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"La principessa nel paese dei mass media" Paolo Mancini  | "La
principessa nel paese dei mass media"
Paolo
Mancini
Editori
Riuniti, 1998
pp.158,
lire 18mila
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Pubblichiamo
di seguito due paragrafi del libro.Nel
primo si mette a fuoco il momento del conflitto in cui Diana si trasforma da
principessa delle favole in mito ribelle.
Nel
secondo l'autore analizza l'impatto della morte di Diana sul mondo dei tabloid
inglesi. Ringraziamo autore ed editore per la gentile concessione.
Moderna
Medea: ovvero il frame del conflitto
"Terribile
e immendicabile è l'ira, quando la discordia mette gli amici contro gli
amici" urla la corifea nella Medea di Euripide. E Diana conferma
l'irrefrenabilità della rabbia: "i reali: una famiglia di lebbrosi". E'
questo il titolo di un articolo del Corriere della Sera del 6 gennaio 1994 che
riprende, peraltro come ormai consuetudine, un articolo apparso su di un
tabloid inglese. Già nel 1994, dunque, il conflitto non è
soltanto enfatizzato al momento della sua morte come possibile spiegazione
dell'enorme cordoglio popolare alla sua morte. Già durante la vita della
principessa del Galles, il suo antagonismo con la monarchia è apparso
chiaro nelle tipizzazioni che caratterizzavano il suo essere diva. E come tale
veniva trattato ed amplificato nell'informazione giornalistica. Al pari della
tipizzazione della vittima.
Di
questa presa di coscienza "in vita" della situazione conflittuale ci sono pochi
dubbi. Lo testimonia non solo la quantità di articoli, ma anche il loro
tono. Innanzitutto il linguaggio utilizzato che ricorre ad una gran
quantità di termini che sono propri dello scontro bellico. La cronaca
sportiva presenta le stesse caratteristiche, usa gli stessi espedienti;
trattandosi della messa in scena di una competizione, molto spesso essa ricorre
al linguaggio che meglio e più di altri esalta la dimensione della gara,
dello scontro: quello appunto della guerra. Anche nella copertura giornalistica
di Diana si assiste al trasferimento sul piano dello scontro bellico. Questi
alcuni titoli del Corriere della Sera e della Stampa tra il 1993 e il 1995: "La
Regina offre a Diana un armistizio", "Ora Elisabetta tende la mano a Diana",
"Lady Diana la rivoluzionaria", "Diana taci, le spie ti ascoltano", "Tregua
sotto l'albero per Carlo e Lady D", fino ad arrivare ad una presunta ammissione
di sconfitta: "Diana sconfitta, annuncia la ritirata. Addio al pubblico che le
vuole bene. Ora penserà solo ai due principini" o alla sua vittoria
nelle trattative di divorzio "Diana's Divorce Victory".
Come
in tutti gli scontri ci sono gli alleati: e così sia Diana che i suoi
avversari non sono soli; hanno amici che lasciano trapelare notizie, che
reclamano vendetta, che giungono in soccorso nel momento del bisogno. Le parole
"amici, "alleati", "staff", "entourage" tornano spessissimo nei titolo dei
giornali così come frequente è, l'abbiamo già visto, l'uso
del temine "complotto", parola che evoca una combinazione di forze e di
individui. Insomma, Diana non è sola così come non lo è il
suo avversario/avversaria. Lo confessa lei stessa nell'intervista alla Bbc:
"the enemy was my husband's department". Non si tratta dunque soltanto di un
contrasto tra persone e tra caratteri, c'è sicuramente anche questo, ma
la copertura giornalistica mostra come sia sufficientemente chiaro a tutti che
tale contrasto ha radici ben più profonde, anche se tali radici non sono
state comprese e indagate.
E
d'altra parte il fatto che i contendenti non siano soli corrisponde alla
verità, non si tratta soltanto di un espediente retorico legato alla
parola complotto o ad altre simili. Ci sono infatti decine di persone che
collaborano, professionalmente e non soltanto per amicizia, con le parti in
causa. Addetti stampa, consulenti di pubbliche relazioni operano
quotidianamente per difendere e migliorare l'immagine di tutti coloro che sono
impegnati sul fronte pubblico: non solo i politici e i governi, le imprese e le
istituzioni, ma anche i divi dello spettacolo, dello sport, re e regine esposti
in continuazione ai mass media dispongono oggi di apparati e
professionalità incaricati appunto della negoziazione della propria
immagine con gli stessi mass media e con il pubblico. Tanto più queste
competenze sono necessarie quando, come spesso avviene, la competizione per
l'attenzione pubblica sfocia nello scontro aperto.
L'ipotesi
di questo libro è che sia stata proprio la dimensione del conflitto a
spiegare in gran parte l'universalità del cordoglio che ha fatto seguito
alla scomparsa di Diana Spencer. Un conflitto che non è emerso soltanto
in quei giorni di fine estate 1997 come spiegazione "a posteriori" del successo
di Diana, ma che era ben presente in quanto caratterizzazione della sua
immagine fin da molti anni prima. Così, quando la Mercedes si sfracella
contro i pilastri del sottopassaggio parigino, muore una persona che
identificava parti frazioni dell'immaginario collettivo in competizione e
conflitto con altre. Muore una figura che identificava alcuni valori,
più o meno emergenti, che entravano in contrasto con altri, che avevano
radici profonde nelle trasformazioni che la società britannica sta
attraversando. E questo scontro avveniva su di un'arena pubblica in cui erano
coinvolti, anche soltanto come lettori partigiani, milioni di persone. Forse,
quelle stesse che si sono ritrovate accomunate nel cordoglio finale. Un
conflitto che, ricorrendo ad archetipi narrativi consolidati, metteva in luce
processi e mutamenti di grande attualità.
