Hymns
Josè Luis Sànchez-Martìn
In questi giorni all'interno della sezione del Festival d'Autunno
"Percorsi internazionali" organizzata dall'ETI, al Teatro
Valle di Roma è stato presentato lo spettacolo "Hymns"
scritto da Chris O'Connell, coreografato e diretto da Liam Steel, a
sua volta coreografo assieme al noto Lloyd Newson, del celeberrimo
gruppo di danzatori britannici DV8. Steel ha firmato regie e
collaborato con molte importanti realtà del teatro e della danza in
Gran Bretagna come Royal Exchange Theatre Company, il Nottingham
Playhouse, il Theatre Centre, e ultimamente ha firmato la regia dello
spettacolo “Burt” per la Contact Theatre Company di Manchester.
“Hymns” è messo in scena e in "azione", sarebbe il caso
di dire, dalla Frantic Asembly, gruppo britannico di recente
formazione, ma di già altissima professionalità, frutto del lavoro
d'ensemble di coreografi, attori, danzatori e autori che per ogni
produzione vengono chiamati dalla compagnia a far parte del progetto.
Lo spettacolo debutta a Londra nel settembre del '99 riscuotendo
immediatamente la segnalazione da parte della critica e un vasto
successo di pubblico come già era accaduto per le loro precedenti
produzioni, "Ricorda con rabbia " del 1994 e la
"Generation Trilogy" che comprende tre spettacoli,
realizzati in successione dal 1994 "Klub", "Flesh"
(1996) e "Zero" (1997), che li hanno fatti conoscere come
una delle più interessanti realtà artistiche emergenti nel panorama
della danza e del teatro internazionale.
E' la storia di una riunione di quattro amici, Karl, Steven, Scott e
Simon a causa della tragica morte di un loro carissimo amico, Jimmy,
che diventa il perno silenzioso dello sviluppo drammatico della
storia. A partire da un contegno imbarazzato alternato ad una
evasività nel parlare da parte dei quattro a riguardo della morte di
Jimmy, bevendo e chiacchierando sui ricordi comuni, sul loro passato,
in una compressione dei sentimenti tipica dei maschi, si insinua piano
piano la tensione latente che ha provocato in tutti questo lutto e che
non trova una via diretta per emergere, per essere condivisa,
decifrata, elaborata, fino a che questa tensione esplode in un alterco
tra Karl e Scott, consentendo a Steven di approfittare del momento per
invitare gli amici ad aprirsi, a parlare direttamente della morte di
Jimmy.
Con l'andamento simile a un “thriller” si fa largo e si svela come
un mosaico la intima connessione segreta che ciascuno aveva con Jimmy.
Scott rivela la vera natura del suo rapporto con lui: stavano insieme,
formavano una coppia, si erano amati, senza che nessuno lo avesse
minimamente sospettato, ma soprattutto si erano appena lasciati, poco
prima che morisse. Questo omissis scatena l'ira di Karl che, avendo a
un tratto ricostruito una plausibile causa della morte, prima di
svelare la sua verità, recrimina duramente a Scott di aver taciuto
questo rapporto. In un incalzante crescendo di emotività e
risentimento lo accusa di essere responsabile della morte o meglio ( e
qui anche il pubblico lo apprende) del suicidio di Jimmy compiuto poco
dopo essere stato abbandonato da Scott, un giorno forse. Jimmy si era
impiccato nella propria casa, in presenza di Karl, che era lì per
cercare di sollevarlo da una depressione di cui non conosceva
l'origine e che adesso ci racconta con tormento e insopportabile
lentezza tutta la sequenza che lo ha visto coinvolto, fino al momento
di scoprire il corpo appeso dell’amico.
Il tutto accade in uno spazio scenico delimitato da quattro alte scale
d'acciaio, una sorta di cavalletto al di là dello sfondo e il tavolo
di legno al quale stanno seduti. Buona parte delle coreografie sfrutta
la forte teatralità della scala che offre molteplici possibilità
quasi acrobatiche. Con il sussidio di un effetto di luce si creano
immagini fisse o leggermente fluttuanti, molto poetiche, in cui gli
attori inerpicati all'apice delle rispettive scale diventano quattro
angeli turbati.

Tuttavia le coreografie non sono al livello altissimo della matrice da
cui nasce lo spettacolo, ovvero il DV8; sono sì molto forti,
interessanti e anche pertinenti in modo astratto alle tematiche
trattate ma il teatro come disse Mc Luhan "è il mezzo più caldo
ma anche il più debole", il che implica che molto spesso, e
anche qui, giustapposto ad altre arti come danza venga facilmente
schiacciato. In questo caso le coreografie vanno a scapito del teatro,
perché manca una reale regia complessiva che decida il rapporto
preciso che esiste tra teatro e danza.
