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Nekrosius e “L’Ecole des Maitres”




José Luis Sànchez-Martìn



Come abbiamo già anticipato nell’articolo della settimana scorsa, è arrivato il fittissimo autunno teatrale che, soprattutto a Roma, vede concentrati in un breve periodo una grande quantità di appuntamenti stranieri di sicuro interesse e qualità e che purtroppo in questo modo finiscono per accavallarsi. Il primo evento è la sezione del “Festival d’Autunno” curata dall’ETI, intitolata “Percorsi internazionali”. Giunti alla sesta edizione, i Percorsi si sviluppano quest’anno nel segno dei grandi maestri della scena, di quegli artisti che, facendo dei propri itinerari creativi un percorso costante e coerente di ricerca, hanno creato una “scuola”.

Il comune denominatore degli artisti presenti in cartellone è il rifiuto delle categorie precostituite, siano queste tradizione o sperimentazione, a favore di una ricerca che si serve anche e soprattutto dei classici intesi come guide ideali. Tra i più importanti ospiti a Roma, al Teatro Valle ci saranno i grandi maestri russi Anatolij Vassiliev con il suo ultimo spettacolo “Mozart e Salieri”, tratto dal testo di Puskin, e il coreografo Gennadi Abramov con i due allestimenti “Branco” e “Il Letto”. I Percorsi continuano a Firenze e con essi la presenza russa con “Gaudeamus” di Lev Dodin, uno spettacolo simbolo del suo coinvolgente ed emozionante “teatro vivente”, e con “Fantasie o sei personaggi in cerca di vento”, ideato e diretto da Victor Kramer per il Teatro Farces. Bologna, invece, oltre ai “Buenos Aires Tango” ospiterà la famosa e numerosa compagnia dalla vocazione nomade e circense dei “Footsbarn Travelling Theatre” con la loro ultima creazione intitolata “The Inspector”, da Gogol; e gli artisti francesi Jérome Deschamps e Macha Makeieff con lo spettacolo “Les Pensionnaires”.

Tornando a Roma, l’avvio vero e propio dei Percorsi è stato dato al Teatro Quirino giovedì 28 settembre con la presentazione del lavoro finale della IX edizione de “L’Ecole des Maitres”, il corso internazionale itinerante di perfezionamento teatrale e di confronto tra i diversi tipi di formazione, ideato e diretto dal critico, scrittore, traduttore ed editore Franco Quadri. E’ un progetto europeo creato per offrire a giovani attori professionisti europei oportunità di interscambio, occasioni di confronto tra le diverse esperienze, con la possibilità di perferzionare la propria formazione sotto la guida di grandi maestri della scena internazionale.

L’Ecole ha avuto negli anni Maitres ospiti del calibro di Jerzy Grotowski, Luca Ronconi, Lev Dodin, Jacques Lassalle; Anatolij Vasil’ev, Matthias Langhoff; Alfredo Arias, Jacques Delcuvellerie, Luis Miguel Cintra, Yannis Kokkos, Peter Stein e Dario Fo. Iniziativa unica in Italia sia per il livello di qualità che si prefigge sia per il basso livello del territorio in cui si inserisce, la formazione degli attori italiani.

Come afferma Andrea Porcheddu su “Il Sole 24 Ore”: “Proprio all’Europa guarda questa scuola che cerca di colmare, almeno in parte, l’assoluta pochezza del sistema formativo italiano.”

Quest’anno, dopo una prima esperienza di quindici giorni l’anno scorso, il maestro ospite è stato per l’intero periodo di studi di due mesi l’acclamato regista lituano Eimuntas Nekrosius, che non si è limitato a offrire un'esperienza laboratoriale ai 22 attori e attrici provenienti dall’Italia, dalla Francia, dal Belgio e dal Potogallo, ma con loro ha messo in scena, addirittura in due versioni, una francese e una italiana, un vero e proprio spettacolo: “Il Gabbiano” di Checov.

Così lo descrive la giornalista Giuseppina Manin sul "Corriere della Sera": “Eimuntas Nekrosius. Un nome che intimorisce fin dal suono. Che evoca mondi arcani, misteriosi, gotici. Un nome che corrisponde all’aspetto: un uomo alto, robusto, dai capelli rasati, la faccia grigia di chi non vede mai il sole e fuma troppo, gli occhi azzurro palido, gelidi e accesi, come in preda a una febbre continua. Lavora con gli occhi, ha detto di lui qualcuno. Ed è vero.” .

