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Oracoli
Josè Luis Sànchez-Martìn
Chiude l'impegnato e sostanzioso programma di "Le Vie dei
Festival", sezione del "Festival d'Autunno" di Roma
dedicata al teatro internazionale di ricerca e sperimentazione, ideata
e curata da sempre dall'associazione Cadmo e che presenta ogni anno
tra settembre e dicembre spettacoli scelti tra i migliori festival
estivi italiani ed europei, in particolare quelle performance che si
presentano come eventi unici o quasi o che comunque difficilmente
potranno essere visti a Roma in altre occasioni.
E' merito di questo "festival dei festival", per esempio,
aver presentato in Italia diversi anni fa il lavoro di uno dei più
apprezzati registi europei del momento, Eimuntas Nekrosius, e quello
di una delle compagnie teatrali più interessanti del panorama
mondiale, la multietnica "Handspring Puppet Company" del
Sudafrica, nonchè lavori delle più originali realtà teatrali
italiane, come Danio Manfredini, Marco Paolini, I Magazzini o il duo
Scimone-Sframeli.
Quello scelto quest'anno per chiudere il programma è uno spettacolo
veramente raro e originale, tanto da collocarsi al limite del teatro
in un territorio difficilmente definibile che ingloba elementi di
varie discipline e chiede allo spettatore una usufruizione
assolutamente anomala: si tratta di "Oracoli" ("Il
suono dell'acqua dice quello che pensi"), del regista colombiano
Enrique Vargas, prodotto in questa edizione, realizzata appositamente
per Roma, da Emilia Romagna Teatro e dalla compagnia di Vargas
"Teatro de los Sentidos".
Enrique Vargas è nato nel 1940 a Manizales in Colombia, studia
drammaturgia, regia e recitazione alla Scuola Nazionale D'Arte
Drammatica di Bogotà, e antropologia teatrale in Michigan (U.S.A.).
Per quattro anni è stato drammaturgo stabile in uno dei più
importanti teatri della sperimentazione mondiale, il famossisimo
teatro La Mama di New York e successivamente è stato il direttore e
drammaturgo del Gut Theatre ad East Harlem. Con il Teatro de los
Sentidos (Teatro dei Sensi) ha prodotto spettacoli-installazione
comissionati od ospitati da molti dei più importanti festival del
mondo. "Oracoli" infatti, arriva in Italia dopo Londra,
Zurigo e Berlino, ma già da anni viene riproposto in versioni ogni
volta diverse in altre capitali culturali internazionali.
Lo spettacolo , all'interno di un irriconoscibile Teatro Ateneo della
Università La Sapienza, come descritto dal programma, è "un
percorso in uno spazio fatto di labirinti oscuri, un intricato sistema
di tunnel, camere segrete, spazi aperti. Una complicata e delicata
costruzione appositamente disegnata per Le Vie dei Festival." Gli
spettatori entrano da soli e scalzi, a intervalli di cinque minuti, in
un percorso labirintico e in gran parte al buio o in una ambigua
penombra, guidati da segnali, elementi, richiami. Ispirato ai Misteri
Eleusini e basato sugli Arcani Maggiore del gioco tradizionali dei
Tarocchi, viene definito come "molto di più di uno spettacolo,
é la combinazione alchemica tra casualità, fortuna e filosofia,
rappresenta la possibilità di vivere un teatro che nega se stesso per
sciogliersi nella partecipazione attiva dello spettatore e nella
possibilità di scoprire quanto può essere affascinnte guardarsi
dentro".
"Nell'epoca della realtà virtuale" dice Vargas, "i
labirinti sensoriali rappresentano una vera e propria controtendenza,
sono un'immersione totale in un mondo arcaico che esalta tutte le
percezioni umane (vista, tatto, olfatto, udito) connettendole con il
piano psicoemotivo." Infatti, il percorso si snoda attraverso
piccole esperienze sensoriali, percepite anche al buio totale coi
piedi, con le mani, ascoltando continuamente rumori, soprattutto di
acqua che scorre, profumi, salendo e scendendo scale, ponti e
superando leggeri ostacoli che ci obbligano a volta ad accucciarci a
volte ad essere solevati in aria in un invisibile letto volante,
nonché mangiando un piccolo e gustoso pane e bevendo un té
aromatizzato nel delicato antro-taverna in cui si conclude
ovattatamente il viaggio. Lo spettacolo-esperienza è anche un
percorso, con elementi di casualità, tra alcune delle figure degli
Arcani del Tarocco, interpretati a volte in chiave artistica, delle
vere e proprie istallazioni da osservare o percorrere, a volte in
chiave teatrale, in incontri con attori, per lo più attrici, che
impersonano queste figure e interagiscono con lo sperduto e confuso
spettatore che li raggiunge nelle varie tappe e stanze del labirinto,
percorso guidato anche da una propria e personale domanda a cui viene
chiesto di pensare segretamente prima di entrare.
Purtroppo, il limite dello spettacolo sta in questo cercare di mettere
insieme due percorsi diversi che in realtà non riescono quasi mai a
fondersi in una vera e propria esperienza globale come si vorrebbe, ma
la naturale e intrinseca fragilità del teatro viene travolta del
gioco e il godimento dei sensi, facendoci trascurare, o addirittura
dimenticare i significati di quei segni, di quei simboli archetipici,
che diventano così involontariamente una decorazione del labirinto,
soavi elementi di un gioco di sapore leggermente ma anche
superficialmente New Age, tuttosommato inutilmente rassicuranti.
Questi elementi potrebbero essere veramente potenti e scavare nella
nostra intimità lasciandoci un vero, reale e profondo segno se
soltanto lo spettacolo si assumesse fino in fondo la responsabilità
di essere comunque teatro e portasse quindi fino in fondo le proprie
scelte, spingendosi realmente e coraggiosamente ai limiti del teatro,
cioé oltre e non prima di esso.
Un allestimento miliardario che richiede settimane di montaggio e un
esercito di persone, in cui alla fine l'elemento fondamentale del
teatro, vale a dire la persona e la presenza dell'attore, non
ricoprono un ruolo abbastanza dignitoso, neanche dal punto di vista
economico, data la disparità tra tonellate di mezzi materiali e
finanziari e l'esiguità delle persone che veramente fanno teatro. Ci
viene da ricordare gli allestimenti che anni fa faceva il "Giallo
Mare Minimal Teatro" all'interno del loro progetto "Teatro
per appuntamento", per esempio "Un'attimo una Stella"
al festival MicroMacro di Parma, in cui all'interno di uno stanzone
con qualche cosa, pochi soldi e tante idee di vero teatro, uno
spettatore alla volta viveva un divertente ed emozionante percorso di
soltanto tre minuti, ma che lasciava il segno per sempre, come solo il
Teatro con la maiuscola sa fare.
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