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Il futuro delle biblioteche

Geoffrey Nunberg

 

 

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(...segue)

Anche quando saranno disponibili online molte sezioni attualmente presenti nelle biblioteche, ci sarà sempre bisogno di libri, nonché di edifici e scaffali che possano contenerli. Certamente molti degli attuali limiti della tecnologia legata alla lettura digitale verranno superati in un prossimo futuro: avremo presto schermi economici, leggeri e ad alta risoluzione in grado di funzionare per lunghi periodi a bassa potenza, e forse anche le versioni commerciali dei sottili schermi flessibili noti con il nome di “carta digitale”. Ma le caratteristiche stesse del libro stampato che ne costituiscono un limite quando si tratta della sua conservazione e distribuzione (il fatto cioè che ogni testo richiede un supporto materiale fisso) lo rendono anche un mezzo insostituibile per la lettura prolungata di testi complessi. Tendiamo a dimenticare quanto il processo di lettura di un libro dipenda dal fatto di maneggiare fisicamente il volume e dal sense of place che esso produce (leggere Proust dallo schermo di un computer, come ho detto una volta, è come vedere la Normandia attraverso un mirino).

E’ sicuro, quindi, che il libro continuerà ad essere la forma principale attraverso la quale saranno lette tutte quelle opere che costituiscono il cuore della vita culturale e che sono il fulcro delle raccolte presenti nelle biblioteche pubbliche (romanzi, biografie, storiografie o periodici molto diffusi). Quando le raccolte delle biblioteche saranno rese accessibili online, naturalmente anche queste opere saranno disponibili in una forma digitale che renderà semplice la ricerca e l’annotazione; accanto a queste troveremo le nuove opere con multimedia, ipertesto e tutto il resto che potranno essere consultate solo nella forma digitale. I libri stessi, inoltre, potranno ben presto essere prodotti e distribuiti in modi molto diversi, ora che le stampanti in rete consentono di ottenere copie ad alta risoluzione già rilegate, qualunque sia la collocazione di uno qualsiasi delle centinaia di migliaia di testi che diventeranno disponibili online. La biblioteca pubblica di Carthage, nel Tennessee, può stampare una prima edizione facsimile di James Agee, mentre la biblioteca dell’Università del Tennessee può ottenere una stampa del libro di Alphonse de Lamartine su Gutenberg scaricandola da un server della Bibliothèque Nationale de France.

Ferma restando la visione di una biblioteca digitale disincarnata, quindi, appare evidente che le biblioteche locali, quelle fatte di mattoni e calcestruzzo, avranno sempre una loro funzione da svolgere, non solo nell’immediato presente ma anche in qualunque periodo ci sia dato ragionevolmente di prevedere. Anzi, il fatto stesso che esse siano le depositarie di una cultura “stampata” di lunga durata costituisce un importante motivo per chiedere loro di essere anche il luogo principale nel quale sia possibile accedere alle informazioni digitali, piuttosto che ricorrere a strutture probabilmente più pratiche come gli uffici postali, gli Internet café o semplicemente gli appositi spazi previsti in palazzi con uffici e centri commerciali.

Ma esiste un motivo ancora migliore per fare delle biblioteche le mediatrici dell’accesso pubblico alle informazioni elettroniche: in una sola parola, i bibliotecari. All’udire le immagini di ciberspazio dipinte da Gore, IBM e molti altri, si ha talvolta l’impressione di un luogo in cui sia esplosa una bomba a neutroni, di file interminabili di ciminiere cibernetiche su cui non si posa mai alcuna impronta virtuale. Ma se c’è un elemento che distingue i computer in rete dalla stampa è l’elevata assistenza che essi richiedono costantemente, non solo per la manutenzione necessaria sia per la macchina che per il sistema, ma perché gli utenti hanno bisogno di aiuto per trovare ciò che ricercano nel labirinto della Rete (e spesso, in mancanza di criteri standard per i documenti, diventa difficile anche solo visualizzarli sullo schermo). Chiunque lavori in un ufficio o in una Università è dolorosamente consapevole di queste difficoltà, ma i problemi diventano ancor più urgenti per i frequentatori delle biblioteche, che di norma non hanno molta esperienza nell’uso dei computer e che non hanno a disposizione amici o colleghi da cui farsi aiutare.