Il
conflitto peraltro è un ben noto e provato espediente retorico. E'
evidente che l'attenzione dello spettatore è tanto più intensa e
motivata di fronte ad una delle principali pulsioni primordiali: la lotta. Non
era forse così negli anfiteatri romani dove i gladiatori si affrontavano
per la vita? Scrive Carcopino, il celebre narratore francese de La vita
quotidiana a Roma:: "come al circo, durante la lotta dei gladiatori gli
spettatori ansavano di inquietudine e di speranza, gli uni per gli azzurri, gli
altri per i verdi, il pubblico del munus divideva i suoi voti e le sue angosce
tra i palmularii, preferiti da Tito, e gli scrutari, verso i quali inclinava
Domiziano".
Oggi
la vita che gli uomini si contendono nello spettacolo della comunicazione di
massa è quasi esclusivamente simbolica (seppure resistano occasioni di
lotta selvaggia ancora spacciati come spettacolo): chi perde, abbandona ogni
speranza di rimanere alla ribalta dell'attenzione, dimentica i premi e le
ricompense tipiche dell'odierna società delle comunicazioni. E
però, ancora, il confronto conflittuale eccita gli spettatori fa
parteggiare e partecipare. Il conflitto, pulsione primordiale. E così,
soprattutto in alcuni contesti sociali, le narrazioni del conflitto (si pensi
agli scontri dialettici all'interno dei talk shows, ai dibattiti e ai confronti
televisivi) sono quelle che più di altre destano interesse, sono seguite
con attenzione dalle migliaia e milioni di individui che costituiscono il
pubblico delle comunicazioni di massa.
Nella
storia di Diana specifiche contingenze storico sociali si sono perfettamente
integrate con i bisogni e con le logiche della comunicazione di massa. "Diana:
i reali? Una famiglia di lebbrosi" esprime certamente lo strillonismo di molti
quotidiani e la loro ricerca di coinvolgimento emozionale, ma descrive anche
una situazione che ha radici profonde nei mutamenti sociali delle
società contemporanee.
Come
in tutti conflitti che si rispettino c'è un momento in cui la guerriglia
sotterranea, la preparazione allo scontro per anni curata con attenzione e in
segreto esce allo scoperto. In questo caso è costituito dall'intervista
che Diana rilascia alla Bbc il 20 novembre 1995. Se il libro di Morton aveva
rappresentato il momento di mutazione nella sua storia, ora, questa intervista
esplicita il suo definitivo allontanamento dalla casa reale. Con Morton era
iniziato un periodo di incertezza simbolica in cui l'immagine del conflitto si
sposava con l'abbinamento di Diana a disvalori, ma anche a forti connotazioni
positive. Con l'intervista televisiva l'incertezza finisce, la principessa
è un soggetto autonomo che persegue in completa autonomia i suoi
obiettivi. L'incertezza è terminata, la rottura si è
definitivamente consumata.
Nella
narrazione di Diana c'è un nuovo shift che ridefinisce i ruoli narrativi
dei personaggi che ne sono parte: ora il conflitto con la monarchia è
alla luce del sole, si svolge in campo aperto, non può più essere
nascosto e le parti contrapposte mettono in scena tutte le proprie risorse
comunicative. Tutte le vicende precedenti contenevano ancora il seme del
dubbio: è possibile che Diana stessa abbia contribuito a stendere il
libro di Morton e quindi che esso sia assolutamente corrispondente alla
realtà? Ed è vero che Diana ha avuto una storia con Hewitt o sono
gli scandalismi dei tabloid a creare questa storia? Certo, c'è stata la
separazione; ora essa dà luogo alla battaglia aperta.
Nelle
parole che la principessa del Galles pronuncia dagli schermi della televisione
non ci sono attacchi diretti alla casa reale, ma è evidente che
ciò che Diana lamenta è soprattutto la sottostima che di lei ha
sempre avuto la regina e la sua famiglia. "Non sono stata aiutata", questo
è il senso delle sue parole "sono stata soffocata dagli impegni e dalle
norme" fino ad arrivare ad intendere "non penso che fosse previsto che io ne
avessi di interessi soprattutto nella cura dei malati e dei bisognosi". La
spersonalizzazione implicita nel ruolo di moglie del futuro re d'Inghilterra
entra drammaticamente in contrasto con l'immagine della donna moderna,
poliedrica, ricca di interessi, attiva, autonoma, propria appunto della
modernità e della generazione alla quale Diana appartiene.
Così
come caratterizzante della modernità è l'insistenza sui
sentimenti: "I think the Britsh people need someone in public life to give
affection, to make them feel important, to support them, to give them light in
their dark lumes", "I would like a monarchy that has more contact with its
people and I don't mean by riding round bicycles and things like that, but just
having a more in-depth understanding. And I don't say that as criticism to the
present monarchy: I just say that as what I see and hear and feel on a daily
basis in the role I have chosen for myself".
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