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Letti per voi/La botticella di Fuà



Mario Deaglio




Questo articolo è stato pubblicato su la Stampa  del 15 settembre

Quando un giovane laureato cominciava a far ricerca con lui, Giorgio Fuà scendeva nella sua piccola ma ben fornita cantina e scriveva il nome del neo-ricercatore su una botticella. Se poi, come succedeva spesso, questo giovane si faceva strada nel mondo accademico e arrivava in cattedra, la botticella veniva aperta e ritualmente bevuta con l'interessato e gli altri colleghi dell'istituto. Quest'aneddoto aiuta a comprendere perché la scomparsa di Fuà, avvenuta a ottantun anni, alla vigilia del conferimento di una laurea honoris causa da parte di un'università spagnola, sia qualcosa di più della dipartita di un economista illustre e anziano.

Fuà è un esempio, rarissimo in Italia, di «imprenditore accademico», capace di investire sui giovani, sostenerli nelle loro ricerche e farli maturare, in grado di fondare istituti come l'Istao e la stessa Università di Ancona che gli deve moltissimo, di concentrare energie diversissime su vasti progetti di ricerca, di trainare gli altri con la propria vivacità e curiosità intellettuale. Fuà trasferì nella ricerca economica ciò che aveva visto fare nell'industria.

La storia intellettuale ha un inizio tormentato, con un'espulsione dalla Normale di Pisa - dove poi riuscì a laurearsi - a causa delle leggi razziali e un difficile espatrio in Svizzera con la moglie incinta; è segnata dalla stretta collaborazione con Adriano Olivetti prima ed Enrico Mattei poi, due «capiscuola» della moderna gestione aziendale. Da Olivetti e Mattei apprese la capacità di realizzare e quella di galvanizzare i collaboratori. Solo più tardi approdò all'università. Dal mondo dell'industria in Italia gli derivò probabilmente la sua speciale capacità di orientare le ricerche su fatti concreti e problemi concreti e il suo particolare rapporto con le cifre: trovava le statistiche, se ne serviva e ne comprendeva i limiti, virtù questa non troppo diffusa.

Una generazione di studiosi ha avuto nel suo «Modellaccio» il principale punto di riferimento per i problemi dello sviluppo e della povertà in questo paese. Il dipanarsi di sviluppo e povertà nella storia furono il suo campo di indagine che gli consentì di identificare, tra l'altro, l'anomalìa dell'economia sommersa e i problemi comuni dei paesi europei a sviluppo tardivo (tra cui l'Italia e la nuova Spagna, alla quale fu molto legato). Il tutto scritto con una prosa lucida e tersa in libri densi e piccoli che rimangono pietre miliari nella faticosa scoperta di come sono fatte le economie moderne e quella italiana in particolare.

 

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