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Parla il guru di Tony Blair
C'è una terza via anche per l'Europa




Anthony Giddens con Giancarlo Bosetti




“La risposta alle difficoltà dell’Unione è: ‘terza via’. Terza via tra una pesante Europa federale di impronta franco-tedesca e una minimalistica Europa neoliberale. Il progetto europeo non può più essere pensato sotto il dominio dei due paesi che ne hanno guidato il cammino nell’epoca della guerra fredda: cioè Francia e Germania. Di ‘terza via’ oggi ha bisogno il disegno europeo, proprio come di ‘terza via’ avevano ed hanno bisogno le politiche dei governi nazionali”. Anthony Giddens, dal posto di comando della London School of Economics, al quinto piano del palazzone di Oughton Street, nel cuore della trafficatissima city londinese, guarda alla Conferenza di Nizza e alle tribolazioni che la precedono da una angolatura assai diversa da quelle di Chirac e Schroeder. E anche, riconosciamolo, assai diversa da quella italiana. Gli appelli di Prodi a Chirac e Blair, le resistenze francesi, la mancanza di un accordo sulle procedure di decisione e sul “peso” dei voti dei singoli paesi, il piano per il ricalcolo dei commissari raccontato ieri da Dini a Repubblica, tutto questo qui a Londra non suscita ansie; di sicuro non c’è la stessa enfasi dei giornali “continentali”. Altro che principio di maggioranza! Giddens posa sul tavolo l’ultimo paper che ha scritto, è una critica dei disegni federalistici di Joschka Fischer. Visto con gli occhi di un influente intellettuale, pure impegnato per l’Europa, e vicino al primo ministro britannico, il vertice che si apre domani non ha proprio l’aria di preparare decisioni storiche di impronta “federale”.

La mancanza di un accordo tra Schroeder e Chirac, i contatti di Amato e Dini per trovare una soluzione in extremis. Non la preoccupa che la conferenza di Nizza si concluda con un nulla di fatto?

Sinceramente spero che fino all’ultimo si trovi un accordo che mandi avanti il cammino dell’Unione europea e consenta di superare le difficoltà, ma guardi che quella della costruzione delle nuove istituzioni europee è una traiettoria lunga e graduale. E poi non è più l’epoca in cui tutto dipendeva dagli accordi franco-tedeschi.

Il disaccordo franco-tedesco lascia nell’ombra il dissenso inglese, sull’idea di una federazione europea. Ma non è che voi inglesi vi metterete sempre per traverso di fronte alla prospettiva di una intensificazione dei poteri comunitari dell'Unione?

Ci sono molti problemi sfortunatamente con l'Euro e questo complica anche il ruolo dell'Inghilterra nella Unione. La nostra opinione pubblica è diventata ancora più contraria. Ma una ragione per cui gli inglesi non hanno avuto una incidenza maggiore nella costruzione europea è che non hanno avuto un progetto intellettuale di Europa. Io spero che adesso sviluppino una attititudine positiva e originale verso l'Unione in modo da influenzarne gli sviluppi in senso più cosmopolitico, rispetto al modello franco-tedesco. Del resto anche una vittoria di Bush può stimolare.

Come? Uno dei punti di forza della terza via, nessuno lo sa meglio di lei, era l'adesione al "club" di Bill e Hillary Clinton. Ora che succede?

Non c'è dubbio che il cambiamento alla Casa Bianca influirà perchè Tony Blair aveva una stretta relazione personale con Clinton. Non credo che la stessa amicizia si possa sviluppare con Bush. Ovviamente gli inglesi collaboreranno con gli americani ma il dibattito sulla terza via potrebbe prendere una piega più conservatrice. Ma va anche detto che quella che si sta presentando negli Stati Uniti non è altro che una versione di destra di quello che la terza via rappresenta per la sinistra. C'è una terza via del centrodestra come c'è una terza via del centrosinistra.

La terza via dunque ha un futuro anche con Bush?

In effetti Bush ha abbandonato le più brutali posizioni neoliberali e cerca di allontanarsi dalla destra fondamentalista; accetta l'idea che la gente nella economia globale ha per lo meno bisogno di qualche forma di protezione e di cura, almeno al livello attuale. Ma anche in Spagna potremmo avere una terza via di centrodestra. Si potrebbe insomma riproporre, aggiornata, una contrapposizione come quella che abbiamo avuto nel dopoguerra tra socialdemocratici e democristiani. Al Labour Party poi potrebbe non fare male un certo maggiore distacco dalla politica americana. Un suo più intenso avvicinamento all'Europa è secondo me tra le cose desiderabili.

Intanto qui in Europa però non tira aria di grandi progressi dell’Unione. Non sembra che si stia per dar vita, con il principio di maggioranza, a un embrione di federalismo.

No, non ci credo e infatti non sono d’accordo con Joschka Fischer. Nella sua visione i progressi verso una Europa federale si dovrebbero basare in modo decisivo, secondo quanto accaduto in passato, sulla collaborazione franco-tedesca. Ma quello schema funzionava nell’epoca della guerra fredda; oggi il tema di “contenere” la Germania non esiste più. E poi non credo comunque che abbiamo bisogno di un modello federale.