Infatti i momenti "recitati" presi isolatamente sono molto
suggestivi, ma mescolati con quelli “danzati” non rendono abbastanza
perché, anziché risultare un solo discorso espresso attraverso vari
linguaggi, tende a rimanere solo un insieme di questi differenti
linguaggi. In termini più prettamente teatrali l'elemento più debole
dello spettacolo è la regia, principalmente dal punto di vista del
bilanciamento tra le due dimensioni del teatro e della danza, nel
rapporto tra i linguaggi appunto, finendo, con rammarico, visto
l'indiscutibile potenza dell'una e dell'altra, per inficiarle entrambe
lasciando anche le situazioni prettamente danzate scollate tra loro??.
Lo sguardo sulle situazioni è tipicamente britannico ma ciononostante
resta interessante per chiunque perché scava in profondità nelle
tematiche trattate risultando comprensibile ed emozionante per
qualunque tipo e nazionalità di pubblico. E malgrado lo spettacolo
appartenga ad una corrente già conosciuta e più che consolidata non
solo in Inghilterra, resta originale e di profonda contemporaneità
nelle tematiche e nelle caratteristiche artistiche.
Nella drammaturgia di Chriss O'Connell che ha vinto tra l'altro con la
scrittura dello spettacolo "Car", il prestigioso Time Out
Award come miglior produzione del Fringe Festival 1999, si sente
l'influenza delle due fondamentali scuole britanniche del secondo
dopoguerra, quella classica che fa riferimento al grande drammaturgo
Harold Pinter e dall'altra, della nuova drammaturgia contemporanea il
cui più significativo esempio è il forte, dissacrante quanto
stridente "Shoppin' and Fuckin'"
"Hymns" affronta in modo corposo, diretto e crudo,
difficile, le tematiche dell'uomo moderno ed in particolare dei
giovani, il rapporto con la morte, i valori umani, l'identità
sessuale e la solitudine. Affronta, con i propri mezzi specifici il
tema per antonomasia di tutto il '900, quella “morte di Dio”
annunciata da Nietszche. Anche sotto questo profilo il rapporto di
Frantic coi Dv8 non è solo quello ovvio di esserne un getto spontaneo
ma risiede in primo luogo in quella continuità sull'interrogarsi
acutamente e coraggiosamente tramite un'impietosa inchiesta sui valori
dell'identità maschile.
I quattro straordinari interpreti eccellono sia come danzatori di
stile contact, scrupolosi nell'esecuzione all'unisono di molte
spettacolari coreografie, sia come attori di grande calibro, in grado
di restare credibili per tutto lo spettacolo nella cornice psicologica
dei loro personaggi. Restituiscono allo spettatore interamente la
difficoltà in cui essi si trovano dal punto di vista emotivo,
rendendo benissimo le intemperanze e le brutture di ciascuno, e
sapendo però lasciare affiorare anche le doti e le loro
particolarità caratteriali. Ci danno l'impressione piacevole e rara
di essere piombati in un teso e sofisticato film della nuova
cinematografia britannica del genere di "Misteri e Bugie".
La lingua in cui parlano è incomprensibile alle orecchie di chi studi
un inglese accademico perché è invece colloquiale, pregno di
espressioni idiomatiche e gergali.
Interessante anche la colonna sonora, un cocktail di musiche sacre,
che richiamano la morte e il funerale dell'amico, e di musiche moderne
come i duri e incalzanti brani techno, che richiamano la frenesia, la
durezza e l'isteria della vita quotidiana e metropolitana dei
protagonisti.
Uno spettacolo da vedere e da ricordare, pur con le sue imperfezioni,
e che in ogni caso non trova alcun possibile paragone all’altezza
nel panorama dell'attuale teatro-danza nostrano, salvo pochissime
eccezioni. Purtroppo, come spesso ci è capitato di constatare in
questo periodo, il teatro era semivuoto e mancavano soprattutto
i giovani, ai quali sarebbe probabilmente piaciuto moltissimo: questo
non può che essere il risultato del sovraffolamento degli spettacoli
dell’autunno romano di cui abbiamo più volte sottolineato l’incongruenza
e l'alto costo dei biglietti. Peccato che uno spettacolo così originale
e di tale professionalità sia passato, alla fine di un'interessante
rassegna, quasi inosservato e che di conseguenza sia stato un po'
sprecato.
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