I diritti dell’uomo oggi
Intervista a Norberto Bobbio
Questa intervista fa parte dell’Enciclopedia multimediale delle
scienze filosofiche, un’opera realizzata da Rai-educational in
collaborazione con l’Istituto italiano per gli studi filosofici e
con il patrocinio dell’Unesco, del Presidente della Repubblica
Italiana, del Segretario Generale del Consiglio d’Europa.
L'obbiettivo è quello di diffondere nel mondo, tramite le nuove forme
d’espressione e comunicazione sociale consentite oggi dalla tecnica,
la conoscenza della filosofia nel suo svolgimento storico e nei
termini vivi della cultura contemporanea.
Per ulteriori informazioni potete visitare il sito Internet: www.emsf.rai.it
Professor Bobbio, il vasto dibattito sui diritti dell'uomo che
caratterizza il pensiero politico contemporaneo sembra confermare la
speranza kantiana di un progresso dell'umanità verso la perfezione
morale. Eppure il nostro è un tempo di crisi, di timori e di rischi.
Come spiega questa singolare e contraddittoria coesistenza nella
nostra epoca di ottimismi e pessimismi?
In uno dei miei scritti sui diritti dell'uomo avevo esumato l'idea
della storia profetica di Kant per indicare, nell'importanza che nel
dibattito attuale ha assunto il tema dei diritti dell'uomo, un segno
dei tempi. A differenza della storia degli storici che attraverso
testimonianze e congetture cerca di conoscere il passato e attraverso
ipotesi nella forma "se... allora" fa caute previsioni del
futuro, purtroppo quasi sempre sbagliate, la storia profetica non
prevede ma presagisce e presagisce il futuro estraendo dagli
accadimenti del tempo l'evento singolare, unico, straordinario che
viene interpretato come segno particolarmente dimostrativo - "signum
pronosticum" come lo chiamava Kant - di una tendenza dell'umanita'
verso un fine, non importa se desiderato o avversato.
Dicevo quindi che l'attuale dibattito sempre piu' esteso sui diritti
dell'uomo, poteva essere interpretato come un "segno
premonitore", forse il solo, di una tendenza dell'umanita', per
riprendere l'espressione kantiana, verso il meglio. Quando scrissi
queste parole non conoscevo il testo del primo documento della
Pontificia commissione "Iustitia et pax", intitolata
"La Chiesa e i diritti dell'uomo" del 1975, che comincia
cosi': "Il dinamismo della fede spinge continuamente il popolo di
Dio alla lettura attenta ed efficace dei segni dei tempi.
Nell'epoca contemporanea, tra i vari segni del tempo non puo' passare
in secondo piano la crescente attenzione che in ogni parte del mondo
e' attribuita ai diritti dell'uomo, sia per la coscienza sempre piu'
sensibile e profonda che si forma nei singoli e nella comunita'
intorno a tali diritti sia per il continuo doloroso moltiplicarsi
delle violazioni contro di essi". I segni del tempo non sono
soltanto fausti, sono fausti ed infausti. Anzi, mai si sono
moltiplicati profeti di sventure come oggi: la morte atomica, la
distruzione progressiva e inarrestabile delle condizioni stesse di
vita su questa terra, il nichilismo morale famosa espessione di
Nietzsche, il "rovesciamento di tutti i valori".
Il secolo che ora volge alla fine era gia' cominciato del resto con
l'idea del declino, della decadenza o per usare una celebre metafora,
del "tramonto", tramonto dell'Occidente. Ma sempre piu'
anche per suggestione di teorie fisiche soltanto orecchiate, si va
diffondendo l'uso di una parola ben piu' forte:
"catastrofe". Catastrofe atomica, catastrofe ecologica,
catastrofe morale. Ci si era accontentati sino a ieri della metafora
kantiana -che ha dato origine tra l'altro a due libri recenti, nel
titolo di questi due libri -alla metafora dell'uomo come legno storto.