Perché lo esclude?

Non credo né al modello federale né a quello minimalista dei neoliberali. Ecco perché parlo di una “terza via” per l’Europa. Fischer ha detto che cercava una alternativa al termine “federalismo”, perché gli inglesi non lo mandano giù, ma alla fine lo ha usato perché non è riuscito a trovarne un altro. Io sostengo che il concetto è inappropriato non perché non piaccia a qualcuno ma perché esso implica che gli ulteriori passi nella integrazione politica europea dovrebbero muovere nella direzione di formare uno stato, con istituzioni appropriate. Ma non occorre essere euroscettici, e io non lo sono, per vedere che l’Unione europea non è uno stato e non lo diventerà mai.

Ma dovrà diventare pure qualcosa di superiore e di istituzionale rispetto ai governi nazionali.

L’Europa è una nuova forma di autorità sovranazionale, caratterizzata dalla condivisione volontaria di aspetti della sovranità. La forma che ha avuto sotto l’influenza predominante franco-tedesca non può essere la migliore forma per il futuro. Alcuni dei limiti del modello tedesco sono limiti per la stessa Unione europea così com'è ora: troppo centralismo, troppa burocrazia, troppe regolazioni, troppe lentezze. Perciò bisognerà cambiare prospettiva.

Che Europa ha in mente?

L'Unione europea dovrebbe sapersi confrontare economicamente a livello globale ma anche mantenere alle nazioni la loro legittimazione. Insomma né un progetto antinazionale né un progetto federale. Ed è necessario evitare che est e ovest si riproducano all'interno dell'Unione europea, un pericolo reale dal momento che i paesi dell'Europa occidentale possono già beneficiare della politica agricola comune così generosa con Irlanda, Grecia, Portogallo e Spagna. Questo non è un futuro desiderabile.

Che cos’è allora la “terza via” europea?

E’ un grande esperimento di governance transnazionale, carico di conseguenze anche per il resto del mondo, che sarà emulato anche altrove. Dovrà accompagnare il cammino dei paesi europei verso il mondo dell’economia globale e dell’interdipendenza e dovrà non contrastare gli Stati Uniti ma aiutarli a legarsi a un più ampio ordine cosmopolitico.

Ma le istituzioni europee dovranno avere un ruolo più forte. E come si fa a rafforzarle senza il principio di maggioranza invece di quello dell’unanimità e dei veti?

Un Parlamento e una Commissione forti ci vogliono per dare stabilità all’influenza europea. Ma l’adattamento delle forme di decisione, tenuto conto dell’allargamento del numero dei paesi membri, dovrà essere progressivo e graduale. E ci vorrà forse anche una seconda Camera come propone Fischer, per coinvolgere di più i parlamenti nazionali nella formulazione delle politiche europee, ma non necessariamente come espressione di un ordinamento federale. Soprattutto ci vorrà più democrazia.

Che cosa vuol dire più democrazia?

Ci serve una “seconda ondata” di democratizzazione o quella che io chiamo anche “democratizzazione della democrazia”. E questa riguarda sia gli ordinamenti europei che quelli nazionali. Gli stessi sistemi parlamentari dei singoli paesi, anche quelli più ortodossamente democratici, non sono abbastanza democratici per l’epoca della information society e della globalizzazione: poca trasparenza delle istituzioni pubbliche, influenze indebite dei poteri delle grandi corporations, la mediatizzazione della politica, gli affari dietro le quinte, le reti di legami personali paramafiosi, la corruzione diretta, il deficit di rappresentanza delle donne e delle minoranze etniche. Sono tutti difetti che troviamo anche nei paesi democratici e certamente anche nell’Unione europea. C’è molto da fare.

C’è dunque una “terza via” per disegnare l’Europa e non solo le politiche economiche, professor Giddens. Ma non crede che lo slogan sia ora un po' in ribasso.

No, non lo penso affatto. La terza via non è più di una etichetta buona per la discussione. In Europa si sta facendo convergenza su politiche piuttosto simili, anche se un sacco di gente ha frainteso la terza via.

Che cosa vuol dire?

Che lo stesso termine si presta a essere frainteso. Ma, guardi, per quanto dipende da me si può anche prenderlo e lasciarlo cadere perché in sostanza non stiamo parlando di altro che di un modo per modernizzare la socialdemocrazia. E questa è una discussione che va avanti e che continuerà.

Ma "terza via" non era prima di tutto il nome della politica di Tony Blair?

No, non secondo me almeno. Io la vedo come una cosa molto più ampia, che corrisponde a tutti i diversi tentativi che i partiti di centro e di sinistra stanno compiendo in diversi paesi e in diversi contesti istituzionali per trovare un insieme di politiche che consenta loro a) di venire eletti e di mantenere il governo e b) di seguire programmi che siano in sintonia con le attuali condizioni sociali.

Non è troppo poco per definire la "terza via"?

