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I modelli freudiani del linguaggio



Julia Kristeva con Sergio Benvenuto



Questa intervista fa parte dell’Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche, un’opera realizzata da Rai-educational in collaborazione con l’Istituto italiano per gli studi filosofici e con il patrocinio dell’Unesco, del Presidente della Repubblica Italiana, del Segretario Generale del Consiglio d’Europa.

L'obbiettivo è quello di diffondere nel mondo, tramite le nuove forme d’espressione e comunicazione sociale consentite oggi dalla tecnica, la conoscenza della filosofia nel suo svolgimento storico e nei termini vivi della cultura contemporanea.

Per ulteriori informazioni potete visitare il sito Internet: www.emsf.rai.it


Chi è Julia Kristeva

Julia Kristeva è nata nel 1941 a Silven (Bulgaria). Nel 1963 si diploma in Filologia romanza all'Università di Sofia. Nel 1964 prepara un dottorato in Letteratura comparata all'Accademia delle Scienze di Sofia; nel 1965 ottiene una borsa di studio nel quadro di accordi franco-bulgari e dopo il 1965 prosegue gli studi e lavoro di ricerca in Francia all'École pratique des hautes études (E.P.H.E.). Nel 1968 consegue il dottorato sotto la direzione di Lucien Goldmann (con Roland Barthes e J. Dubois). Sempre nel 1968 è eletta segretario generale dell'Association internationale de sémiologie ed entra nel comitato di redazione del suo organo, la rivista “Semiotica. È nominata direttrice del D.E.A. di Études litteraires. Nel 1974 viene eletta Permanent visiting professor al Dipartimento di Letteratura francese della Columbia University, New York. Nel 1992 è nominata direttrice della Scuola di dottorato “Langues, littératures et civilisations, recherches transculturelles: monde anglophone-monde francophone”, all'Università di Paris VII “Denis Diderot” e Permanent Visiting Professor al Dipartimento di Letteratura comparata dell'Università di Toronto, Canada. Nel 1993 è nominata membro del Comitato scientifico che affianca il ministro dell'Educazione Nazionale. Attualmente è professoressa all'Università Paris VII “Denis Diderot”. Dal 1978, dopo una psicoanalisi personale e una analisi didattica presso l'Institut de psychanalyse, esercita come psicoanalista.
Gli interessi scientifici di Julia Kristeva vanno dalla linguistica alla semiologia, alla psicoanalisi, alla letteratura del XIX secolo. Esponente di spicco della corrente strutturalista francese e in particolare del gruppo di “Tel Quel”, che ha sviluppato in Francia le ricerche iniziate dai formalisti russi negli anni Venti e continuate dal Circolo linguistico di Praga e da Jakobson, Julia Kristeva ritiene che la semiotica sia la scienza pilota nel campo delle scienze umane. Pervenuta oggi a un'estrema formalizzazione, in cui la nozione stessa di segno si dissolve, la semiotica si deve rivolgere alla psicoanalisi per rimettere in questione il soggetto (senza di cui la lingua come sistema formale non si realizza nell'atto di parola), indagare la diversità dei modi della significazione e le loro trasformazioni storiche, e costituirsi infine come teoria generale della significazione, intesa non come semplice estensione del modello linguistico allo studio di ogni oggetto fornito di senso, ma come una critica del concetto stesso di semiosi.
Ricordiamo della vasta produzione di Kristeva Semeiotiké. Ricerche per una semanalisi, Feltrinelli, Milano, l978; La rivoluzione del linguaggio poetico, Marsilio, Venezia, 1979; Donne cinesi, Feltrinelli, Milano, 1975 ; Poteri dell'orrore: saggio sull'abiezione, Spirali, Milano, 1981;Sole nero. Depressione e melanconia, Feltrinelli, Milano, l986; I samurai, Einaudi, Torino, 1991);.: Le nuove malattie dell'anima, Borla, Roma 1998. Numerosi articoli di Julia Kristeva sono apparsi sulle riviste “Tel Quel”, “Languages”, “Critique”, “L'Infini”, “Revue française de psychanalyse”, “Partisan Review”, “Critical Inquiry” e molte altre.