In uno dei saggi piu' affascinanti del rigorosissimo critico della
ragione, "Idea della storia universale dal punto di vista
cosmopolitico", Kant si era domandato come, "da un legno
storto, come quello di cui e' fatto l'uomo potesse uscire qualche cosa
di interamente diritto". Ma Kant stesso credeva nella lenta
approssimazione all'ideale del raddrizzamento attraverso - qui cito -
"giusti concetti, "grande esperienza" e soprattutto
"una buona volonta'".
Della visione della storia per cui l'umanita' continua ad andare verso
il peggio, e che chiamava "terroristica", diceva che
"ricadere nel peggio non puo' essere uno stato costantemente
durevole nella specie umana perche' a un certo grado di regresso essa
distruggerebbe se stessa". E invece e' proprio l'immagine di
questa corsa verso l'auto-distruzione quella che affiora in alcune
visioni catastrofiche di oggi. Secondo uno dei piu' impavidi e
melanconici, che io non amo molto, sostenitori della concezione
terrostica della storia l'uomo e' un "animale sbagliato"
:non consapevole, si badi, perche' questa dell'uomo colpevole e' una
vecchia storia che ben conosciamo; colpevole, pero' redimibile e forse
gia' a sua insaputa redento, ma sbagliato. Un legno storto si puo'
raddrizzare. Pare, invece che lo sbaglio di cui parla questo
amarissimo interprete del nostro tempo sia incorreggibile.
Eppure, mai come oggi si e' propagata rapidamente nel mondo-
soprattutto dopo la seconda guerra mondiale che e' stata, questa si,
una vera catastrofe- l'idea non so dire se piu' ambiziosa o sublime o
soltanto consolatoria o ingenuamente fiduciosa, dei diritti dell'uomo
che di per se stessa ci invita a cancellare l'immagine sia del legno
storto sia dell'uomo sbagliato, e a rappresentarci questo essere
contraddittorio e ambiguo che e' l'uomo non piu' soltanto dal punto di
vista della sua miseria, (per grave espressione di Pascal) ma anche
dal punto di vista della sua grandezza.
Professor Bobbio, come spiega l'importanza che il dibattito sui
diritti dell'uomo ha assunto nella nostra epoca?
In linea di principio, l'enorme importanza del tema dei diritti
dell'uomo dipende dal fatto che e' strettamente connesso con i due
problemi fondamentali del nostro tempo, la democrazia e la pace. Il
riconoscimento e la protezione dei diritti dell'uomo stanno alla base
delle costituzioni democratiche, e nello stesso tempo la pace e' il
presupposto necessario per l'effettiva protezione dei diritti
dell'uomo nei singoli Stati e nel sistema internazionale. E' sempre
vero il vecchio detto, e ne abbiamo fatto recentemente nuova
esperienza, che "inter arma silent leges". Oggi siamo sempre
piu' convinti che l'ideale della pace perpetua non puo' essere
perseguito se non attraverso una progressiva democratizzazione del
sistema internazionale e degli Stati che fanno parte di questo
sistema, e che questa democratizzazione non puo' andare disgiunta
dalla graduale e sempre piu' effettiva protezione dei diritti
dell'uomo anche al di sopra degli Stati. Diritti dell'uomo,
democrazia, pace sono sono tre momenti necessari dello stesso
movimento storico: senza diritti dell'uomo riconosciuti ed
effettivamente protetti non c'e' democrazia; senza democrazia non ci
sono le condizioni minime per la soluzione pacifica dei conflitti che
sorgono tra individui, tra gruppi, e tra quei grandi gruppi che sono
gli Stati tradizionalmente indocili e tendenzialmente autocritici
rispetto agli altri Stati, anche quando sono democratici al proprio
interno. Non sara' inutile ricordare che la Dichiarazione universale
dei diritti dell'uomo comincia affermando che "il riconoscimento
della dignita' inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei
loro diritti uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della
liberta', della giustizia e della pace nel mondo" e che con
queste parole si riallaccia direttamente allo Statuto dell'Onu in cui
alla dichiarazione che fosse necessario "salvare le future
generazioni dal flagello della guerra", seguiva subito dopo la
riaffermazione nella fede dei diritti fondamentali dell'uomo.