C’è poi il problema di filtrare e valutare il contenuto delle informazioni. Negli ultimi anni, la maggior parte delle persone si è concentrata su siti offensivi a tutti i livelli (dalla pornografia al razzismo, dal pettegolezzo infondato al commercio selvaggio e talvolta privo di scrupoli). Ma se anche esistessero servizi e programmi “filtro” in grado di individuare e scartare tutti i siti discutibili senza escludere il materiale non offensivo, esisterebbe comunque il problema di dover aiutare gli utenti a selezionare i milioni di siti e risorse online eliminando tutto ciò che è semplicemente impreciso, inconsistente o banale. Una mia amica che insegna letteratura scandinava medioevale a Berkeley si lamentava recentemente del fatto che gli scritti dei suoi studenti sono pieni di informazioni inesatte che essi hanno preso dalla Rete. E in effetti, quando ho effettuato una ricerca sulla parola “Vichinghi” ho trovato di tutto, da informazioni altisonanti ma del tutto infondate su alcuni stanziamenti vichinghi in Connecticut fino ad arrivare ad una serie di siti dedicati ad un movimento dei seguaci di Odino, che sembra avere molto seguito.

Nessuno dice che gli studenti non debbano accedere a questi siti, ma sarebbe meglio se essi avessero un aiuto che li metta in condizione di distinguere ciò che è bene da ciò che non lo è. In questo possono essere utili i servizi che forniscono gli indici commerciali, così come gli indici messi a punto dalle varie associazioni e ordini professionali. Ma è la quantità stessa di questi indici e delle pagine di risorse che li rende meno utili di quanto potrebbero: spesso diventa difficile trovarli e valutarli, al pari dei siti che essi consigliano. Alla fine, anche gli utenti più sofisticati finiscono con il dipendere quasi esclusivamente dai consigli ricevuti sui siti ai quali è più opportuno rivolgersi: mi sembra a volte che la metà della posta che ricevo dai miei collaboratori al Centro Ricerche Xerox di Palo Alto contenga richieste o consigli sui siti web più utili o divertenti. Ma per coloro che non hanno questi colleghi, niente è più insostituibile di un bibliotecario pronto ad aiutarli e sempre al loro fianco (fisico o virtuale che sia).

Per garantire agli utenti l’assistenza che richiede la digitalizzazione, sarà necessario aumentare considerevolmente i budget destinati alle biblioteche. Un secolo fa, Carnegie stabilì che avrebbe concesso le sue donazioni per la costruzione delle biblioteche a condizione che le comunità locali si impegnassero a mettere a disposizione ogni anno non meno del 10% del costo di capitale dell’edificio. Nel mondo digitale, al contrario, i costi legati all’assistenza e alla manutenzione superano i costi di capitale in misura variabile tra il 200 ed il 500 per cento (un grande problema delle aziende che utilizzano questi strumenti, e ovviamente anche di società come la Microsoft che annunciano iniziative sempre nuove volte a ridurre il “costo di proprietà” dei sistemi che servono a eseguire i loro software).