Professoressa Kristeva, a partire da quali aspetti attuali della psicoanalisi possiamo, rileggendo Freud, cercare le sue concezioni del linguaggio?

Oggi è possibile leggere Freud a partire dall'attualità dell'esperienza analitica. Mi sembra che questa attualità si caratterizzi, ad esempio, per l'apparizione di ciò che ho potuto chiamare, in un libro recente, Les nouvelles maladies de l'âme [Le nuove malattie dell'anima], per esprimere l'idea che l'analista si confronta con qualcosa che è dell'ordine dell'irrappresentabile, con qualcosa che è al di qua del linguaggio. Intendo con questo, per esempio, le diverse sintomatologie che vanno dall'autismo alle varie affezioni psicosomatiche, ma anche i borderline, i “falsi Self”, le “personalità come-se”, ed altri disturbi narcisistici. D'altra parte esiste un'altra attualità che interessa molto le scienze umane di oggi: si tratta di una spinta cognitivista che esige di affrontare l'esperienza psichica imponendo sulla materialità del linguaggio delle strategie logiche, con o senza soggetto.
Quindi, partendo da questa doppia attualità - da una parte le nuove malattie dell'anima, dall'altra i cognitivisti - possiamo cercare di vedere quali siano state le concezioni freudiane del linguaggio, delle quali spesso si ha un'idea schematica, per cui, ad esempio, si pensa che ci sia un'unica concezione freudiana del linguaggio. Io sostengo che ve ne sono almeno tre. Il primo modello di linguaggio, così come Freud lo ha formulato, si trova nei suoi primi testi; penso in particolare a testi come Il contributo alla concezione delle afasie del 1891, ma anche al Progetto per una psicologia scientifica del 1895, e a qualche altro testo dello stesso periodo. Tutti questi testi procedono dalla constatazione di una inadeguatezza tra il sessuale e il verbale. Freud pensa che il desiderio sessuale non sia colto dal linguaggio: non solo il desiderio trova difficoltà ad entrare nel linguaggio ed è difficilmente interpretabile, ma si può dire che intelligenza e linguaggio da un lato, e desiderio sessuale dall'altro, siano asintotici. Questa divergenza è forse dovuta, secondo lui, alla nevrosi, ma forse - andando indietro nel tempo - a un dato somatico proprio dell'immaturità del bambino. Noi siamo degli esseri immaturi, e il linguaggio viene après coup, posteriormente.
C'è quindi una sfasatura tra il nostro corpo e la possibilità di parlare. È quanto Freud sviluppa, ad esempio, in “Il piccolo Hans”. Sempre a partire da questa inadeguatezza tra corpo e linguaggio - tra desiderio sessuale ed intelligenza - egli constata un'assenza di traduzione o persino una traduzione lacunosa tra la rappresentazione inconscia e le parole. Questa idea lo condurrà ad approntare un modello - il primo, dal mio punto di vista - che chiamo “modello eterogeneo" del linguaggio, comprendente due distinti “strati”, del quale non si parla molto oggi. Esso riguarda la sfasatura tra rappresentazione di parole e rappresentazione di cose.


Può spiegare quel che Freud intende per “rappresentazione di cose” e “rappresentazione di parole”?

