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Sergio Romano e i totalitarismi



Un lettore ci scrive



Un nostro affezionato lettore, Giovanni Antonio Lampi, ci ha mandato l'intervista a Sergio Romano che segue sperando che la sua pubblicazione su Caffè Europa sollevasse un dibattuto sul tema. Lo accontentiamo volentieri.



L’annientamento come religione

Intervista a Sergio Romano di Giovanni Antonio Lampi

“Lo stato totalitario - scrive Sergio Romano in Totalitarismo, totalitarismi e regimi autoritari (Nuova Storia Contemporanea, Luni Edizioni, lire 20.000) - è la versione più radicale dello Stato etico. (…). Un regime totalitario sopprime il dissenso, riduce drasticamente i margini delle preferenze individuali, rompe le nervature tradizionali della società civile, spezza i legami che uniscono un cittadino alla sua corporazione civile o professionale, appiattisce la società”.

In seguito agli studi di Hanna Harendt sul totalitarismo, prosegue Romano, il termine regime totalitario viene applicato senza distinzioni agli Stati comunisti, nazisti e fascisti. E tuttavia la realtà indicherebbe che, tra i regimi totalitari, alcuni furono più coerentemente totalitari di altri. Romano si riferisce in particolare allo Stato sovietico, che “si impose con la forza, conferì tutto il potere a un solo partito, imbavagliò la Chiesa, censurò qualsiasi manifestazione eterodossa, soppresse il diritto di proprietà”. Basta e avanza perché su questo breve saggio di uno dei politologi italiani più noti sia scoppiata la polemica. Soprattutto a sinistra.

Il regime comunista, secondo Romano, fu addirittura più totalitario di quello nazista. Il nazismo “fu poliziesco, repressivo, brutale, razzista e violò in molti casi la proprietà privata, ma non la abolì (…). Non basta. A dispetto delle sue ambizioni totalitarie e delle sue velleità neopagane, non abolì le due grandi famiglie del cattolicesimo tedesco: la cattolica e la protestante”.

Nel corso della seconda guerra mondiale, scrive Romano, “la Germania fu distrutta occupata dalle forze di quattro potenze e sottoposta per alcuni mesi a una sorta di processo collettivo. Ma il nazismo non aveva distrutto il diritto di proprietà e il grande patrimonio legislativo che la società tedesca aveva costruito, per disciplinarlo, nei secoli precedenti. (…) Nel giro di pochi anni i tedeschi ricostruirono le case e le fabbriche, ricominciarono a lavorare e ritrovarono in tal modo le radici della loro antica democrazia”.

In Russia invece “il crollo del sistema sovietico ha creato un enorme vuoto legislativo e culturale, un deserto su cui hanno piantato le loro tende i corsari dell’economia e della finanza”. “Temo non abbiamo capito -dice Romano- che quanto è accaduto in Russia in questi anni è l’ultimo inevitabile prodotto del totalitarismo sovietico”. 

Allora, professore, quello comunista è davvero il più totalitario tra i regimi totalitari?

“Certo. Vede, un regime totalitario naturalmente mira alla totale irregimentazione della società. Tutti i regimi totalitari si sono posti il medesimo obiettivo. Ma ci sono sempre delle differenze nel modo in cui l’obiettivo viene realizzato. Da questo punto di vista, il regime sovietico fu il più radicale e il più coerente tra i regimi totalitari. Abolì la religione, soppresse qualsiasi forma di dissenso, ridusse gli individui al rango di semplici ingranaggi”.

Lei punta molto sull’abolizione della proprietà privata come indice del grado di maggiore o minore totalitarismo di un certo regime. Perché?

La proprietà è parte integrante della nostra personalità. La estensione della personalità individuale nella società. In qualche modo, noi siamo ciò che possediamo. Il regime sovietico fu totalitario soprattutto perché soppresse il diritto di proprietà e spogliando l’individuo dei suoi beni lo dimezzò, lo impoverì moralmente e culturalmente, lo rese vulnerabile e indifeso, senza nulla da difendere, nulla per cui lottare, nulla da trasmettere”.

Nel suo saggio lei sostiene che il regime sovietico sia stato addirittura più totalitario del regime nazista…

Hitler ha avuto ambizioni molto simili a quelle di Stalin. Il nazismo fu anch’esso totalitario, brutale, razzista ma Hitler non abolì la proprietà privata, non soffocò la religione. Lo Stato nazista fu complessivamente meno totalitario dello Stato comunista. Il regime di Stalin fu totalitario con maggiore coerenza, con maggiore durezza”.

E il fascismo?

“Fu totalitario soltanto a parole. In pratica, concluse una serie di accordi con le principali espressioni della burocrazia italiana: burocrazia, chiesa, grande industria.  A queste grandi istituzioni Mussolini richiese omaggi formali: la camicia nera, il saluto romano. Ma per il resto consentì che esse si amministrassero con un notevole grado di autonomia, del tutto inimaginabile in un regime comunista”.

Paolo Mieli, in una recente intervista, ha sostenuto che revisionismo significa “guardare alla storia con coraggio e spirito di verità, senza paraocchi”. Cosa è per lei il revisionismo?

In alcuni paesi, specie quelli di tradizione anglosassone, revisionista è lo storico che rimette mano ai documenti, acquista nuove informazioni, precisa il quadro storico delineato dalle generazioni precedenti. In quei paesi il revisionismo è considerato un fenomeno del tutto normale, il modo normale di fare storia, da che mondo è mondo. In altri paesi invece, quelli che hanno avuto un forte partito comunista, il termine revisionista è utilizzato in senso negativo.

Nella cultura della sinistra europea il termine revisionismo richiama un noto libro di un importante socialdemocratico tedesco, Bernstein, il quale fece del revisionismo a proposito delle teorie di Marx, scatenando le ire dei socialisti massimalisti e più tardi dei comunisti. Da allora revisionismo suona come eresia, tradimento, peccato capitale. Insomma, quel dibattito ha un po’ macchiato il termine. Ma in definitiva, revisionismo è una parola come altre. Io ho addirittura scritto un libro che si intitola Confessioni di un revisionista. Non bisogna avere paura delle parole”.

Il suo saggio sta facendo discutere molto. Già qualche tempo fa la sua “Lettera ad un amico ebreo” scatenò un mezzo putiferio. Lei fu accusato apertamente di antisemitismo e stroncato ferocemente da molti critici. Cosa pensa di tutte le accuse che le riverseranno addosso anche stavolta?

“Il dibattito è sempre positivo quando si svolge con toni non troppo accesi e tali da deformare il dibattito stesso. Per il resto, io libero di scrivere, loro liberi di replicare”.

Se dovesse tracciare un rapido profilo del ‘900?

“Lo descriverei come un secolo di guerre, dominato da quelle che io chiamo religioni secolari, che poi sarebbero le grandi ideologie”. 

Chi sono i buoni e chi i cattivi?

“Il compito dello storico è principalmente quello di studiare i fenomeni, comprenderne le cause. Uno storico non può e non deve dare pagelle”.

Giovanni Antonio Lampis


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