Eppure che l'uomo, che tutti gli uomini, abbiano dei diritti
intangibili e inviolabili è una acquisizione storica abbastanza
tarda. Si può collegare questa presa di coscienza con l'avvento del
moderno giusnaturalismo ?
Leggo in una bella opera recente, "Etica e diritti
dell'uomo", queste parole: "E' indubbio che i diritti
dell'uomo sono una delle piu' grandi invenzioni della nostra civilta'".
Se la parola "invenzione" puo' sembrare troppo forte, dicasi
"innovazione" e intendasi "innovazione" nel senso
in cui Hegel diceva che il detto biblico nulla di nuovo sotto il sole
non vale pero' per il sole dello spirito, perche' il suo corso, il
corso del sole nello spirito non e' mai ripetizione di se', bensi' e'
la mutevole manifestazione che lo spirito da di se' in forme sempre
differenti, e' essenzialmente un continuo progredire. E' vero che
l'idea dell'universalita' della natura umana e' antica, anche se
irrompe nella storia dell'occidente col Cristianesimo. Ma la
trasformazione di questa idea filosofica dell'universalita' della
natura umana in istituzione politica (e in questo senso si puo'
parlare anche di invenzione), vale a dire in un modo diverso, e in un
certo senso rivoluzionario, di regolare i rapporti tra governanti e
governati, avviene soltanto nell'eta' moderna attraverso il
giusnaturalismo, e trova la sua prima espressione politicamente
rilevante nelle Dichiarazioni dei diritti della fine del settecento.
Chiamatela invenzione o innovazione, ma quando non piu' in un testo
filosofico - per fare un esempio il secondo saggio sul governo civile
di Locke- ma in un documento politico come la Dichiarazione dei
Diritti della Virginia 1776 - si legge: "Tutti gli uomini sono da
natura egualmente liberi, e hanno alcuni diritti innati per cui
entrando nello stato di societa' non possono mediante convenzione
privare o spogliare la loro posterità'", dobbiamo ammettere che
e' nata in quel momento una nuova, e intendo letteralmente senza
precedenti forma di reggimento politico, che non e' soltanto il
governo delle leggi contrapposto a quello degli uomini, che era stato
lodato da Aristotele, il principio famoso del "lex facit regem,
non rex facit legem", ma e' il governo che e' insieme degli
uomini e delle leggi, degli uomini che fanno le leggi, e delle leggi
che trovano un limite in diritti preesistenti degli individui che le
stesse leggi non possono travalicare, in una parola lo stato liberale
moderno che si dispiega poi senza soluzione di continuita', e per
interno sviluppo, nello stato democratico.
Quali sono le conseguenze di questa decisiva affermazione che pone
al di sopra del diritto positivo o dei diritti positivi, cioè al di
sopra delle leggi degli stati, una legislazione naturale, i diritti
dell'uomo, appunto?
L'innovazione è duplice: affermare che l'uomo ha dei diritti
preesistenti alla istituzione dello Stato, cioe' di un potere cui
viene attribuito il compito di prendere decisioni collettive, che una
volta prese debbono essere ubbidite da tutti coloro che costituiscono
sia la collettivita', significa roveciare la concezione tradizionale
della politica almeno da due punti di vista diversi: in primo luogo,
cotrapponendo l'uomo, gli uomini, gli individui considerati
singolarmente, alla societa', alla citta', o in modo particolare a
quella citta' compiutamente organizzata che e' la "res
pubblica" o lo Stato, in una parola al tutto oalla totalita' che
per lunga tradizione e' stata considerata superiore alle sue parti; in
secondo luogo considerando nel rapporto morale e quello giuridico come
antecedente il diritto anziche' il dovere, contrariamente a quello che
era avvenuto per una lunga tradizione di testi dal "De officiis"
di Cicerone ai "Doveri dell'uomo" di Mazzini, passando
attravero il famoso "De officio hominis et civis" di
Pufendorf
Considerato il rapporto politico non piu' dal punto di vista dei
governanti ma da quello del governato, non piu' dall'alto verso il
basso, ma dal basso verso l'alto, la prima inversione ha per
conseguenza la contrapposizione della concezione individualistica
della societa' alla concezione organicistica e l'abbandono definitivo
di quest'ultima, dico definitivo, che pure era stata per secoli
dominante, lasciando tracce indelebili nel nostro linguaggio politico
dove si parla ancora di "corpo politico" e di organi"
dello Stato". Rispetto alla seconda inversione il primato del
diritto non implica affatto l'eliminazione del dovere, perche' diritti
e doveri sono due termini correlativi, e non si puo' affermare un
diritto senza affermare contemporaneamente il dovere e dell'altro di
rispettarlo. Ma chiunque abbia una certa familiarita' con la storia
del pensiero politico, ha ben appreso che lo studio della politica e'
stato da sempre orientato a mettere in evidenza piu' i doveri che
diritti del cittadino :basta pensare al tema fondamentale della
cosiddetta obbligazione politica-, piu' i diritti e i poteri del
sovrano che quelli del cittadino, in altre parole attribuire la
posizione del soggetto attivo del rapporto piu' a chi sta' in alto che
a chi sta' in basso.