Questa distinzione si trova in un testo di Freud, l'“Appendice C” alla Metapsicologia, anche se egli la elaborava già in I contributi sull'afasia. Nell'“Appendice C” egli parla di “rappresentazioni di parole”, che sono un insieme di rappresentazioni riguardanti essenzialmente l'immagine sonora della parola. Io pronuncio una parola, e lo psichismo registra un'immagine sonora; ma questa immagine sonora - che è l'essenziale della parola - non è la sola perché la rappresentazione di una parola comprende anche un'immagine di lettura, un'immagine di scrittura e un'immagine di movimento. La parola, come si vede, è un insieme complesso, ma è un insieme chiuso. La rappresentazione di parole è legata alla rappresentazione di oggetti oppure di cose; è l'altra componente, vale a dire un insieme aperto che comprende l'immagine visiva della parola: quando dico “tavolo” o quando dico “televisione”, vedo l'immagine visiva della televisione. Ma non c'è solo l'immagine visiva: ci sono anche le immagini tattili, posso toccare un televisore, esso ha un volume; e poi c'è l'immagine acustica, dato che dei suoni provengono da questo televisore, eccetera. Quindi vediamo che l'apparato psichico, secondo Freud, centrato sulla rappresentazione di cose e sulla rappresentazione di parole, procede verso una rappresentazione eterogenea dello psichismo: perché ci sono due componenti essenziali, che sono le parole da una parte e le cose dall'altra. Quanto al Progetto per una psicologia, esso è oggi un testo molto commentato, perché è legato alla neurobiologia, la quale fa attualmente grandi progressi. In questo Progetto Freud abbozza due sistemi: un sistema
F (phi) - che è un sistema esterno e che mette l'essere umano in contatto con il mondo esterno - e un sistema Y (psi), che è un sistema interno. Egli postula che ci sia una carica quantitativa, l'energia biologica, che può essere o ormonale o umorale oppure elettrica. Questa carica quantitativa diventa qualitativa o psichica passando da un sistema ad un altro. Dove si trova quindi il linguaggio? Esso si situa tra la carica energetica e la percezione da un lato, e l'attività logica dall'altro. Quindi il linguaggio, situato tra questi due sistemi - l'attività logica e la percezione - favorisce la conoscenza e la coscienza. Questo è molto interessante, perché si vede come il linguaggio, in Freud, sia situato tutto d'un tratto in una posizione cruciale tra la percezione e la logica; quindi esso non si riduce alla percezione, né alla logica, ma serve da intermediario tra le due.
In questo primo modello freudiano appare una duplicità che io chiamo una concezione “sfogliata” ovvero stratificata del linguaggio. Perché qui il linguaggio non viene ridotto ai nostri modelli attuali, basati sull'opposizione tra significante e significato; esso infatti, da una parte tocca verso il mondo esterno attraverso la sensazione, e dall'altra verso il mondo dell'intelligenza, perché trasmette il ricordo, la memoria - fino al sistema complicato delle concatenazioni logiche e, oltre, metafisiche. Possiamo considerare estremamente interessante l'eterogeneità di questo modello, il quale va in una direzione opposta rispetto ad una certa corrente della linguistica, - una corrente soprattutto lacaniana - la quale cerca di recuperare quel primo Freud all'interno del modello saussuriano del linguaggio. Questo primo modello è emerso dal Freud biologo e medico; esso tiene conto della sensazione, della percezione e della carica energetica, dunque di un certo modello preso dalla biologia; oggi alcuni analisti sono molto attenti a questo modello, ed hanno cercato, consciamente o inconsciamente, di prenderlo in considerazione.

Qualcuno potrebbe obiettare che le prime teorizzazioni di Freud erano ispirate alla neurologia del suo tempo; oggi questa neurologia è sorpassata, e ci appare alquanto limitata. Che cosa si può rispondere ad obiezioni del genere?

