Galileo, Brecht e Mariano Rigillo
Antonia Anania
Che cosa hanno in comune il famoso scienziato del Seicento
(1564-1642), il poeta e drammaturgo tedesco della prima metà del
Novecento (1898-1956) e l’attore napoletano dei nostri giorni che ha
recitato testi di autori come Pirandello o Viviani? Un dramma scritto
e riscritto da Brecht dal 1940 in poi, che racconta in modo
problematico e politico la vita di Galileo, impersonata in questi
giorni da Mariano Rigillo al Teatro Quirino di Roma. Dunque
personaggio, scrittore e interprete.

Facciamo un po’ di storia. Galileo Galilei fu condannato dalla
Chiesa nel 1633 per aver sostenuto la teoria eliocentrica di Copernico,
a scapito di quella geocentrica elaborata da Aristotele nel IV sec.
a.C. e ripresa dall’astronomo Tolomeo nel II d. C. Per Galileo era
il sole e non la terra il centro immobile dell’Universo e quest’ultima
vi ruotava intorno, come gli altri pianeti. Per la Chiesa invece
questo era inammissibile, uno scandalo, un’eresia: Galileo abiurò
le sue teorie e i suoi studi per evitare di morire prima del tempo e
per continuare a studiare, in mezzo a carte astronomiche, resoconti
scientifici, telescopi, congegni di precisione (certamente consoni al
secolo).
Il perno delle riscritture di Brecht riguardo alla vicenda di Galileo,
le sue oscillazioni di giudizio stanno proprio nella diversa lettura
del rapporto tra Galileo e il potere, nella necessità o meno della
sua abiura. Nella prima redazione di Vita di Galileo (1938-39),
Brecht dà tutta la colpa dell’abiura alla politica assolutistica e
dogmatica della Chiesa. Nella riscrittura del 1945, dopo lo scoppio
della bomba atomica di Hiroshima, e poi nella terza stesura, Galileo
invece diventa sempre più responsabile e colpevole della sua abiura.
Prima di morire, relegato nel convento di Arcetri, fa un’autoanalisi:
abiurando ha ceduto al potere, tradendo la sua professione. Brecht
vede nel misfatto di Galileo il ‘peccato originale’ delle scienze
naturali moderne; gli scienziati, fa dire a Galileo, sono “una
progenie di gnomi inventivi, pronti a farsi assoldare per qualsiasi
scopo”.

La posizione di Brecht è politica, pessimistica, critica. Nelle note
di regie scrive: “La rappresentazione della figura di Galileo non
dovrebbe mirare a stabilire l’immedesimazione e la partecipazione
del pubblico; si dovrebbe anzi lasciare il pubblico libero di assumere
piuttosto un atteggiamento di stupore, di riflessione, di critica.
Galileo andrebbe rappresentato come un fenomeno del tipo di Riccardo
III, dove l’adesione emotiva del pubblico è raggiunta grazie alla
vitalità di questa figura singolare”.
E veniamo alla rappresentazione odierna del testo (dopo quelle passate
di Giorgio Strehler, indimenticabile e incisiva, e di Maurizio
Scaparro), che si aggiunge alle numerose rivisitazioni dell'opera di
Brecht (in collaborazione con Kurt Weill), dai recital musicali al
cabaret impegnato alle produzioni colte come I sette peccati
capitali. Nella messinscena di Gigi Dall’Aglio, al Teatro
Quirino di Roma fino al 10 Dic. 2000, è al suo secondo anno di
tournee. Galileo, impersonato da Rigillo, non è più quello irritante
e scostante, allo stesso tempo tragico e sarcastico di Brecht. In
questa rappresentazione mi sembra che la parola d’ordine sia ‘leggero’.
Il regista, così come lo scenografo, agisce per alleggerimento,
sottrazione, ed eliminazione di molte parti didascaliche e dei
personaggi secondari. Questo può essere un pregio, può avvicinare
maggior pubblico al testo, soprattutto i ragazzi, e stancare di meno,
ma non rende fedelmente il tono pesante, rigoroso e freddo del testo
brechtiano, né la sua sperimentazione drammaturgica. I toni della
commedia, dell’avanspettacolo e del musical - ci sono tanti momenti
corali canori e le scene sono precedute e spesso accompagnate da
musiche suonate da pianola (sigh!) e violino - hanno la meglio su
quelli polemici e irrisori.
L’irriverenza nei confronti della Chiesa c’è sempre. Ed è
leggera. Mostrata nei gesti e i costumi giocati su tutte le sfumature
del rosso (brava la costumista): il collegio romano pieno di frati e
prelati che ridono e giocano, un Papa vecchio che ha difficoltà a
salire le scale, il Papa nuovo, Barberini (Urbano VIII), in braghe, l’Inquisitore
sempre con le mani in tasca.
I personaggi del testo di Brecht sono più di cinquanta. Eliminati
quelli non ritenuti fondamentali, ogni attore ne impersona dai tre ai
cinque. Vorrei ricordare alcuni tra i più giovani: Raffaella Iliceto,
che nei panni di Andrea Sarti da ragazzo parla con le cadenze, i ritmi
e i respiri dei bambini stupiti ed entusiasti; Giovanni Carta, che
impersona Ludovico, un giovane poco intelligente che ripete i discorsi
e le credenze altrui e arriva da Galileo per studiare un po’ di
scienza e matematica solo per far piacere alla madre e riuscire a fare
conversazione in società. Ludovico altrimenti starebbe con i suoi
cavalli, in Olanda, e a caccia di amori adatti però alle apparenze
(le nozze con Virginia, la figlia di Galileo, non s’hanno da fare).
E poi Gianluca Secci in Fulgenzio, personaggio che incarna più degli
altri il dissidio interiore tra la scienza e la veste di frate, tra
ragione e fede.

L’unico a impersonare un solo personaggio è naturalmente Mariano
Rigillo, sempre e comunque bravo nei panni di un ironico Galileo “eroe
del dubbio”, che se ne sta al di sopra delle righe e che prende poco
sul serio, almeno sembra, le condanne e le insidie della Chiesa.
Galileo che vive per godere, amante del vino e della buona tavola,
Galileo che appare poco affettuoso nei confronti della figlia, Galileo
che ama i discepoli intelligenti come il giovane Andrea Sarti e Frà
Fulgenzio, e certamente non Ludovico.
Dopo l’abiura nessuno dei suoi discepoli vorrà avvicinarlo, Andrea
dirà: “Sventurata la terra che non ha eroi!”. Passato qualche
minuto, Galileo risponde: “No. Sventurata la terra che ha bisogno di
eroi”. Il Galileo di questa messinscena è un eroe nell’umanità,
nella debolezza, e in una vitalità semplice. Ma riferendomi a quella
nota di Brecht ho l’impressione che il pubblico ci rida su, ogni
tanto, ma non lo critichi, né si stupisca.
Vita di Galileo di Bertolt Brecht, regia di Gigi Dall’Aglio, con
Mariano Rigillo, Luigi Mezzanotte, Fiorella Buffa, Giovanni Guerrieri,
Sergio Basile, Antonio Izzo, Irma Ciaramella, Raffaella Iliceto,
Giovanni Carta, Massimiliano Cardinali, Giacomo Zumpano e Gianluca
Secci; scene di Sergio Tramont, costumi Serena Naddi.
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