E’ vero che alcuni di questi costi saranno minori per le biblioteche e le scuole, che necessitano di una tecnologia meno potente rispetto alle grandi società e che possono beneficiare dell’intervento di personale volontario sia per l’installazione che per l’assistenza. Alcune biblioteche beneficeranno anche dei provvedimenti sulle tariffe dei servizi elettronici (le e-rates) contenuti nella legge sulle telecomunicazioni del 1996, in base alla quale i gestori delle telecomunicazioni sono tenuti ad accantonare dei fondi per ridurre i costi di accesso di utenti e istituzioni che non dispongono del servizio. In realtà, questo programma ha subito un importante ridimensionamento nel giugno 1998 in seguito all’opposizione dei repubblicani secondo i quali tale provvedimento avrebbe avuto come conseguenza un aumento delle tariffe telefoniche interurbane. Ma non è possibile eludere il problema dei maggiori costi di manodopera legati alla digitalizzazione. Si tratta di un aspetto che viene largamente ignorato nei vari studi sui costi necessari a collegare online scuole e biblioteche; tutti questi studi partono dal presupposto che la manutenzione vera e propria del sistema può essere eseguita da poco personale centralizzato, mentre l’assistenza ordinaria agli utenti viene garantita dal personale già esistente (bibliotecari o insegnanti) che riceveranno un’apposita formazione sull’utilizzo dei computer.

Si tratta di un atteggiamento poco realistico, soprattutto se si considera che l’assistenza agli utenti per i PC delle biblioteche richiede molto più personale di quanto occorra in un ufficio, poiché saranno tantissime le persone che, recatesi in biblioteca, avranno bisogno di qualcuno che le introduca all’uso della tecnologia. Prendiamo, ad esempio, la biblioteca pubblica di Demopolis, in Alabama, che ha ottenuto di recente una donazione di 33.000 dollari dalla Gates Foundation per l’installazione di 8 personal computer e che ha ricevuto una visita di Bill Gates (molto pubblicizzata) proprio due giorni prima che il magnate si recasse a testimoniare davanti alla Commissione Giustizia del Senato, nel marzo l998. A prima vista, il programma di Demopolis costituisce un modello di come è possibile introdurre le tecnologia in una piccola biblioteca. La biblioteca ha un personale pieno di energia ed inventiva, mentre la comunità locale ha messo a disposizione fondi e volontari. Tuttavia, l’assistenza per gli otto PC richiede l’equivalente di una persona e mezzo a tempo pieno su uno staff composto da quattro elementi. Inoltre, anche se gli altri costi di assistenza e manutenzione possono essere contenuti a 2.500 dollari a computer (una cifra in ogni caso molto bassa), il costo effettivo legato alla fornitura della tecnologia comporterà un aumento del 30-40% nel budget della biblioteca, ora pari a 155.000 dollari: un costo annuale che quindi supera la somma donata dalla Gates Foundation (oltre a fornire i fondi per la formazione iniziale del personale della biblioteca, la fondazione circoscrive gli aiuti finanziari per l’assistenza ad un periodo limitato di libero accesso ad una hotline a costo zero).

Grazie ad una forte partecipazione della comunità locale, la biblioteca di Demopolis riuscirà forse a superare questi inconvenienti senza dover risparmiare sulla manutenzione dell’edificio, sull’acquisizione dei libri o su altri programmi. Tuttavia, la digitalizzazione costituirà un pesante onere finanziario per la maggior parte delle biblioteche pubbliche, non solo quelle che si trovano in zone povere o remote, ma anche quelle di cittadine fiorenti che si trovano in regioni ad alta espansione tecnologica. Recentemente, la città di Palo Alto ha annunciato la decisione di chiudere tre succursali della biblioteca pubblica, dovuta in parte all’aumento dei costi di mantenimento e ammodernamento dei servizi elettronici. Se non crescerà in misura significativa il sostegno finanziario sia pubblico che privato, difficilmente la maggior parte delle biblioteche sarà in grado di rispondere alla domanda di assistenza invariabilmente legata all’informatizzazione.