In effetti, quel primo modello si basa su una teoria oggi superata, nel senso che Freud non disponeva di sufficienti nozioni di neurobiologia per vedere in dettaglio il funzionamento delle cellule cerebrali o delle sinapsi. Oggi, invece, con i progressi delle neuroscienze, abbiamo delle concezioni molto più raffinate del funzionamento del sistema cerebrale o dell'insieme del sistema nervoso. Eppure, in tutte queste direzioni molto più moderne, e molto più nette di quelle dateci da Freud, risulta evidente uno iato tra tutto quel che si può dire a livello neuronale da una parte, e il linguaggio dall'altra parte. Non riusciamo a colmare lo iato, la divergenza tra il substrato biologico e la manifestazione linguistica; quindi ci troviamo a misurarci a questa doppia determinazione di fronte alle manifestazioni psicologiche, e in particolare di fronte ai sintomi psichiatrici o psicoanalitici. Prendete il caso della depressione: se avete un fenomeno depressivo, è evidente che un certo numero di sintomi depressivi possono essere eliminati grazie all'intervento di neurolettici o persino di elettroshocks: questo vuol dire che un certo funzionamento mentale è correggibile, manipolabile, attraverso il livello biologico. Ma questo non esclude l'intervento a livello del linguaggio; tutto il lavoro che facciamo noi psicoanalisti è tale che esso può avere degli effetti fin nella cellula biologica. Per esempio, certe interpretazioni possono portare ad un funzionamento accelerato del cervello, ad una conduttibilità della sinapsi, e persino a cambiare il tasso della serotonina.
In altri termini, qualunque sia il raffinamento del modello attuale, c'è in esso qualcosa che fa pensare al primo Freud: siamo sempre di fronte ad un modello doppio, stratificato. Cerco di resuscitare l'ambivalenza del modello freudiano, perché senza di essa si appiattisce il funzionamento mentale o lo si riduce ad una biologia pura e semplice eliminando il fattore “significante”, oppure ci si accontenta unicamente di quest'ultimo e si dimentica la base biologica. Credo che ci sia qui un’attualità della psicoanalisi, che passa attraverso il riconoscimento di questa doppia determinazione. Sono queste le osservazioni che m’ispira il primo modello freudiano, il quale, però, non è l'unico.


Considerando la famosa opera L'interpretazione dei sogni, siamo propensi a ritenere che con essa Freud abbia abbandonato completamente la referenza neurologica e che quindi l'analisi svolta su questa opera da Lacan - secondo cui “l'inconscio è strutturato come un linguaggio” - sia giusta. Lei pensa che questa elaborazione lacaniana sia corretta?

La sua domanda mi conduce a passare a quel che chiamo il “secondo modello freudiano del linguaggio” - più vicino al modello strutturale che poi svilupperà Lacan - che, in effetti, è un modello, direi “ottimista” perché esso presuppone che l'associazione libera ci possa permettere di cogliere tutti i sintomi, e dunque che nel linguaggio possiamo far apparire i traumi, la pulsione, e tutti i disturbi della vita sessuale e della vita psichica. Freud si accosta a questo modello "ottimistico" a mano a mano che appronta il dispositivo della cura psicoanalitica, quando abbandona insomma la neurologia. Tra il 1892 e il 1900, infatti, Freud si convince in modo sempre più preciso che il racconto associativo è capace di tradurre i contenuti traumatici. Che cosa vuol dire questo? In breve vuol dire che Freud dice ai suoi pazienti: “Raccontatemi quel che vi passa per la mente; associate liberamente e fornitemi una narrazione”. Quindi egli baserà i dispositivi della cura nella narrazione, e partendo da questa cercherà di produrre un altro modello, considerato