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Lettere della giovinezza (pagina 3)

Giorgio Napolitano su Vittorio Foa

E che suoi tratti distintivi fossero il rigore nello studio dei problemi e il gusto non delle risposte spicciole ma dei disegni di ampio respiro, lo capii meglio, ascoltando alcuni anni più tardi, nel 1954, il deputato Foa alla Camera. Ero da poco entrato a farne parte, sedevo come lui sui banchi dell'opposizione. Non ho mai dimenticato quel discorso, tanto ne fui colpito. Un intervento, che avrebbe potuto essere grigio e di routine, sul bilancio, sullo "stato di previsione della spesa del Ministero dell'industria e del commercio". E invece fu un serissimo, stringente e appassionato discorso sul tema del petrolio nazionale all'indomani di importanti ritrovamenti in Sicilia: un tema affrontato con singolare apertura di orizzonti internazionali e anche di posizioni politiche. "Sono fermamente persuaso" - fu la conclusione - "che su questo problema" (essendo tra quelli sui quali "ci si qualifica sul terreno storico e non soltanto sul terreno politico") "non vi deve e non vi può essere una divisione precostituita fra governo e opposizione, fra maggioranza e minoranza, fra destra, centro e sinistra". Ecco come nei primi anni '50, pur tra aspre contrapposizioni politiche e ideologiche, la sinistra, gli uomini migliori della sinistra, concepivano l'opposizione, facevano opposizione in Parlamento. Non è superfluo ricordarlo oggi.

Ho voluto appena gettare lo sguardo - con qualche ricordo personale - sugli inizi del lungo cammino politico, nell'Italia risorta a vita democratica, dell'ex detenuto Vittorio Foa: per dire come nelle carceri fasciste si era formato, e preparato alla politica. Le sue Lettere, e l'intero suo cammino, e le memorie e riflessioni dell'età più anziana, ci dicono molto sulla politica, sul suo modo di intenderla e praticarla.

La politica "come pensiero che nasce con l'azione".

La politica come tensione sempre viva "fra idealismo e realismo" (Vittorio ha scritto assai bene su "l'ideale in politica" come cosa profondamente diversa dalla fuorviante pretesa di "trasferire un ideale nell'utopia", e sulla necessità di combattere in particolare "l'irrealismo dell'analisi", di combatterlo "non solo su un piano conoscitivo ma anche su un piano etico").

La politica come impegno - sociale, morale, intellettuale - "animato da grandi passioni", almeno nell'epoca in cui si formò la generazione di Vittorio Foa e in cui si formò anche la mia generazione. "La Nazione e la Classe, la patria e il socialismo", scrive ora Vittorio dicendoci come abbia assistito, nel corso del secolo, a "un doppio ribaltamento", di ambedue quelle grandi idee-forza. Ma sul socialismo vorrei dire una mia parola, sapendo d'altronde quel che Vittorio preferisce: che non ci si limiti a celebrarlo, ma che come sempre si discuta con lui, anche nel dissenso (e tra noi ce n'è stato, nel corso degli anni). Dico dunque, sul socialismo: dubito che si possa parlare di un "declino delle sue grandi correnti storiche", di un declino cioè della socialdemocrazia al pari del comunismo. E credo che Vittorio possa guardare con soddisfazione all'influenza che quel "socialismo libertario" cui egli si richiama ha esercitato sul movimento operaio e sulla sinistra in Italia. Perché molti, anche tra i comunisti italiani, seppero vedere come lui nel suo impegno sindacale "il bisogno della libertà, il bisogno di esserci, di contare" ben presente e forte "nelle rivendicazioni del lavoro, accanto e dentro le movitazioni egualitarie". Caro Vittorio, il socialismo delle libertà e della solidarietà, sorretto da una nuova etica della responsabilità, può ancora essere la nostra passione, il nostro orizzonte.

Infine, la politica come totalità, la politica come professione. E' stata la scelta di molti, affacciatisi alla politica con l'antifascismo; il nostro comune destino, Vittorio. "Quanta parte della vita" - hai ragione - "respingevamo così dalla nostra attenzione". E come ci esponevamo - aggiungo - al rischio dell'aridità, anche se potevamo non sentire il peso della rinuncia. Siamo stati "politici a tempo pieno", e possiamo "a volte provare rimpianto" - come hai scritto - per non essere stati "politici non professionali", qual'è "uno che si guadagna da vivere con un mestiere, e nelle ore libere, se ne ha voglia, fa politica". E certo oggi c'è soprattutto bisogno di molti che facciano politica così. Non vorrei che diminuissero insieme i politici a tempo pieno e i "politici non professionali". E non vorrei nemmeno che si buttasse via, insieme con i vizi del professionismo politico, il valore e il dovere della professionalità nell'esercizio di funzioni politiche.

Anche questo - credo - abbiamo da dire a un ventenne di oggi. E non dubitare, Vittorio, di esserci riuscito, di poterci riuscire ora con le tue Lettere della giovinezza, rievocando gli eventi che hai vissuto (perché è importante trasmetterne la memoria) e trasmettendo il senso di quel che hai fatto. Anche per questo ti ringraziamo.

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