In ultima analisi, è vero che l’utilità di una biblioteca dipende da quanto essa può offrire. Proprio in questo le biblioteche create da Carnegie non si rivelarono, nella maggior parte dei casi, all’altezza del loro compito. Malgrado le ripetute richieste di fondi, Carnegie si rifiutò di mettere a disposizione altro denaro per l’acquisto dei libri necessari alle biblioteche da lui stesso finanziate, sostenendo che questa fosse una responsabilità delle comunità locali (il motivo potrebbe essere, come alcuni hanno suggerito, che egli considerasse i libri un oggetto troppo deperibile perché potessero servire da monumento perpetuo alla sua munificenza). Alla fine, la selezione e l’acquisto dei testi furono lasciati alle autorità locali, che riempirono gli scaffali delle loro biblioteche in maniera tutt’altro che equilibrata. La maggior parte delle biblioteche era praticamente vuota ancora molti anni dopo la fondazione, mentre altre offrivano quasi esclusivamente romanzi popolari ed altre letture d’evasione. Scrive H. L. Mencken nel 1928: “Andate nella più vicina biblioteca Carnegie ed esaminate il catalogo dei libri. Avrete cinque probabilità contro una di trovarla piena di sciocchezze letterarie e priva di buoni testi, al pari di una libreria di Boston”.

In linea di massima, questo è il nostro vantaggio rispetto all’ultimo periodo delle biblioteche: una volta che qualcuno ha sviluppato una risorsa, questa diventa disponibile per tutti. Certamente, anche in questo caso esisteranno le disparità tecnologiche tra i ricchi ed i poveri, poiché alcune scuole e biblioteche potranno accedere più facilmente alle informazioni rispetto ad altre. Inoltre, l’innovazione potrà solo aumentare le differenze: al contrario dei libri, la tecnologia digitale deve essere costantemente sostituita per tenere il passo con le aspettative degli utenti e con la richiesta di contenuti che necessitano di una elevata larghezza di banda, come gli audio ed i video (Gates deve invidiare Carnegie, le cui biblioteche sono ancora in piedi un secolo dopo essere state costruite). Ma mentre tutto questo avrà un effetto sulle biblioteche che vogliono offrire ai loro clienti l’accesso ai video o ai software, come accade in molti casi, il problema non dovrebbe essere troppo sentito per la maggior parte dei libri e dei periodici che costituiscono il cuore della vocazione tradizionale delle biblioteche. In questo caso, la vera disparità consisterà nel denaro di cui potranno disporre le biblioteche per avere l’accesso alle opere e alle collezioni digitali.

Anche questa è una questione che è rimasta ampiamente ignorata nei dibattiti sulla digitalizzazione delle biblioteche. Tutti sembrano partire dal presupposto che il compito di fornire alla gente l’”accesso alle informazioni” sarà in gran parte assolto quando si sarà provveduto ad installare l’hardware e a effettuare gli opportuni collegamenti. Quanto alla creazione delle informazioni digitali, si tratta di un’incombenza del settore privato e delle istituzioni pubbliche già esistenti. A questo proposito, le discussioni sulle e-rate e sull’accesso alle informazioni propongono spesso il confronto (discutibile) con i loro precedenti storici in tema di servizio universale, come il servizio postale, l’elettrificazione delle campagne e la telefonia, tutte situazioni in cui si riteneva che il mero collegamento fosse sufficiente. Come ha osservato Peter Lyman, ex bibliotecario all’Università di Berkeley, nella maggior parte dei modelli attuali “Internet viene definito un mezzo di trasmissione nel quale la biblioteca digitale rappresenta l’accesso universale ad un mercato digitale commerciale in cui i cittadini trovano una risposta ai loro bisogni proprio nel loro ruolo di consumatori. L’interesse pubblico nell’apprendimento sarà soddisfatto grazie al finanziamento dei collegamenti in rete con istituzioni come le scuole, i musei e le biblioteche pubbliche”.