come il modello centrale freudiano sul linguaggio. A mio avviso, questo modello si caratterizza per il fatto che il linguaggio “è costituito - cito Freud - da termini intermedi preconsci che permettono di porre l'inconscio sotto la dominazione del conscio”. Dunque il linguaggio è intermediario e intermedio, capta l'inconscio, e consente di mettere l'inconscio “sotto la dominazione del conscio”. Insisto molto su questo punto: il linguaggio, per Freud - per ritornare alla domanda su Lacan - resta nella sfera del “preconscio”. Il linguaggio possiede comunque il potere di andare più in là del conscio perché si situa tra conscio e inconscio, e dunque ha questo potere straordinario di rendere consce le cose perché - facciamo riferimento al primo modello - è una costruzione eterogenea, dato che è nutrito di sensazioni, di percezioni, e si radica anche nel corpo a partire dalle sensazioni e dalle percezioni, fino alla sfera biologica. Dunque, questo resta un modello intermedio tra inconscio da una parte, e coscienza dall'altra; per questo è il livello favorito, benefico, su cui si fonderà la cura.
D'altra parte, per riuscire questa dominazione del conscio sull'inconscio, il modello dell'inconscio stesso sarà influenzato sempre più dalla coscienza linguistica. Così Freud svilupperà ne L'interpretazione dei sogni una definizione del linguaggio che sarà di fatto costruita a partire da un certo numero di nozioni prese da teorie che egli conosce, e che vanno da un certo numero di assimilazioni dell'inconscio alla grammatica - parla dell'inconscio come di una “grammatica” -, ma anche fino a certe reminiscenze che riguardano la scrittura - paragonerà, ad esempio, il linguaggio a dei geroglifici. A questo proposito emergono anche dei riferimenti esoterici e soprattutto non bisogna dimenticare la lettura, da parte di Freud, di un certo numero di opere di linguisti. A quell'epoca egli leggeva soprattutto Karl Abel, linguista da lui utilizzato in un suo saggio molto noto sul “senso opposto” delle parole primitive.
Credo che ci siano due aspetti in questo interesse freudiano per le parole primitive. Egli desiderava stabilire una logica diversa, non coincidente con la logica conscia: si tratterebbe di una logica che, in particolare, disconosce il “no”, non conosce la contraddizione; non c'è contraddizione nell'inconscio e nella logica dell'inconscio. Allo stesso tempo Freud si preoccupa di considerare questa logica non come una semplice costruzione teorica dell'analista, né come qualcosa che si trovi semplicemente rinchiusa nell'esperienza analitica, nella nevrosi o nella psicosi, nella patologia, ma come qualcosa che faccia parte del bagaglio dell'uomo, dell'umanità. Insomma, si tratta di un desiderio di Freud di estendere all'insieme dell'esperienza umana. la portata di ciò che si potrebbe credere ristretto o addirittura patologico Quindi in questa fase - lo si vede benissimo ne L'interpretazione dei sogni, quando cerca di comprendere quale sia la logica dell'inconscio - opera una specie di assimilazione della logica inconscia alla logica del linguaggio primitivo; si tratterebbe, nel caso dell'inconscio, di una specie di linguaggio primitivo. Allora il contributo di Lacan - e giungo così alla Sua domanda e in particolare all’affermazione secondo cui “l'inconscio è strutturato come un linguaggio” - mi pare consistere in una lettura più che mai attenta e fedele di questo “secondo Freud”. Lacan esplicita ciò che mi sembra essere l'obiettivo essenziale di questo “secondo Freud”: in particolare, egli parla di pulsione, e la pulsione non è un linguaggio - ci sono infatti processi primari e processi secondari, che sono suscettibili di diverse logiche.