Di "diritti" dell'uomo parlano tutte le moderne ideologie
politiche. Professor Bobbio si può affermare ,allora, che
liberalismo, socialismo e cristianesimo attingono i loro valori dalla
comune fonte del giusnaturalismo, cioè dall'idea che l'uomo ha una
eguaglianza naturale prima ancora che politica, uguaglianza che
l'impegno politico deve ricostituire o recuperare?
Per quanto io ritenga che occorra andar molto cauti nel vedere svolte
salti qualitativi, rivolgimenti epocali ad ogni stagione, non esito ad
affermare che la proclamazione dei diritti dell'uomo abbia tagliato in
due il corso dell'umanita' per quel che riguarda la concezione del
rapporto politico. Ed e' un segno del tempo, per riprendere
l'espressione iniziale, il fatto che a rendere sempre piu' evidente e
irreversibile questo rovesciamento convergano, sino a incontrarsi,
senza contraddirsi, le tre grandi correnti del pensiero politico
moderno, il liberalismo, il socialismo, il criastianesimo sociale.
Convergono pur conservando ciascuna la propria identita', guardate
bene-, nella preferenza data a certi diritti piuttosto che ad altri, e
cosi' dando origine a una struttura complessa, sempre piu' complessa
di diritti fondamentali, la cui integrazione pratica e' spesso resa
difficile proprio dalla loro diversa fonte di ispirazione dottrinale,
e dalle diverse finalita' che ognuna di esse si propone di
raggiungere, ma che pur rappresenta una meta da conquistare nella
auspicata unita' del genere umano.
Professor Bobbio, è possibile tracciare una "storia" dei
diritti dell'uomo ? Quali sono i primi diritti rivendicati ? E quale
contributo alla lotta per questi diritti hanno dato il liberalismo, il
movimento operaio e la Chiesa?
Cronologicamente come e' noto nascono i primi diritti di liberta'
della rivoluzione americana, e della rivoluzione francese ; poi
seguono i diritti sociali sotto forma di una prima organizzazione
pubblica dell'istruzione e di provvedimenti in favore del lavoro gia'
presenti nella costituzione del 1691 e del 1793, il diritto del lavoro
fa' la sua prima apparizione nei dibattiti della rivoluzione del 1848,
in Francia ma senza grandi conseguenze poi diventa, un elemento
essenziale come tutte le dichiarazi dirette dopo la prima guerra
mondiale a cominciare da quelle della repubblica di Weimar. Quanto al
cristianesimo sociale nel Documento gia' citato della Commissione
pontificia Iustitia et Pax e in tanti altri testi- proprio in questi
giorni ho ricevuto un volume della rivista "Concilium", una
rivista trimestrale di teologia tutto dedicato al problema dei diritti
dell'uomo -si riconosce onestamente, si riconosce onestamente che non
sempre nel decorso dei secoli l'affermazione dei diritti fondamentali
dell'uomo e' stata costante e che specie negli ultimi due secoli vi
sono state difficolta', riserve, e a volte reazioni da parte cattolica
al diffondersi delle dichiarazioni dei diritti dell'uomo, proclamate
dal liberalismo e dal laicismo.
