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Lettere della giovinezza

Giorgio Napolitano su Vittorio Foa

 

Il testo che pubblichiamo e' la versione integrale dell'intervento di Giorgio Napolitano alla presentazione del libro di Foa, che si è tenuta il 15 ottobre. a Torino, al Piccolo Regio in Piazza Castello. Oltre a Napolitano, hanno presentato il libro Padre Eugenio Costa e il Prof. Gianni Vattimo. La presentazione è stata organizzata dalla Città di Torino e dalla Cgil-Cisl-Uil torinese.

I libri di memorie e riflessioni che persone come Vittorio Foa possono offrirci sono, per ricchezza di esperienze vissute e per freschezza di pensieri calati nell'oggi, altamente istruttivi e stimolanti. Tali sono stati Il Cavallo e la Torre e Questo Novecento, che Vittorio ci ha offerto in anni recenti. Ma la pubblicazione delle sue lettere dal carcere, a tanti decenni di distanza, rappresenta un evento straordinario: perché fa riemergere come vita in atto, come storia nel suo farsi, come tessuto di relazioni umane nel loro sviluppo reale, vicende collettive e personali, con quella forza di verità, con quella capacità comunicativa che non possono avere le vicende raccontate, anche le meglio raccontate dai protagonisti. Tanto più che in questo caso il protagonista è qui con noi per darci le sue chiavi di lettura di quell'autentico "reperto", come fa con la bellissima Introduzione alle Lettere.

Si sono in effetti potute leggere in anni molto più vicini alla caduta del fascismo e alla conclusione della seconda guerra mondiale - nella forma di raccolte di lettere - tante testimonianze forti di condannati al carcere e al confino (e anche, nei momenti estremi, di condannati a morte). Ma quel ciclo di testimonianze sul fascismo, sulla guerra nazifascista, sulla Resistenza, è ormai lontano. E perciò il recupero delle lettere dal carcere di Vittorio Foa assume per le generazioni più giovani i caratteri di una novità assoluta, si presenta - dicevo - come riemersione di quei drammatici processi storici nel concreto e vibrante vissuto personale di un giovane di allora.

Mi auguro che questo libro sia letto e circoli ampiamente, che operi come antidoto rispetto a troppe perdite di memoria storica, a troppe rimozioni e scoloriture generose. Non far pesare le contrapposizioni del passato sulla dialettica politica del presente e del futuro, bloccandone ogni fisiologica e feconda evoluzione, è necessario e giusto; ma indispensabile è dare sempre, tornare sempre a dare, nel succedersi delle generazioni, piena consapevolezza delle prove e dei sacrifici incancellabili attraverso cui l'Italia giunse a riacquistare la libertà e a ricostruire la democrazia.

Le Lettere che oggi presentiamo restituiscono nella loro crudezza la prova del carcere affrontata dagli antifascisti, la sofferenza inflitta ai famigliari, la persecuzione subìta dagli ebrei, e, nello sfondo, le coercizioni e le ottusità del regime fascista. Si è osservato che l'autore mostra, dall'inizio alla fine di quei lunghi otto anni di detenzione, straordinaria serenità e finanche gaiezza, sorretto dall'idea del Vico che le traversìe debbano essere colte come opportunità: ma è lo stesso Vittorio che ora ci dice come nelle Lettere, a una verifica più attenta, si legga "tutta la fatica di vivere il carcere e la privazione di una vita normale", mancando per anni e anni il sorriso di una ragazza, la voce di un bambino, la possibilità di una musica, di un film, l'immagine del mare. Ci dice con parole toccanti del dramma dei suoi, del padre e della madre che per restargli vicini rimasero "sotto le bombe e nel rischio mortale della caccia all'ebreo". Il primo messaggio delle Lettere è qui, nell'intensità umana e morale di quella duplice storia dell'antifascista Vittorio Foa in carcere e della sua famiglia.

Non meno essenziale è il messaggio di rigore politico e intellettuale. Prepararsi come antifascisti, nel movimento di "Giustizia e Libertà", per le "nuove prove della pace e della guerra". Ricorda Foa: "il pensiero era sempre quello: la vergogna dello sfruttamento del lavoro, la società da riformare, la democrazia da rinnovare, il rifiuto della continuità". Si, è questo il filo che può cogliersi seguendo la vastissima trama delle letture, delle discussioni con i compagni di prigionia, delle curiosità e delle problematiche, che si rispecchiano nelle Lettere. E' stato quel fervore di ricerca, quel rigore politico e intellettuale, quell'impegno su contenuti di democrazia e di riforma, che ha permesso agli "antifascisti attivi del carcere e dell'esilio" - come dice ancora Foa - di "formare in modo notevole l'Italia repubblicana, che è arrivata ad assumere l'antifascismo come suo paradigma".

Pagina 1,2, 3
 


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