Nekrosius, nato nel 1952 in Lituania, compie i suoi studi di teatro a Mosca e dal ritorno in patria comincia a raccogliere una quantità di sucesso e di riconoscimenti, tra cui alcuni premi importanti, tale da portarlo all’estero, dove le sue messe in scena riscuotono consensi unanimi. Con “Le tre Sorelle” di Checov prima, e soprattutto con la trilogia shakesperiana di “Amletas”, “Macbetas” e l’imminente “Otello” già presentato sotto forma di studio alla Biennale Teatro 2000 e che sarà in Italia in tournée a novembre, si afferma come il regista europeo più originale e apprezzato dell’ultimo decennio. Su alcuni aspetti della sua concezione del teatro, che ha proposto ai giovani attori, lasciamo parlare lo stesso Nekrosius, montando frammenti da varie interviste:

“Portare in scena Il Gabbiano vuol dire far affiorare le tensioni nascoste nel testo. Pagine e pagine possono essere condensate in un gesto, una situazione. Quando si esce dalla sala, quel che si porta a casa di uno spettacolo sono alcune immagini, alcune scariche emotive. Niente di più. Sulla mia scena compaiono sempre acqua, fuoco, legno. Materiali primordiali capaci di farsi metafora degli umori e dell’anima dei personaggi.”

“Tutti i personaggi devono continuamente fornire informazioni al pubblico. Già dall’entrata in scena, si danno informazioni. Occorre dare segni di riconoscimento così che lo spettatore capisca con chi avrà a che fare per le quattro ore di spettacolo.”

“Quel che conta è individuare il nucleo. Il teatro è sintesi, ma questo non significa brevità. Io non posso raccontare nulla in meno di quattro ore. Tanto più l’attenzione si fa corta, tanto più gli spettacoli devono essere lunghi. Il teatro è un antidoto alla fretta insensata dei nostri tempi. Come i classici sono un antidoto alla pochezza di tanti autori contemporanei, che vivono una sola stagione, con un solo testo.”

“Secondo me l’arte teatrale è innanzitutto un lungo, continuo, perfino noioso, lavoro.”

Di Stanislavskji, il grande maestro russo dell’inizio del secolo, primo a mettere in scena Il Gabbiano, dice: “lo rispetto moltissimo, peccato che tanti lo ignorino del tutto. Penso che i giovani attori dovrebbero leggere e rileggere i suoi scritti, certo farebbe loro assai bene.” Ma vedendo la potente fisicità non naturalistica che i suoi attori portano in scena, viene da chiedersi anche sul suo rapporto con Mejerch’old, allievo e poi antagonista di Stanislavskji, creatore della Biomeccannica. “Penso che conoscerlo non sarebbe meno utile ai giovani attori. Quanto a me, non saprei dire se sento maggiomente l’influenza di uno o dell’altro. Durante il processo di lavoro, sei tu stesso che compi automaticamente questa scelta, arrivi a preferire l’uno o l’altro in maniera del tutto naturale.”

Per gli allievi attori Nekrosius aveva previsto una dettagliata esplorazione psicologica dei personaggi di Cechov, le loro motivazioni, le loro relazioni, il loro retroterra e la loro storia. Per ritrovare una verità umana dietro le parole scritte dal drammaturgo, oltre che una sua moderna epressione teatrale, prendendo come base le idee degli stessi allievi e le immagini e invenzioni che sono emerse dalle numerose improvvisazioni sviluppate e formalizzate durante lo stage.

Il rusultato raggiunto è il frutto di un lavoro rigoroso in ogni senso, primo fra tutti la partitura degli attori, che in virtù del processo di lavoro così dettagliato e scandagliato hanno trovato i riferimenti essenziali del proprio personaggio rendendolo coerente, organico, autonomo, quindi sempre credibile e familiare al pubblico e nello stesso tempo in continua relazione con gli altri e con la situazione. Hanno saputo lasciar affiorare i differenti livelli di sedimentazioni interne ai personaggi, sia quelle psicologiche ed emotive sia quelle fisiche e dinamiche, sia quando la caratterizzazione verteva su toni esasperati, enfatizzati, prepotenti o ridicoli sia quando la dinamica di relazione richiesta era più sfumata, sottile, frammentata; questa ammirevole amalgama, questa affiatata concertazione tra gli attori e tra i loro personaggi ha permesso a Nekrosius di scavare profondamente nel testo di Cechov e di riuscire pertanto a far emergere tutto il potenziale ironico e tragico al tempo stesso in cui i drammi personali e le contraddizioni esistenziali convivono e si scontrano fino a raggiungere un registro molto vicino allo stridore.