Ci si riferisce in modo particolare agli atteggiamenti di
"precauzione", cosi' vengono chiamati negativi e talvolta
ostili, di Pio VI, di Pio VII , di Gregorio XVI. Ma nello stesso tempo
si avverte ch una svolta ebbe inizio con Leone XIII, in particolare
con l'enciclica "Rerum novarum" del 1891, in cui fra i
diritti di liberta' della tradizione liberale, si afferma con forza il
diritto di associazione con particolare riguardo alle associazioni
degli operai, un diritto come sapete quello di manifestazione che sta
alla base della concessione pluralistica della societa' che
costituisce a sua volta una base di qualsiasi governo democratico. E
tra i diritti sociali della tradizione socialista, si mette in
particolare rilievo il diritto al lavoro per la cui protezione nei
suoi vari aspetti, il diritto a un giusto salario, il diritto al
debito riposo, la tutela delle donne e dei fanciulli, si invoca il
concorso dello Stato.
Attraverso vari documenti che non e' il caso di ricordare- encicliche,
messaggi natalizi come quelli del 1942 e 1944 di Pio XII, la
costituzione pastorale Gaudium et spes del Concilio Vaticano II, il
famoso discorso di Paolo VI indirizzato al segretario generale dell'Onu-
cento anni dopo, per riferirmi ad documento recentissimo, giunge il
documento dato il primo Maggio di quest'anno, l'enciclica Centesimus
annus, a riaffermare solennemente l'importanza che la Chiesa assegna
al riconoscimento dei diritti dell'uomo tanto che, come e' gia' stato
osservato, il paragrafo 47 contiene una illuminante, cosi' e' stata
chiamata "carta dei diritti umani" preceduta da queste
parole: "E' necessario che i popoli che stanno riformando i loro
ordinamenti diano alla demorazia un autentico e solido fondamento
mediante l'esplicito riconoscimento dei diritti umani". Il primo
di questi diritti e' il diritto alla vita, cui seguono il diritto a
crescere in una famiglia unita, il diritto a maturare la propria
intelligenza e la propria liberta', e quindi la liberta' religiosa che
e' poi si puo' dire il presupposto delle condizioni.
Dopo aver visto i motivi che, nell'ambito del tema dei diritti
dell'uomo, unificano le diverse tradizioni del pensiero politico
europeo cerchiamo di individuare le differenze. In altre parole, al di
là della comune intenzione di salvaguardare la dignità della persona
umana, esiste una differenza tra liberalismo e cattolicesimo?
Non e' chi non veda che l'elenco di questi diritti e' ben diverso da
quello dei diritti enumerati nelle carte della Rivoluzione francese.
Il diritto alla vita che qui compare come il primo diritto da
proteggere, la', nelle Carte francesi, non compare mai. Nelle Carte
americane compare nella forma quasi sempre di "diritto al
godimento e alla difesa della vita" accanto ai diritti di
liberta', gli uni e gli altri. Per non offuscare la auspicata
convergenza verso il fine comune della protezione universale dei
diritti dell'uomo questa differenza viene di solito scarsamente
rilevata. Ma la differenza esiste, ed ha indubbiamente anche un
rilievo filosofico, cui varrebbe la pena di riflettere un poco. Da un
lato primeggia la protezione del diritto di liberta' nelle sue diverse
manifestazioni, dall'altra primeggia la protezione del diritto alla
vita, sin dal momento in cui la vita inizia,- contro l'aborto -sino al
momento in cui la vita volge alla fine,- contro l'eutanasia.