La domanda è se le biblioteche saranno in grado di offrire una gamma di contenuti tale da giustificare l’entusiasmo per l’accesso universale. Un problema, come abbiamo visto, è quello dei fondi necessari a convertire e sviluppare le risorse di cui hanno bisogno le biblioteche. Un’altra questione, non meno urgente, è capire se la legge sui diritti d’autore consentirà alle biblioteche di creare ed utilizzare risorse online. In base all’attuale legge in materia, la maggior parte delle biblioteche non ha la possibilità di tradurre in forma digitale alcuna parte significativa delle collezioni in suo possesso, e se sarà approvata l’estensione alle condizioni sui diritti d’autore, la quantità di materiale che essi potranno convertire resterà sostanzialmente vincolata ancora per alcuni decenni. Inoltre, le nuove proposte per la legge sui diritti d’autore che si stanno facendo strada al Congresso limiteranno di molto i diritti di “uso leale” su cui si sono tradizionalmente basate le biblioteche, riducendo la possibilità di far circolare il materiale digitale tra i loro clienti.

Anche se le risorse saranno disponibili e accessibili dal punto di vista giuridico, inoltre, non è ancora chiaro in che modo le biblioteche si procureranno il denaro necessario a pagare tale accesso, soprattutto per quanto riguarda i libri, i giornali ed i periodici che gli editori hanno già cominciato a proporre online. D’altra parte in questo momento gli editori sono molto cauti nel procedere alla pubblicazione online. La loro preoccupazione riguarda spesso la possibilità che le loro opere vengano copiate senza alcun controllo e temono che la pubblicazione digitale influenzerà negativamente le versioni stampate dei testi, per non parlare dell’incertezza sui metodi di pagamento da adottare e sulle eventuali possibilità di guadagno in questa nuova realtà. In fin dei conti, però, nessuna di queste riserve costituisce una barriera insormontabile alla pubblicazione elettronica. La copiatura dei testi può essere impedita mediante sistemi, già disponibili, che consentono un controllo sull’uso dei documenti; una biblioteca può quindi far visionare un’opera solo su determinati schermi o produrne la stampa solo tramite stampanti sicure. Viene meno anche la preoccupazione che la pubblicazione online possa cannibalizzare il mercato della stampa, soprattutto per i generi letterari che rappresentano il cuore delle collezioni nelle biblioteche pubbliche (anche ammettendo la distribuzione online dei romanzi, saranno ben pochi coloro che li vorranno leggere in questo modo). Anzi, si può prevedere da alcuni indizi che la distribuzione online potrà di fatto aumentare le vendite dei testi stampati poiché, tra gli altri motivi, questo sistema consente ai potenziali acquirenti di avere maggiori informazioni su un libro di quante non sarebbero disponibili in un catalogo o in una libreria. Inoltre, i metodi di pagamento sicuro che sono già in fase di definizione per altri settori del commercio elettronico potrebbero essere applicati senza difficoltà anche ai libri.

L’economia di questo nuovo universo appare piuttosto complicata e gli editori hanno appena iniziato ad avvicinarsi a questo problema. In teoria, le pubblicazioni digitali dovrebbero essere molto meno costose per le biblioteche rispetto ai libri e ai documenti stampati: gli editori teoricamente non incorrono in spese aggiuntive nell’offrire alle istituzioni pubbliche un accesso a basso costo ai testi digitali finché riescono a mantenere la maggior parte del loro mercato a pagamento. Con la pubblicazione digitale, inoltre, le biblioteche hanno la possibilità di unire le loro risorse per ottenere le opere di cui hanno bisogno: per esempio, il sistema bibliotecario di una cittadina o di un’università può acquistare una sola licenza d’accesso ad una rivista o giornale, rendendo poi possibile la consultazione a tutte le sue succursali (questa aggregazione vale anche per gli editori: molti di loro hanno cominciato ad offrire agli abbonati delle biblioteche una licenza che consente l’accesso ad un elenco completo di giornali).