Potrebbe dirci - dopo aver spiegato la differenza tra “processo primario” e “processo secondario” - se nel processo “primario” si vedono all'opera dei fenomeni linguistici?

I processi primari sono gli spostamenti e le condensazioni. In un sogno, ad esempio, invece di sognare qualcosa di estremamente sconvolgente, o difficile da assumere da parte del paziente perché in relazione al sesso, il soggetto sognerà un'opera di botanica. Alludo al celebre sogno della monografia botanica fatto da Freud stesso: la monografia botanica è un libro che parla di botanica, ed ha dunque un carattere scientifico; ma ripercorrendo gli anelli della manifestazione onirica, nell'interpretazione finale si concluderà che questo libro di botanica è uno "spostamento" da un'esperienza traumatica sessuale che nel sogno viene messa in un qualche rapporto con il fiore ossia con la femminilità. Dunque, esso costituisce un esempio di “spostamento”.
La condensazione è stata assimilata alla metafora; si prende, ad esempio, una caratteristica dell'uomo e un‘altra caratteristica di una canna che si curva: quando dico “L'uomo è una canna pensante”, come afferma Pascal, costruisco una metafora. Ma in molti sogni abbiamo delle condensazioni di questo tipo dove un esempio, un elemento del sogno è di fatto sovraccarico di molteplici pensieri onirici. Diventa un incrocio di molti pensieri di sogno. Riprenderò nuovamente questo esempio della monografia botanica, che è un esempio di spostamento; ma esso è anche una condensazione, perché nella monografia botanica il sognatore metterà le sue relazioni con la femminilità, le sue relazioni con la scienza, le sue relazioni con l'edizione, per esempio, e con la cultura, eccetera. Qui si vede come un elemento del sogno sia una condensazione, ma non un processo di ragionamento; i processi secondari sarebbero dei processi di ragionamento, questa è la parola che Freud usa; da quel momento in poi egli intenderà come processi secondari la sintassi, la logica, l'argomentazione. Le pulsioni funzionano secondo un processo primario, spostamento-condensazione, ma esse sono prese a carico ulteriormente dal processo secondario. Freud stesso ha suggerito che c'è una retorica e una grammatica del sogno. Questo ha permesso a Lacan di parlare esplicitamente di metafora e di metonimia, riprendendo un certo numero di spiegazioni fornite dal linguista Jakobson, e proiettandole sulle nozioni freudiane. Per questa ragione, dunque, dico che questo “secondo modello” di Freud è quello su cui si è basato Lacan. Egli lo ha sviluppato enormemente, e dunque è qui che, contrariamente a quel che dicono alcuni, Freud e Lacan si trovano in connivenza. E anche se Lacan spinge molto lontano questa interpretazione, egli resta fedele a questo Freud particolare.
Detto questo, mi sembra che non bisogna assolutizzare questo secondo modello come se fosse l'unico modello freudiano. Dunque, il linguaggio come leva della cura, l'inconscio assimilato ad un linguaggio, sono tutti elementi che si trovano ne L'interpretazione dei sogni, ma ci sono anche altri elementi, in particolare le vestigia del primo modello, e anche quello che chiamo il “terzo modello” freudiano del linguaggio che è legato all'elemento filogenetico.