Nella dichiarazione dell'89 si puo' trovare se mai un riferimento alla
protezione della vita negli articoli 7, 8 e 9 che contengono i
principi fondamentali dell' "habeas corpus", ma riguarda la
vita nel senso della protezione contro le lesioni ingiuste da parte
del potere politico. Oggi invece il diritto alla vita assume ben altra
importanza, tanto piu' se si comincia a prendere atto che esso va
sempre piu' estendendosi, come risulta dai piu' recenti documenti sia
internazionali sia della Chiesa, in cui si parla non piu' soltanto
della vita, ma della qualita' della vita. Tuttavia non bisogna
dimenticare che la congiunzione tra il diritto alla vita e il diritto
alla libertà era già avvenuta nella Dichirazione universale dei
diritti dell'uomo, il cui articolo 3 recita: "Ogni individuo ha
il diritto alla vita, alla liberta' e alla sicurezza", e anche
nella Carta europea dei diritti dell'uomo, il cui articolo I riconosce
il diritto alla vita, anche se lo scopo principale dell'articolo e'
limitato alla difesa dell'individuo dall'uccisione intenzionale, vale
a dire nella sua maturita' e nella sua pienezza non nei casi limiti
della vita che sta per cominciare e della vita che sta per volgere
alla fine.
Eppure sembra esistere un grandioso e corale disegno di difesa
dell'uomo. Esiste un nemico comune contro cui si volge la difesa
indefessa che l'uomo, nel corso della storia ,ha fatto dei suoi
diritti? E se tante forme di sopruso sono state eliminate, se non di
fatto, almeno in linea teorica, oggi contro chi o contro cosa l'uomo
deve difendersi?
I diritti dell'uomo, nonostante siano stati considerati sin
dall'inizio naturali, non sono stati dati una volta per sempre. Basti
pensare alle varie vicende dell'estensione dei diritti politici. Per
secoli si e' ritenuto per nulla naturale che le donne andassero a
votare. Ora possiamo dire che non sono stati dati tutti in una volta e
neppure congiuntamente anche se oggi non pare dubbio che le varie
tradizioni si stiano avvicinando e stiano formando insieme un unico
grande disegno di difesa dell'uomo, che comprende di tre sommi beni,
della vita, della liberta' e della sicurezza sociale. Difesa da che
cosa? La risposta che ci viene dall'osservazione della storia e' molto
semplice e netta: difesa dal Potere, da ogni forma di Potere.
Il rapporto politico per eccellenza e' un rapporto tra potere e
liberta'. Vi e' una stretta correlazione fra l'uno e l'altro. Piu' si
estende il potere di uno dei due termini del rapporto piu' diminuisce
la liberta' dell'altro termine del rapporto e viceversa. Il rapporto
politico e' un rapporto chiarissimo per niente delineato dove si pensa
che c'e' il potere da un lato e una non liberta' dall'altro, oppure
una liberta' da un lato e un non potere dall'altro. Ebbene cio' che
contraddistingue il momento attuale rispetto alle epoche precedenti e
rafforza la richiesta di nuovi diritti e' la forma di potere che
prevale su tutti gli altri. La lotta per i diritti ha avuto come
avversario prima il potere religioso, poi il potere politico, infine
il potere economico: questa e' la storia.
Oggi le minacce alla vita, alla liberta', alla sicurezza vengono dal
potere della scienza e delle sue applicazioni tecniche. Siamo entrati
nell'era che viene chiamata, non si sa per quale ragione,
"post-moderna", perche' e' la continuazione di quella
moderna, ed e' caratterizzata dall'enorme progresso, vertiginoso e
irreversibile, irreversibile perche' con il progresso tecnico non si
torna piu' indietro .Io dico sempre che e' irreversibile come il
tempo, il tempo e' irreversibile ,il progresso tecnico e'
irreversibile, non si torna piu' alla carrozza a cavalli e non si
torna piu' ai fucili quando ci sono le armi atomiche questo e'
chiarissimo . E' caratterizzata quest'eta' post-moderna dalla
trasformazione tecnologica e tecnocratica del mondo. Dal giorno in cui
Bacone disse che la scienza e' potere, l'uomo di strada ne ha fatta
molta. Mai come oggi chi piu' sa - riprendendo il tema di Bacone- piu'
ha potere, ma sa molto di piu' di quello che si sapeva ai tempi di
Bacone.
