassone, contrariamente
alle abitudini doltralpe costituì per i "sansimoniani" un orizzonte di
riferimento significativo), metà club di riflessione assai franco-français (figlio di
una tradizione intellettuale fondata sulla trasformazione pilotata e veicolata
dallalto, rievocante i precedenti illustri degli idéologues e dei philosophes), ma
pure, indiscutibilmente, lobby proclamante una fede assoluta nel ruolo delle élites e
nellimportanza delle reti di relazioni
Già nella propria intitolazione la Fondation rivelava le proprie
ragioni fondanti e finalità. Richiamandosi al conte di Saint-Simon (1760-1825), curiosa
ed anticipatrice figura di imprenditore moderno ed antesignano del socialismo, i
"padri fondatori" accanto a Furet, Fauroux e Rosanvallon, sedevano Alain
Minc, Emmanuel Le Roy-Ladurie, Pierre e Simon Nora riunitisi nel dicembre del 1982
allinterno di uno dei saloni dellhotel Lutétia, nel cuore della ville
lumière, esibirono la loro volontà di dare vita ad un luogo nel quale fare incontrare e
discutere, "al di là delle ideologie", coloro che potevano essere reputati gli
opinion-leader di interesse della società francese (i grand commis della rispettatissima
burocrazia pubblica, intellettuali e professori universitari, industriali, sindacalisti,
giornalisti), accomunandoli allinsegna di un progetto condiviso, quello della
réforme social (concetto quantomai evocativo in Francia), condotta dalla tecnocrazia e
dalla classe dirigente più "illuminata".
A finanziare questo progetto saranno ricchi sponsor privati (da Caisse
des dépôts a Suez, da BSN a Gervais-Danone, dal Crédit local de France a Publicis e
Sema), conquistati dallobiettivo programmatico di unire industria, cultura ed alta
funzione pubblica, ambienti intellettuali ed economico-professionali, reciprocamente
diffidenti o non comunicanti, nel nome di una "transversalité" (la cui coesione
appariva salvaguardata dalla comune matrice modernizzatrice e riformatrice), infine
perseguita e conseguita con efficacia. Della quale i primi testimonial erano gli oltre
cento aderenti, con le loro biografie personali, veri e propri "manifesti
viventi" del lavorare ai confini e nella contaminazione, da Simon Nora (alto
funzionario dello Stato, membro di una miriade di commissioni consultive e tra i fondatori
dellExpress e del Nouvel Observateur) a Jacques Julliard (directeur détudes
allEhess, membro del bureau national del Syndicat général de léducation
nationale e della CFDT, editorialista del Nouvel observateur, componente del comitato di
redazione di Esprit e consulente della casa editrice Seuil), per non citare che
qualche esempio.

Le radici di questo progetto si rivelavano plurime, ma affondavano
principalmente nel filone tecnocratico della "nébuleuse modernisatrice",
larcipelago composito e differenziato che, allindomani della conclusione del
secondo conflitto mondiale, eleggeva a proprio paradigma una forma di capitalismo dirigé,
ispirato alla conciliazione tra mercato ed intervento pubblico da realizzarsi mediante la
concertazione tra le parti sociali: amministrazione, padronato e movimento sindacale.
Accanto alla sansimoniana poiché, effettivamente, laggiù se ne possono reperire
le manifestazioni ante-litteram "ideologia della modernizzazione"
(destinata a trovare in Italia uno dei suoi profeti nel celebre Adriano Olivetti),
laltra fondamentale sorgente della Fondazione si identificava con i fermenti
intellettuali ed il movimento dellantitotalitarisme, generatore della cosiddetta
deuxième gauche, reclutando anche svariati seguaci tra i discepoli di Raymond Aron e
nellambito della rivista Commentaire.
La proposta di incontro tra esponenti della sinistra e della destra
fornirà lennesima nota distintiva e peculiare della Fondation ed uno dei motivi di
difficoltà nel corso della lunga stagione di François Mitterand, con la quale coincisero
gli anni iniziali di esistenza dellassociazione (il presidente non amerà mai,
ricambiato, questo anomalo e specialissimo foyer). Rigettando la sociologia critica di
autori come Pierre Bourdieu autentica "bestia nera" dei dirigenti della
Fondation gli intellettuali "esperti" da cui è stato popolato questo
laboratorio della cultura francese hanno rivendicato sempre uno "specialismo
scientifico" e delle competenze ed un pragmatismo tinto di senso di
"responsabilità", mirante a costruire una visione "pacificata" dei
rapporti sociali.
Non "organici" ad alcun partito, ma alquanto influenti
soprattutto in virtù dei reseaux amicali tessuti deliberatamente e molto attentamente
questi "architetti del social-liberalismo" (come sono stati definiti, non
certo con simpatia, in un articolo a loro dedicato dagli "acerrimi avversari"
del Monde diplomatique, che li considerano i lacché intellettuali della pensée unique)
hanno saputo intervenire con grande forza ed autorevolezza in seno al dibattito politico e
culturale doltralpe, attraverso i loro gruppi di riflessione, i seminari, la
proiezione mediatica ed editoriale (alla Fondazione era stata affidata la direzione della
collana Liberté de lesprit di Calmann-Lévy) e, innanzitutto, le famosissime notes
vertes, curate da un gruppo di giovani intellettuali riuniti intorno a Rosanvallon e
capaci di suscitare una discussione molto accesa nei circuiti "che contano" del
paese.
Pubblicate con una regolarità quasi mensile (ad oggi ne sono uscite
108), le "note", della dimensione di un grosso articolo di rivista (dalla decina
al centinaio di pagine) hanno fatto il punto su numerose questioni di attualità oppure
hanno imposto direttamente i temi dellagenda politica e sociale della nazione. Gli
"appunti" di Daniel Cohen, Denis Olivennes o Thomas Piketty
sulloccupazione, quelli di Patrick Weil sulle politiche per limmigrazione, il
recente dibattito sui Pac e le unioni civili, lo scritto di Peyrelevade sul "governo
dimpresa" costituiscono altrettanti esempi dellimpatto di questo
peculiare strumento di analisi e ricerca inventato dalla Fondation Saint-Simon, sino al
caso più eclatante e destinato a rimanere negli annali della storia politica transalpina
della "nota" del demografo Emanuel Todd sulle Origines du malaise politique
français del novembre 1994, alla vigilia delle elezioni presidenziali. In essa veniva
riportata alla luce la misconosciuta e screditata idea dellesistenza della lutte des
classes e di una "frattura sociale", che laccecamento elitista della
classe dirigente in particolare di quella della sinistra aveva
sbrigativamente riposto in soffitta.
A farsene portabandiera, nel corso della sua vittoriosa campagna
presidenziale, improntata nelle dichiarazioni alla riscoperta delle "volontà
popolari" e della "giustizia sociale", sarà Jacques Chirac, il quale fece
distribuire migliaia di copie del testo di Todd ai quadri dellRpr, prima di vedere
coronato il suo sogno di entrare allEliseo.
La Fondation Sain-Simon è morta, evviva la Fondation Saint-Simon!
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