Tuttavia, per la maggior parte delle pubblicazioni, coloro che sono in possesso dei diritti d’autore non hanno attualmente troppi incentivi a rendere accessibili le opere alle biblioteche, soprattutto perché la Rete crea nuovi mercati diretti per un genere di materiale che prima aveva minore valore commerciale, come gli archivi dei quotidiani. E anche se le biblioteche possono ottenere l’accesso a questo materiale con un costo relativamente basso per ogni documento e pagando solo per i documenti effettivamente utilizzati dai loro clienti, è certo che alla fine l’aumento del bilancio sarà considerevole, vista la mole dei contenuti. Una biblioteca pubblica locale che disponga di soli 12.000 libri può ora offrire ai suoi clienti l’accesso a centinaia di migliaia di pubblicazioni in più. Inoltre, è probabile che i costi d’accesso aumentino ulteriormente visto che l’industria informatica ha deciso di rendere meno costoso l’hardware e applicare tariffe maggiori per i servizi, sul modello della telefonia cellulare.

Per coprire i costi di accesso e quelli che garantiscono un livello superiore di assistenza, la maggior parte delle biblioteche ha già deciso di far pagare per i servizi utilizzati. Alla British Library, gli utenti possono visionare il catalogo online della biblioteca solo a pagamento ed è stato recentemente proposto di introdurre una tassa annuale di 300 sterline per tutti coloro che desiderino consultare le collezioni in maniera consistente. Può essere giustificato chiedere agli utenti (quando si trattasse di grandi società) di pagare alcuni dei servizi che ricevono dalle principali biblioteche pubbliche. Ma si tratta di una politica che interrompe una lunga tradizione di libero accesso al pubblico e molti temono che la conseguenza inevitabile sarà un peggioramento del servizio, visto che le biblioteche dedicano risorse sempre maggiori ai programmi che consentono di ottenere guadagni. In ogni caso, questo approccio sarà praticamente obbligatorio per le biblioteche delle piccole cittadine o delle comunità locali meno ricche, che possono vantare poche società tra i loro clienti. Se la pratica di far pagare tutti i servizi resi diventerà diffusa, il risultato sarà un’esacerbazione delle disparità tra le comunità ricche e quelle povere.

L’alternativa può solo essere un programma su larga scala di finanziamenti alle biblioteche, sia sotto forma di donazioni dirette che estendendo il concetto di servizio universale alla pubblicazione e alla produzione di contenuti, in cui una parte dei proventi editoriali o dei diritti di licenza viene accantonata per finanziare l’accesso alla Rete a scuole e biblioteche che non sono dotate di tale servizio. Lo stesso risultato potrebbe essere raggiunto se estendessimo semplicemente il concetto di libreria come archivio, incoraggiando o richiedendo agli editori di fornire una versione di ogni pubblicazione digitale ad una collezione nazionale online alla quale possano accedere le biblioteche pubbliche ed istituzioni simili (la Bibliothèque Nationale de France, che è un autentico archivio nazionale a differenza della Biblioteca del Congresso, ha già concluso un accordo di questo genere con l’unione degli editori francesi).

La necessità di un’assistenza, i costi di accesso, lo sviluppo delle risorse: sono tutte voci che aumenteranno il conto da pagare per dare nuovo vigore al sistema delle biblioteche pubbliche, aggiungendosi ai costi sostanziali legati alla prima e più importante delle operazioni, quella di collegare alla Rete le biblioteche. E’ inoltre necessario affrontare il problema del “copyright digitale” che riesca a bilanciare le esigenze delle biblioteche con quelle di coloro che forniscono i contenuti i quali, come c’era da aspettarsi, sono stati molti più efficaci nel dare forma all’attuale legislazione. Se crediamo davvero che l’accesso universale è al tempo stesso un bene pubblico ed un diritto privato, dobbiamo anche comprendere che l’interesse pubblico nelle informazioni non potrà essere soddisfatto semplicemente dando a tutti l’accesso ad un computer e ad un modem, non più di quanto fosse soddisfatto l’interesse pubblico nei libri quando Carnegie mise a disposizione gli edifici atti ad accoglierli.


Geoffrey Nunberg è primo ricercatore al Centro Ricerche Xerox di Palo Alto e insegna linguistica alla Stanford University.

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