La conoscenza e' diventata la principale causa e la condizione, se non
sufficiente, necessaria, del dominio dell'uomo sulla natura e sugli
altri uomini. I diritti della nuova generazione, cosi' vengono
chiamati questi diritti che sono dopo appunto i diritti tradizionali:
la vita, la liberta' e alla sicurezza e sono quelli in cui si
incontrano le tre correnti principali del nostro tempo, nascono tutti
dai pericoli alla vita, alla liberta', e alla sicurezza, provenienti
dall'accrescimento del progresso tecnologico. Bastino questi tre
esempi che hanno riempito leriviste, i libri, le conversazioni, i
congressi, le tavole rotonde di questi ultimi anni, e che quindi sono
al centro del dibattito attuale: il diritto a vivere in un ambiente
non inquinato donde hanno preso le mosse i movimenti ecologici che
hanno smosso la vita politica, tanto all'interno dei singoli Stati
quanto nel sistema internazionale a cui si e' riferito lo stesso
Presidente dell'Accademia; secondo: il diritto alla privatezza che
viene messo in serio pericolo dalla possibilita' che hanno i pubblici
poteri di memorizzare tutti, dico tutti, anche i dati riguardanti la
vita di una persona e con cio' di controllarne i comportamenti senza
che egli se ne accorga, noi non lo sappiamo ma chi sa se il
"Grande Fratello " sappia quello che avviene in questa sala
molto piu' di quello che ciascuno di noi e' in grado di sapere; e
infine il diritto - l'ultimo della serie, che sta gia' sollevando
dibattiti nelle organizzazioni internazionali, e su cui probabilmente
avverranno gli scontri piu' accaniti e' piu' difficili da risolvere
fra due visioni opposte della natura umana- il diritto alla integrita'del
proprio patrimonio genetico che va ben oltre il diritto alla
integrita' fisica, gia' affermato negli articoli 2 e 3 della
Convenzione dei diritti dell'uomo.
Professor Bobbio, per concludere, Lei ritiene che i diritti
dell'uomo siano una illusoria speranza o un impegno morale o, forse,
un'utopia? Lei da che parte sta: dalla parte dei "profeti di
sventura" di cui parlava prima o dalla parte dell'ottimista ed
illuminista Kant, che credeva nella perfezione morale dell'uomo come
eterno dover essere?
Nel discorso "Le fondement theologique des droits de l'homme",
tenuto nel novembre 1988, il vescovo di Rittenborg-Stuttgart, Walter
Kasper, ha scritto una frase che puo' costituire la conclusione del
mio discorso: "I diritti dell'uomo costituiscono al giorno d'oggi
un nuovo ethos mondiale". Naturalmente occorre non dimenticare
che un ethos rappresenta il mondo del dover essere. Il mondo
dell'essere ci offre purtroppo uno spettacolo molto diverso. Alla
lungimirante consapevolezza circa la centralita' di una politica tesa
alla sempre migliore formulazione e alla sempre migliore protezione
dei diritti dell'uomo corrisponde la loro sistematica violazione in
quasi tutti i Paesi del mondo.
L'ethos dei diritti dell'uomo splende nelle solenni dichiarazioni che
restano quasi sempre e quasi dappertutto lettera morta. La volonta' di
potenza ha dominato e continua a dominare il corso della storia.
L'unica ragione di speranza è che la storia conosce i tempi lunghi e
i tempi brevi. La storia dei diritti dell'uomo- meglio non farsi
illusioni e' la storia dei tempi lunghi. Del resto e' sempre accaduto
che mentre i profeti di sventure annunciano la sciagura che sta per
avvenire e invitano a essere vigilanti, i profeti dei tempi felici di
solito guardano molto lontano. Un illustre storico contemporaneo ha
messo a raffronto il sentimento dell'accorciamento dei tempi, che si
diffonde nelle eta' dei grandi sommovimenti, reali o soltanto
paventati, citando una frase della visione della Sibilla Tiburtina:
"E gli anni si accorceranno come mesi e i mesi come settimane e
le settimane come i giorni e i giorni come ore", nel senso ch i
tempi sono vicini, i tempi sono vicini -il profeta di sventura dira'
sempre: "I tempi sono vicini".