Ciascun attore ha stabilito con il proprio personaggio un rapporto molto personale, in alcuni momenti anche intimissimo, di orientamento interno al proprio peculiare punto di vista, ed è proprio questo l’emento distintivo, il passaggio difficile quanto fondamentale, la consapevolezza degli attori, una linea che marca un confine netto tra il grande teatro europeo del ‘900 e la prosa ritrita del teatro borghese ottocentesco alla quale è avezzo il pubblico italiano. Nekrosius con questo “saggio”, che bisogna dirlo sopravanza di molte misure la stragrande maggioranza degli spettacoli di compagnie professioniste italiane in allestimenti miliardari e con molto più tempo per provare, ha portato a un livello internazionale il talento di giovani attori italiani, i quali già evidentemente preparati hanno però potuto esprimere tutto il loro potenziale in una forma complessiva più vasta, più articolata, e non in una esibizione di bravura, che è uno spettacolo teatrale.

Tra gli attori della versione italiana vale la pena menzionare Laura Nardi nel ruolo di Nina per essere riuscita egregiamente a “recitare di recitare male” nel definire sul filo del ridicolo e del patetico una giovane ragazza di campagna che guarda con occhi ingenui al mondo degli uomini celebri di teatro e sogna di poter calcare anch’ella un giorno il palcoscenico, nell’arco di un lungo sviluppo che la condurrà presto a diventare una vera quanto infelice e smarrita attrice di provincia. Uguali complimenti meritano i bravi Fausto Russo Alesi, Pia Lanciotti, Paolo Mazzarelli, Vanessa Compagnucci, Alessandro Riceci, Pedro Saavedra, Amandio Pinheiro, Staphane Oertli, Ana Fonseca Dinis, Christophe Sermet, Hala Ghosn.

L’ambientazione scenica risponde alla concezione dello spazio teatrale che Nekrosius ha già mostrato nei due capolavori shakespeariani “Amletas” e “Macbetas”, ovvero l’uso di materiale povero ma in particolare arcaico, elementare, primitivo come l’acqua, il legno, la pietra, il fuoco assieme e in contrappunto con il moderno, il metallo e la plastica per esempio, e inoltre dal pieno utilizzo della convenzione teatrale e della metafora elaborati con grande artisticità, visionarietà e forza evocativa. La scena del “Gabbiano” di Cechov vista giovedì 28 al Teatro Quirino di Roma presenteva tutti questi elementi, combinati con la consueta originalità, la campagna era rappresentata da un grosso ramo appeso ad una corda al centro della scena e il “terribile” lago era costituito da una serie di secchi di zinco pieni d’acqua disposti orizzontalmente prima e circolarmente durante un’unica e intensa scena tra Trigorin e Nina poi, dove l’acqua assume una valenza dichiaratamente psichica, inconscia e viscerale come era stato per i suoi spettacoli precedenti.

In attesa di poter vedere il suo ultimo capolavoro, “Otello”, ci auguriamo vivissimamente che il folto pubblico presente giovedì sera a teatro, composto in gran parte da addetti ai lavori, registi, attori, scrittori, critici e professori possa aver raccolto la grande lezione di Nekrosius, che sfata il mito dell’impossibilità di uno spettacolo di livello internazionale con attori italiani, che indica vigorosamente una direttrice di lavoro tutta protesa a un massimo di approfondimento, rigore, dominio e quindi in definitiva a un massimo di libertà creativa, che rivendica con enorme generosità il primato di un teatro al cui centro ci sono indiscussamente l’uomo e l’attore, la sua presenza, il suo corpo-mente unitario, anche quando si tratti di cantarne la decadenza o inscenarne il dramma, e non il mito fasullo del primo attore tutto talento e ispirazione o ancora peggio del regista dispotico e impietoso ma geniale che purtroppo imperversa ancora e più che mai in Italia all’alba terzo millennio. Vogliamo credere che il passaggio di Nekrosius non avrà lasciato nessuno indifferente a questo vitale richiamo.

 

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