Sin dal 1912 Freud sembra abbandonare il suo interesse principale per il linguaggio e ad interessarsi alla filogenesi, vale a dire alle eredità biologiche e psicologiche tra esseri umani. Come si può allora comprendere questa “favola” filogenetica - che ha irritato tanti analisti dopo Freud - anche in rapporto al tema del linguaggio?

Bisognerebbe forse ricordare innanzi tutto di che cosa si tratta. Penso che infatti possiamo datare dal 1912, o dal 1914, una svolta del pensiero freudiano. Questa svolta si radicalizzerà con la guerra, e con le risonanze di questa sullo sviluppo della personalità e della teoria di Freud. La guerra avrà molte conseguenze sullo psichismo di Freud stesso. Totem e tabù è un libro del 1912, ed insiste su qualcosa che ci appare molto affascinante ancora oggi. Freud suppone che ci sia un'orda primitiva, vale a dire l'umanità ad uno stadio arcaico, costituito dal raggruppamento dei fratelli, dato che le donne, in questa ottica, sono sempre oggetti di scambio. Questi fratelli desiderano dividersi le donne, ma non riescono a farlo perché il loro padre esercita la tirannia e detiene tutte le donne. In un primo momento, i fratelli, per poter accedere alle donne, non trovano altra soluzione che attaccare il padre, da qui quel desiderio di omicidio, e la ripetizione di questo omicidio. Poi, ad un dato momento di questa “coazione a ripetere”, si produce qualcosa di veramente particolare: è l'assimilazione o l'identificazione con questo padre attraverso il pasto totemico. Si mangerà il padre, lo s’interiorizzerà, in modo che, per via orale, si istituisce anche un patto simbolico: la tirannia del padre cessa di essere una tirannia e diviene un'autorità. I fratelli riconoscono che c'è una legge. Qui siamo in un passaggio dalla pulsione come irrappresentabile - la pulsione di morte e la sua violenza - verso la costituzione di un patto simbolico. Quest'ultimo è qualcosa più che mai affascinante nella storia dell'umanità, è l'emergere dell'homo sapiens. Freud, quindi, racconta questa favola per notare come l'animale sociale cominci ad identificarsi non più alla tirannia ma all'autorità del padre, entrando così nella cultura e nel linguaggio. Il pasto totemico, infatti, ci fa passare dall'atto alla simbolizzazione; si smette di fare semplicemente dei passaggi all'atto che sono degli omicidi, ci si rappresenta qualcuno, ci si identifica a qualcuno, e partendo da qui si è capaci anche di pensare, di parlare, di entrare nelle elaborazioni logiche: ciò rappresenta la nascita della cultura.
Quel che mi preme sottolineare è che qui Freud si è confrontato con l'“esterno” dello psichico, e questa connotazione caratterizza per l'appunto la terza concezione del linguaggio. Egli ci ha mostrato che non bisogna rinchiudersi in un panpsichismo, e che bisogna aprire la cura ad una dimensione per la quale egli non ha trovato altra parola che “filogenesi”. Ma ciò a cui egli mirava potrebbe essere chiamato con altri termini; prenderei per esempio il termine “storia monumentale” di Nietzsche, o il termine “essere” di Heidegger. Freud voleva sfuggire insomma al panpsichismo, ad una storia ristretta ad una sola generazione, di breve durata; voleva condurre l'analista a pensare l'“essere”, l'esterno allo psichico. Questo è un avanzamento davvero interessante, il quale è stato purtroppo abbandonato da molti analisti, anche se Lacan lo ha ripreso in una maniera folgorante, ma senza molti sviluppi, quando sostiene che l'essere parlante è un “parlêtre”, un “parl-essere”.