Mette a confronto questo senso dell'accorciamento del tempo con il
sentimento opposto della accellerazione dei tempi quale invece
appartiene ormai la generazione nata nell'era tecnologica, per cui il
passaggio da una fase all'altra del progresso tecnico che un tempo
richiedeva secoli, poi ha richiesto decenni adesso richiede pochi
anni. I due fenomeni ,come capite benissimo ,sono paralleli perche'
per giungere piu' rapidamente ad una meta vi sono due vie: o
accorciare la strada o accellerare il passo, questi sono i due sensi
dell'accellarazione, dell'accorciamento e dell'accellerazione cosi ben
descritti. Il tempo vissuto non e' il tempo reale: qualche volta puo'
essere più rapido, qualche volta piu' lento. Le trasformazioni del
mondo che abbiamo vissuto in questi ultimi anni, sia per il
precipitare della crisi di un sistema di potere che sembrava
solidissimo e anzi ambiva a rappresentare il futuro del pianeta, sia
per la rapidita' dei progressi tecnici, suscitano in noi il duplice
stato d'animo sia dell'accorciamento sia dell'accellerazione.
Ci sentiamo talora sull'orlo dell'abisso e quasi che la catastrofe
incomba. Ci salveremo? Come ci salveremo? Chi ci salvera'? Voi sapete
quante discussioni sono state fatte :ci sono famose frasi di Heidegger.
Stranamente questo senso di essere incalzati dagli eventi rispetto al
futuro contrasta con il senso opposto dell'allungamento e del
rallentamento del passato, rispetto al quale l'origine dell'uomo viene
fatta risalire sempre piu' indietro. Tanto la nostra memoria storica
sprofonda in un passato remoto che continua ad allungarsi senza fine,
tanto piu' la nostra immaginazione si accende all'idea di una corsa
sempre piu' rapida verso la fine. E io dico sempre: e' un po' lo stato
d'animo del vecchio che io conosco bene: per il vecchio il passato e'
tutto, il futuro e' nulla. Come dire :siamo arrivati alla vecchiaia
dell'umanita' ;potrebbe essere anche se sapete Hegel sosteneva che
invece a differenza degli uomini per cui la vecchiaia rappresenta lo
stadio finale e senile, per i popoli la vecchiaia rappresenta il
momento dello splendore. Magra consolazione !
Ci sarebbe da stare poco allegri se non fosse che un grande ideale
come quello dei diritti dell'uomo rovescia completamente il senso del
tempo, perche' si proietta nei tempi lunghi, come ogni ideale, il cui
avvento non puo' essere oggetto come ho detto all'inizio di alcuna
previsione, ma soltanto di un presagio. In una visione della storia
per cui si puo' dire- e questo credo che lo possiamo dire: ecco forse
e' proprio quello che contraddistingue il post-moderno da l modeno -
qui sta la vera distinzione- si puo' dire che la razionalita' non
abita piu' qui. Come e' lontano il tempo in cui Hegel insegnava ai
suoi scolari di Berlino che la ragione governa il mondo! Oggi possiamo
soltanto fare una scommessa. Che la storia conduca al regno dei
diritti dell'uomo anziche' al regno del Grande Fratello puo' essere
oggetto soltanto di una scommessa, cioe' di un impegno.E' vero che
altro e' scommettere, altro e' vincere. Ma e' anche vero che chi
scommette, lo fa perche' ha fiducia di vincere, anche il gioco
d'azzardo si affida al caso ma ha speranza* che il caso gli dia
ragione. Certo non basta la fiducia per vincere. Ma se non si ha la
minima fiducia, la partita e' gia' persa sin dall'inizio, prima di
cominciare. Se poi mi si chiede che cosa occorre per aver fiducia,
riprenderei le parole di Kant che ho citato all'inizio e che mi
sembrano molto sagge: "giusti concetti", "una grande
esperienza", e soprattutto "buona volonta' ".
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