Se lei pensa a quello che è accaduto in Danimarca negli ultimi dieci o quindici anni, o in Irlanda, o in altri paesi europei, vedrà che sono tutti esempi di una generale evoluzione del pensiero politico. Tutti i partiti del centrosinistra oggi sono d'accordo sul fatto che è necessaria una certa disciplina nella spesa; tutti concordano che bisogna adeguarsi a certi cambiamenti nell'economia; tutti concordano sul fatto che le condizioni dell'agire politico sono mutate, che occorre una certa dose di transnazionalismo come parte essenziale di un progetto politico, che le politiche di livello esclusivamente nazionale sono impraticabili e così via. Tutti i partiti di sinistra sono oggi molto diversi da quelli socialdemocratici di 15-20 anni fa. E non solo in Europa, ma in ogni parte del mondo. E la stessa cosa è vera per i partiti di centro.

Ma non è in difficoltà il rappresentante numero uno della terza via, Tony Blair? Non è in discesa nei sondaggi?

No, la posizione del New Labour è piuttosto solida, anche dal punto di vista elettorale. C'è sì qualcosa di più volatile nella politica dei nostri giorni - e non c'è dubbio che il governo britannico non ha fatto tutto al suo meglio: vedi la infelice vicenda del "Millennium Dom" -, ma Blair e il suo partito rimangono forti. Con la crisi dei carburanti c'è stato un sensibile declino di entrambi i partiti, maggioranza e opposizione, ma da allora - e mi riferisco a due mesi fa - il Labour ha recuperato un largo margine di vantaggio sui conservatori e Tony Blair è ancora molto più popolare di William Hague. Certo non è più al livello degli inizi del suo governo, ma ogni confronto storico con tutti i primi ministri del dopoguerra va a suo vantaggio. E' partito da un livello di popolarità tale che non era realistico pensare che lo mantenesse. Ma io non credo che la posizione di nessun singolo leader sia determinante nella discussione sulla terza via.

Insomma la terza via non è legata necessariamente a Blair?

Ciascun paese ha diverse esigenze e diversi contesti di azione. In Germania nessuno ha fatto quello che qui la Thatcher ha fatto alle ferrovie. In Germania non esiste un problema di povertà come qui. I tedeschi hanno un gigantesco sistema di trasporti pubblico al punto che c’è una problematica di segno opposto a quella inglese: una economia congelata, rigida, con un eccesso di disoccupazione a lungo termine. Non si possono applicare gli stessi programmi in situazioni così diverse, si possono però seguire alcuni principi equivalenti. E nei suoi principi il programma di Schroeder è simile a quello di Blair.

La terza via ha fatto un po' di strada in questi mesi anche in Germania. Un anno fa Schroder sembrava in difficoltà: il documento sulla politica economica presentato insieme a Blair era stato ampiamente criticato e giudicato come un segno di confusione. Ora in Germania crescono i consensi.

La prima ragione di tutto questo è la crisi dei cristiano democratici. Schroeder d'altra parte è un politico competente ed è riuscito a portare la Spd sulle tipiche posizioni da terza via. Il documento Blair- Schroder, che aveva diversi limiti, metteva l'accento su cose di cui l'Europa ha certamente bisogno: più competitività e più spirito imprenditoriale, cose che sono diventate sapere convenzionale nella maggior parte d'Europa. Ma quello che non faceva era indicare un programma per la giustizia sociale.

E sollevò un vespaio di critiche.

Anche perchè si dimenticava di dire che il welfare State con i suoi difetti era diventato anche un ostacolo alla giustizia sociale. Non mostrava che le nuove politiche sociali producono giustizia sociale là dove le veccie politiche socialdemocratihe non ne producevano più. E’ un fatto che la convergenza su alcuni temi di fondo, come la riduzione della pressione fiscale o la riforma delle pensioni va al di là degli alti e bassi del confronto politico. Il vertice di Lisbona è stato una specie di sintesi di queste convergenze, ha fissato una serie di principi grazie ai quali possiamo porci insieme l'obiettivo di una società decente e ragionevolmente egualitaria nel mezzo di due grandi cambiamenti che sono la globalizzazione e la information economy.

Nel suo libro a quattro mani scritto con Will Hutton c’è un contraddittorio tra voi due: si contrappongono due modelli di capitalismo, uno è quello di tipo tedesco, che viene definito anche stake-holder capitalism, l'altro è quello di tipo anglo-americano che ha invece l'impronta degli share-holders. Hutton simpatizza per il primo e lei per il secondo. E' così?

Sì, se vogliamo semplificare le cose è così. Ci sono comunque molti diversi tipi di capitalismo. La differenza è che quando riconosci che una ampia schiera di persone o grandi strutture economiche hanno titoli di partecipazione a una azienda lì c'è un modello di capitalismo diverso da quello degli azionisti. La mia opinione è che il modello tedesco non sarà il modello del futuro, ma questo non significa che necessariamente dobbiamo muovere verso il modello dei businessmen rampanti e che dobbiamo affidare alle corporations il controllo del mondo. In ogni caso ci vuole una regolazione efficace, ci serve una nuova concezione di capitalismo che includa il principio di responsabilità sociale. Il modello shareholder ha dei limiti e anch'io sono d'accordo con alcune delle cose che dice Will Hutton.


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