Come sono presenti questi tre modelli del linguaggio nell'esperienza terapeutica?

Vi darò un esempio per farvi vedere come io cerco di tener conto dei tre modelli freudiani di linguaggio di cui ho parlato: (1) del modello biologico, (2) del linguaggio in quanto struttura, così come Lacan lo ha sviluppato, e poi (3) del linguaggio come extra-psichico, tenendo conto del modo in cui il “pensiero dell'essere” heideggeriano e la favola filogenetica ci invitano a pensare lo “extrapsichico”. Racconterò una breve storia clinica che riguarda una paziente da me avuta in analisi. Costei si presenta come una bulimica soggetta a crisi di vomito; si trova in uno stato di distruzione che potrebbe condurla alla morte. Viene a trovarmi e, dopo un certo numero di sedute, il sintomo si placa, entra in un'analisi più classica che le permette, in modo più sereno, di ricostituire la sua storia, e di operare associazioni libere. Le associazioni libere sono il terreno su cui Freud ha potuto basare la sua concezione del linguaggio come qualcosa che possiamo considerare il vissuto essenziale della cura (questo è quel che chiamo il “secondo modello”, l'“ottimismo del linguaggio”). Ora, che cosa mai incontriamo in quella fase dell'analisi, nella quale pensavo che stessimo nel modello ottimista del linguaggio? Ebbene, incontriamo un sogno riportatomi dalla paziente, o piuttosto un ricordo di copertura. Non si ricorda bene, le pare di essere in viaggio con i suoi genitori lungo una costa; poi lei si trova nella loro stanza da letto, perché nel corso di questo viaggio non potevano avere una stanza ognuno, e qui assiste alla scena primitiva. La scena primitiva è il coito dei genitori. Tutti noi siamo abitati dalla fantasia di questa scena primitiva, alcuni la vivono più o meno facilmente, altri in modo un po' più difficile. Dunque la mia paziente è testimone di questa scena; la considera qualcosa di invivibile, perché la mette a confronto con la sua doppia identificazione: lei è, allo stesso tempo uomo, e donna. Lei ha enormi difficoltà ad autonomizzarsi, a differenziarsi sessualmente, e nella scena osservata viene messa di fronte ad una “catastrofe” sessuale. Lei è ad un tempo entrambi i genitori, non può scegliere l'uno o l'altro. E il ricordo di questo sogno - o ricordo di copertura che sia - così come lei lo riporta attraverso il linguaggio, all'interno della seduta, la mette in uno stato di smarrimento. A questo si aggiunge il fatto che, avendo cominciato una vita sessuale più normale, e avendo trovato (grazie all'analisi) un partner sessuale, lei si rende allora conto del fatto che il suo uomo assomiglia molto a sua madre. Anche qui si trova messa di fronte ad un conflitto: avere una relazione sessuale con un uomo che è sua madre, e che per lei, nella sua bisessualità, è insostenibile.
Il linguaggio, dunque, ci ha portati a mettere in evidenza un trauma, il quale, in questo quadro psichico - non parlo di una nevrosi abituale, ma di un quadro psichico come quello di questa paziente bulimica - ha portato ad una “decompensazione”. Si è nell’incapacità di associazione. Si susseguono lunghe sedute, senza alcuna possibilità di verbalizzazione: erano sedute vicine allo stupore, come se fosse stato toccato un livello infraverbale, un livello pulsionale appunto, prossimo allo stato biologico della pulsione e delle sue cariche energetiche di cui si parlava a proposito del primo modello freudiano del linguaggio: un livello incapace di passare nella simbolizzazione. Vi risparmio i dettagli di questa terapia, che è molto lunga; ho comunque fatto ricorso a due rimedi che mi sembrano molto interessanti, e che sono in risonanza con i tre modelli di cui abbiamo parlato. Il primo rimedio è stato di parlare alla paziente delle sensazioni, di operare in qualche modo un trapianto sensoriale nella cura. E cioè, sono io che mi sono messa a parlarle delle sole cose psichiche che riusciva a fare: incapace di parlare, lei mangiava. Mangiava e vomitava: per lei significava riempirsi e svuotarsi. Era qualcosa di assolutamente arcaico e pulsionale, senza alcun barlume di linguaggio. Ho allora cercato di dirle come io immaginavo che lei mangiasse, e con qual tipo di sensazioni: di zuccherato, di salato, di piacere, di dispiacere. Abbiamo dispiegato tutta una gamma di sensazioni, nella quale poco a poco lei è entrata. Dunque, attraverso questo trapianto di nominazioni sensoriali ho cercato di toccare un'esperienza infralinguistica, che era l'esperienza della sensorialità e, partendo da là, di un corpo sofferente, nero, innominabile.
Vi è un secondo tipo d'interpretazione: quelle scene di vomito che l'hanno abitata dopo l'evocazione del viaggio con i genitori sul bordo del mare mi hanno fatto pensare a qualcosa che fa parte della storia di questa paziente, in quanto lei aveva svolto una ricerca universitaria su Morte a credito di Céline. In questo romanzo l'autore si trova in viaggio con la madre, e c'è una scena terribile, anzi orribile, di vomiti, che ho descritto nel mio libro Pouvoirs de l'horreur [Poteri dell'orrore]. È una messa in racconto vertiginosa dell'orrore che può provocare il rifiuto materno: il narratore vomita con sua madre, contro sua madre, perché vomitare è una violenza. E questa evocazione, che non era dell'ordine del sensoriale, che non era semplicemente linguaggio, l'ha rimandata alla storia, all'extrapsichico, a qualcosa che accadeva al di fuori del quadro paziente-analista: attraverso Céline la riportava dunque alla storia culturale e a tutte le problematiche storiche connesse, poiché è noto che Céline è stato implicato nel fascismo francese, nella letteratura popolare, ma anche che ha scritto dei pamphlets estremamente violenti, antisemiti, eccetera. Dunque, tutto un conflitto storico si è condensato - per riprendere il termine “condensazione” - e si è metaforizzato sul suo nome. * Ebbene, quella evocazione di Céline le ha permesso di avere un certo sollievo dalla sua prigionia psichica. Così si è messa a scrivere. Avrei dovuto dire, sin dall'inizio del racconto di questa storia clinica, che questa donna scrive poesie; poesie estremamente condensate, ellittiche, le quali la intralciavano un po' nella concatenazione, che le impedivano l'agilità e la trasposizione flessibile in racconto del suo inconscio. Così ha abbandonato la poesia e si è messa a scrivere racconti, che erano più all'unisono con uno sviluppo più legato, direi più strutturato, della sua vita psichica.
Penso che partendo da lì abbiamo toccato delle dimensioni della vita psichica che non ci rimandano all'uomo della glaciazione, ma che ci rinviano verso un'esperienza storica che deve esser presa in considerazione - e forse più oltre, se è possibile: non solo verso la storia ma verso l'“istoriale”. Comunque, mi sembra essere una posta della cura; perché se ci si chiude unicamente nel bordo tra i due, allora - penso - non si renderebbe omaggio alla ricchezza e alla grande ispirazione che sono alla base della scoperta freudiana.

(Traduzione: Sergio Benvenuto)




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